NAGORNO-KARABAKH: Guerra su (quasi) tutti i fronti

Dal 27 settembre infuriano gli scontri armati tra gli eserciti armeno e azero lungo la linea di contatto che divide la repubblica de facto del Nagorno-Karabakh e l’Azerbaigian. Il controllo di questo remoto territorio montuoso costituisce il pomo della discordia nelle relazioni tra Baku e Erevan fin dall’epoca sovietica. Negli anni venti, la demarcazione staliniana dei confini vide la regione, con una popolazione a maggioranza armena, diventare una repubblica autonoma in seno alla Repubblica Socialista Sovietica Azera. Una guerra tra il 1988 e il 1994, costata 30 mila morti e centinaia di migliaia di rifugiati, ha portato alla secessione dall’Azerbaigian. Oggi il Nagorno-Karabakh è una repubblica de facto indipendente supportata economicamente e militarmente dall’Armenia, ma non riconosciuta ufficialmente da nessuno stato.

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Gli sviluppi sul campo

Gli scontri tra l’esercito armeno e azero sono andati avanti nel corso del quarto giorno di guerra (30 settembre). Secondo quanto riportato da OC media, i combattimenti sono stati meno intensi nella notte e questa mattina. Al momento, si registrano ufficialmente 107 vittime nell’esercito armeno e 16 tra i civili azeri, mentre Baku non ha comunicato il numero dei propri soldati caduti.

Risulta complesso dare un quadro esatto delle operazioni diverso da quelli – spesso in contraddizione tra loro – comunicati dai ministeri della Difesa di Armenia e Azerbaigian. Sembra chiaro, però, che, oltre che nell’area di Talish, i combattimenti si siano concentrati nella zona sud del fronte, nei distretti di Fuzuli e Jibrail, vicino al confine con l’Iran. 

Con questi dati alla mano, l’analista Joshua Kucera ha provato a delineare quelli che sono i possibili obiettivi strategici dell’offensiva azera. Come ha fatto notare il ricercatore Thomas de Waal è Baku, infatti, che ha interesse ad alterare lo status quo, reintegrando quello che considera come proprio territorio; mantenere la situazione attuale, che vede l’esercito armeno controllare il Nagorno-Karabakh – così come era demarcato in epoca sovietica –  e sette distretti azeri adiacenti è, invece, negli interessi di Erevan.

La conquista di Fuzuli e Jibrail costituirebbe, quindi, l’obiettivo primario degli azeri. Questi due distretti non erano nella regione del Nagorno-Karabakh e, in base al censimento sovietico del 1989, erano abitati quasi esclusivamente da azeri prima della guerra. Dopo essere stati abbandonati dalla loro popolazione all’arrivo dell’esercito armeno nei primi anni novanta, sono rimasti quasi disabitati negli anni successivi al conflitto. Inizialmente erano, infatti, considerati a Erevan come la pedina di scambio ideale sul tavolo della pace. Tale compromesso si è poi rivelato inaccettabile agli occhi dell’opinione pubblica armena e i territori, gli unici pianeggianti e fertili in una zona montagnosa, hanno iniziato ad essere popolati e sfruttati per l’agricoltura. Proprio il fatto che siano in pianura li rende anche meno difendibili e un obiettivo strategicamente interessante per Baku.

Accuse reciproche e toni duri

Non è facile però dare un senso logico a quanto sta avvenendo sul campo, in un contesto animato da accuse reciproche e toni sempre più duri. Armenia e Azerbaigian si danno battaglia sui media, accusandosi a vicenda di aver dato inizio alle ostilità, di bombardare la popolazione civile e di provare a coinvolgere potenze straniere nel conflitto.

In un’intervista del 29 settembre al primo canale della televisione russa, ad esempio, il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, ha accusato l’Armenia di aver attaccato per prima il 27 settembre. Secondo questa tesi, il premier armeno, Nikol Pashinyan, descritto come “una persona messa al potere da Soros”, avrebbe scatenato la crisi per distrarre la popolazione dalla recessione economica interna.

Al contempo, Pashinyan, in un tweet, ha definito i confini del Nagorno-Karabakh come “i confini della civiltà”, aggiungendo che gli armeni starebbero combattendo contro il terrorismo finanziato dalla Turchia per difendere la sicurezza globale. Il riferimento è ai combattenti siriani che, secondo quanto riportato da diverse testate, sarebbero stati schierati da Ankara in supporto dell’esercito azero. 

L’arena globale: falchi e colombe

Proprio l’attivismo turco è ciò che rende la situazione più instabile rispetto alle crisi precedenti. La Turchia, alleata storicamente dell’Azerbaigian, ha sempre supportato Baku nel conflitto, ma non ha mai mostrato una propensione così forte ad intervenire nel Caucaso.

La posizione di Ankara ha contribuito ad alzare ulteriormente i toni, considerato anche il mancato riconoscimento turco del genocidio armeno. Ieri, Erevan ha imputato l’abbattimento di un proprio aereo a un  F16 turco, mentre oggi, Pashinyan ha accusato la Turchia di voler tornare nel Caucaso per “continuare il genocidio armeno”. Durante una sessione straordinaria del Consiglio Permanente dell’OSCE del 29 settembre, la delegazione turca ha usato toni altrettanto duri. “L’Armenia ricorre alla pratica di distorcere gli eventi storici. Agisce nell’isteria. Questo approccio è la manifestazione di una mentalità che costruisce un’identità basata unicamente sull’inimicizia, su un’interpretazione unilaterale della storia e che cerca di legittimare la propria aggressività in violazione del diritto internazionale”.

La posizione revisionista turca fa da contraltare a quella russa, storicamente interessata a mantenere lo status quo per continuare ad esercitare la propria influenza nella regione. In questo momento storico, Mosca sembra interessata a favorire una distensione, così come lo sono Stati Uniti e Francia, gli altri due co-presidenti del Gruppo di Minsk dell’OSCE, l’ente preposto a risolvere il conflitto. A dimostrazione di questo, i tre paesi hanno prodotto oggi l’ennesima dichiarazione congiunta, invitando le parti a “iniziare i negoziati senza precondizioni”. Sulla stessa linea d’onda sembra l’Iran, che si trova nella difficile condizione di avere una guerra  letteralmente a propri metri dai propri confini. A dimostrazione dell’instabilità della posizione iraniana, nella mattinata, è arrivata la notizia, non confermata, dell’abbattimento, per errore, di un elicottero iraniano da parte azera.

Dal Caucaso voci contro la guerra

Anche la Georgia è interessata alla pace, visto che confina con i due contendenti e nel suo territorio vivono numerose comunità armene e azere. Dalla società civile georgiana è arrivato un manifesto in cui si invitano le parti e le potenze internazionali a cessare le ostilità.

Nonostante un’atmosfera sempre più radicalizzata e una tendenza generalizzata ad arruolarsi, anche in Armenia e Azerbaigian esistono voci per la pace. Il movimento “Gioventù azera di sinistra” ha, ad esempio, prodotto una dichiarazione firmata da alcuni dei suoi membri contro la guerra e “la disumanizzazione del nemico”. I social network, solitamente veicolo di odio tra gli utenti dei due paesi, hanno permesso al comunicato di attraversare il fronte ed essere ripreso da alcuni giovani armeni.

Queste poche voci coraggiose hanno però una montagna di odio da scalare per superare quello che, ad oggi, sembra un conflitto insanabile.

Il comunicato contro la guerra in italiano:

NAGORNO-KARABAKH: La gioventù azera contro la guerra

Immagine: Caucasian Knot

Chi è Alessio Saburtalo

Alessio Saburtalo è uno pseudonimo. L'autore che vi si cela si occupa principalmente di Caucaso con sporadici sconfinamenti in Russia e Asia Centrale. Saburtalo è un quartiere di Tbilisi.

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