UNIONE EUROPEA: L'adesione della Croazia disgrega i Balcani? Se l'unità costruisce muri

Il prossimo primo luglio la Croazia diventerà il ventottesimo membro dell’Unione Europea, e questo avrà diverse conseguenze, non solo all’interno della società croata e dell’Unione stessa, ma anche sul resto della regione balcanica, e in particolare sulla vicina Bosnia Erzegovina. Circa mezzo milione di cittadini bosniaco-erzegovesi, ovvero la quasi totalità dei bosniaco-croati, diventeranno infatti cittadini dell’Unione, alla pari dei loro vicini zagabresi, dalmati, o slavoni. Il confine tra “Europa” e “mondo balcanico”, si farà più marcato, e allo stesso tempo, più labile.

Gli anni che hanno segnato il percorso della Croazia verso l’indipendenza prima e l’integrazione europea poi, sono stati accompagnati tanto da retoriche politiche con tendenze destoricizzanti, quanto da dibattiti culturali sulla definizione sia di “Europa” che di “Balcani”, laddove le idee di balcanizzazione dell’Europa e di europeizzazione dei Balcani sembrano offrire i migliori spunti di riflessione.

Nel particolare, il processo è sempre lo stesso, quello dell’autoidentificazione collettiva in un opposto all’altro da sé. Ovvero, quello dell’identificazione sulla base della negazione dell’altro. Questo processo porta i membri di una stessa comunità all’identificazione non tanto sulla base di quei valori comuni condivisi al suo interno (siano essi nazionali, religiosi o culturali), ma piuttosto sulla base dell’estraneità che certi valori rappresentano per “l’altro”. Questa tendenza, che è tipica laddove siano in atto processi di “autodeterminazione” dei popoli, è stata un pilastro portante della retorica nazionalista delle elite balcaniche degli anni ’90. Su tutti, l’esempio del presidente croato Tuđman, che proclamava il diritto storico della nazione croata a partecipare a quella Comunità Europea in qualità di “ultimo baluardo dell’Europa cristiana”, che si oppone all’orientalismo e “balcanismo” di quei ex vicini di casa divenuti “altri”.

Ed è così che il plurinflazionato diritto all’autodeterminazione dei popoli, consolida identità, anche inventate, accrescendo differenze di contesto che oppongono il croato, cattolico ed europeo al serbo, ortodosso e balcanico; così come al bosniaco, musulmano e turco.
Con l’ingresso della Croazia in UE, a quei cittadini croati di Bosnia-Erzegovina sarà riservato il diritto di cittadinanza dell’Unione, con tutte le conseguenti facilitazioni e vantaggi relativi alla libertà di movimento, tra cui la possibilità di lavorare all’estero e mantenere la famiglia in Bosnia con i soldi di rimessa.

Il problema in tutto ciò non sta nel fatto che cittadini di un paese terzo si ritrovino da un giorno a un altro improvvisamente “in Europa”, ma piuttosto nella riaffermazione sia di quei “confini identitari” che destabilizzano società e stati dall’interno, che di quei processi di costruzione di Stati-Nazione.
Queste due tendenze avranno conseguenze peculiari sulla società bosniaca e sulla sovranità dello stato centrale.

Da un lato infatti, verrà inserito un’ulteriore “confine”, un’ulteriore altro da sé, all’interno delle comunità croato-musulmane, specie della Federazione, col risultato che compagni di scuola e vicini di casa avranno un pretesto in più sul quale creare distinzioni sociali tra: cittadini di serie A, a cui è consentito viaggiare senza passaporto, spedire soldi di rimessa e votare al parlamento europeo; e cittadini di serie B legati ai problemi di sempre quali l’impossibilità di esser impiegati e viaggiare liberamente. E dall’altro lato invece, la definitiva vittoria di quei leader, tra cui anche Tuđman, che aspiravano alla creazione di Stati-Nazione monoetnici, sulla base di storiche differenze nazionali. A garantire questo, quelle disposizioni di Dayton che sostanzialmente riconoscono il diritto di cittadinanza alla “madrepatria” Croazia per i bosniaci cattolici (e alla Serbia per quelli ortodossi), escludendo la possibilità di un’identificazione sopranazionale in seno allo stato centrale.

In conclusione, ci troviamo davanti al classico esempio di come l’inclusione porti all’esclusione, in una stessa comunità, dell’altro e di come l’identificazione si riduca ad un mero “so chi sono solo perché so chi non sono”.
Ancora una volta, il processo d’integrazione europea conduce di fatto ad una dis-integrazione sociale; ancora una volta, l’Europa unita ha creato dei muri, laddove cercava di abbatterli; ancora una volta, si è consolidato il ruolo dello Stato-Nazione piuttosto che quello di stati comuni; e ancora una volta, l’Europa torna a dividersi in Bosnia e la Bosnia si divide grazie all’Europa.

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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4 commenti

  1. Ottimo articolo!Grazie

  2. Interessante articolo ! Grazie 🙂
    Facciamo il Benelux Balcanico cosi staremo tutti alla grande.
    Finche non troviamo amore nel vicino non so come possiamo sperare di trovarlo a Bruxelles ?
    Grazie del articolo di nuovo

  3. La stessa cosa come italiani in Argentina che non sanno nemmeno l’italiano però sono “cittadini europei”.

  4. Ciao!
    Complimenti per l’articolo, molto interessante! Ho cercato un tuo indirizzo email su internet ma non riesco a trovarlo, vorrei farti alcune domande in materia di UE-Balcani, potresti contattarmi all’indirizzo email caneva.silvia(at)gmail.com ? Grazie!

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