Nagorno-Karabakh

NAGORNO-KARABAKH: Verso il punto di non ritorno

È trascorsa più di una settimana da quel tragico 27 settembre in cui un nuovo capitolo del conflitto trentennale tra Armenia ed Azerbaigian sulla regione del Nagorno-Karabakh ha avuto inizio. Nonostante gli svariati appelli della comunità internazionale a deporre le armi e iniziare un dialogo costruttivo sulle sorti di questo territorio del Caucaso meridionale, Baku e Erevan non ne vogliono sapere di abbassare i toni. Intanto il bilancio ufficiale dei morti supera quota 220 tra soldati e civili.

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La guerra non si ferma

Cronache dal terzo giorno di scontri

Guerra su (quasi tutti i fronti)

L’espansione del conflitto

Il conflitto, iniziato lungo al linea di contatto tra i territori della repubblica separatista del Nagorno-Karabakh e l’Azerbaigian, si sta propagando a macchia di leopardo sui territori dei due paesi. La seconda città azera, Ganja, è stata bombardata ieri dalle forze separatiste. Arayik Harutyunyan, da maggio presidente della repubblica de facto, ha spiegato di avere voluto colpire l’aeroporto militare di Ganja in risposta alla pesante offensiva azera via terra con i lanciarazzi Grad e via aerea con i droni da combattimento sulle città di Stepanakert e Shusha. I bombardamenti hanno provocato 5 morti tra i civili e svariate decine tra i militari armeni, il black-out in tutte le strade e diversi sfollati (in Armenia sono in corso di allestimento i primi campi profughi). Dall’altra parte, Baku ha tenuto a ribadire che nessun sito militare di Ganja è stato colpito e che il bilancio ammonta a una perdita civile e 32 feriti.

L’assistente del presidente dell’Azerbaigian, Hikmat Hajiyev, ha riferito che altri attacchi missilistici a medio raggio hanno colpito i distretti di Khizi, Absheron e la città di Mingachevir (risulta un obiettivo molto sensibile, in quanto ospita la diga e la centrale idroelettrica più grandi del Caucaso meridionale). In tutta risposta, il portavoce del ministero della Difesa armeno, Shushan Stepanyan, ha affermato che le forze armene non hanno agito contro Mingachevir e ha definito false le insinuazioni dei funzionari azeri.

Sul fronte militare, l’Azerbaigian sta ottenendo alcune vittorie in virtù della sua superiore disponibilità militare. La sera di sabato 3 ottobre, il presidente azero Ilham Aliyev ha annunciato che l’esercito azero aveva “liberato” sette villaggi: Talish, Mehdili, Chaxirli, Ashagi Maralyan, Sheybey, Guyjag e Ashagi Abdurrahmanli (situati nei distretti di Terter, Jibrail e Fuzuli). A seguito di tale dichiarazione, a Baku le persone sono scese in piazza in massa, celebrando la “reconquista” di questi territori in barba a qualsiasi regola sul coprifuoco imposto dalla legge marziale. Successivamente, il premier azero ha dichiarato che anche il villaggio di Jibrail è stato preso.

Sul versante della comunità internazionale, il Cremlino ha fatto sapere, tramite le parole del suo segretario stampa Dmitrij Peskov, che Mosca potrà inviare forze di pace nel Nagorno-Karabakh solo con il consenso di entrambe le parti in causa. La Turchia, contro la quale Erevan ha da poco presentato una richiesta di misure provvisorie e sanzioni dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, continua a dichiararsi pronta ad intervenire a fianco dell’Azerbaigian, qualora sia strettamente necessario. Non vi sono solo Mosca e Ankara, però. Teheran, dopo che alcuni colpi di mortaio hanno colpito i villaggi iraniani lungo il confine, ha messo in guardia sia Baku che Erevan, dichiarando che qualsiasi intrusione nel suo territorio sarà considerata intollerabile.

Un dialogo tutto tranne che vicino

Per entrambe le parti sedersi al tavolo delle trattative può avvenire soltanto a determinate condizioni, al momento inconciliabili. LAzerbaigian chiede che il primo ministro armeno Nikol Pashinyan riconosca i “territori del Nagorno-Karabakh” come “territori azeri occupati”, stabilisca un piano programmato per il ritiro delle truppe dalla regione e si scusi per il suo atteggiamento poco propenso ai negoziati di pace. L’Armenia, dal canto suo, potrebbe presto decidere di riconoscere ufficialmente l’indipendenza del Nagorno-Karabakh.

Lo stesso Pashinyan, in un’intervista rilasciata ad Al Jazeera, ha affermato come, sin dal suo insediamento al potere nel maggio del 2018, si fosse offerto di coinvolgere i rappresentanti del Nagorno-Karabakh nel processo di negoziazione per risolvere il conflitto. Offerta che però, sempre secondo le sue dichiarazioni, non sarebbe mai stata nemmeno considerata dal suo collega azero. Il premier armeno, che già in precedenza aveva marcato i confini del Nagorno-Karabakh come “confini di civiltà” in difesa della sicurezza globale dal terrorismo finanziato dalla Turchia, ha poi definito la leadership di Aliyev come “dittatoriale” e legata al Nagorno-Karabakh come mera fonte di legittimazione del suo governo dispotico.

Difficile pensare che, con questi toni, le due parti possano conciliare i propri interessi e iniziare una qualsiasi forma di dialogo in tempi brevi. Il rischio è quello di andare verso un punto di non ritorno, dal quale Armenia e Azerbaigian, accomunate da decenni di odio e rivalsa, potrebbero non vedere mai la luce.

Immagine: BBC

Chi è Leonardo Zanatta

Nato e cresciuto a Bologna, classe 1996, ha vissuto per motivi di studio e lavoro in Russia, Azerbaigian, Serbia e, infine, Ungheria. Torna sporadicamente in Italia per rivedere i suoi due più grandi amori: la Sampdoria e la Virtus Bologna. Laureatosi in Scienze internazionali e diplomatiche, continua I suoi studi magistrali al programma MIREES (Interdisciplinary studies on Eastern Europe), per poi iniziare il dottorato in studi di sicurezza e relazioni internazionali all’Università Corvinus di Budapest. Scrive per la redazione Caucaso di East Journal da inizio 2020.

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