integrità Armenia

Oltre il Nagorno-Karabakh, a rischio l’integrità armena

Oltre all’esodo della popolazione del Nagorno-Karabakh, quello che preoccupa è ora l’integrità della stessa Armenia…

Che ne sarà del Nagorno-Karabakh?

Dopo la resa da parte delle forze separatiste armene in Artsakh e l’ormai esodo quasi totale da parte della popolazione locale armena del Nagorno-Karabakh, in Caucaso, le paure, in particolar modo per quanto riguarda Yerevan, non sembrano tuttavia essere cessate.

Circa centomila armeni del Karabakh hanno raggiunto l’Armenia e  altri quindicimila invece sono rimasti, in procinto di partire nei prossimi giorni. Le città armene si sono organizzate come meglio potevano per far fronte a questa ondata di “profughi connazionali” e alcune città armene come Masis, che ha una popolazione di ventimila abitanti, si trova a dover accogliere ora undicimila profughi. Si può comprendere dunque come dal punto di vista delle risorse sia finanziarie, sia di prima necessità, questo sarà un problema di non lieve entità per Yerevan, sebbene il governo si sia detto da subito disposto ad aiutare con qualsiasi mezzo e nel miglior modo possibile la popolazione fuggita dall’Artsakh (Pashinyan ha deciso di dare a ogni rifugiato un assegno una tantum di 236 euro e successivamente un assegno mensile di 118 euro per aiutare a pagare l’affitto e il cibo).

In aggiunta a questo problema, c’è la questione della futura collocazione della popolazione scappata dall’Artsakh e la questione relativa alla Repubblica del Nagorno-Karabakh e che cosa ne sarà di questa, o ancora meglio cosa ne sarà del patrimonio culturale armeno in Karabakh e dei leader separatisti arrestati dal governo di Baku.

La fine dell’Artsakh

Il 28 settembre Samvel Shahramanyan, leader de facto dell’autoproclamata e non riconosciuta repubblica del Nagorno-Karabakh, ha firmato un decreto sullo scioglimento dell’entità separatista. Che la fine dell’Artsakh fosse alle porte era intuibile ed era ormai anche pacifico, tuttavia non sono pacifiche le conseguenze che si stanno avendo in questi giorni e soprattutto è difficile giustificare il silenzio assordante da parte della comunità internazionale.

Erdogan e Aliyev hanno già avuto un incontro, tra l’altro nell’exclave del Nakhicevan, dunque con un valore simbolico aggiunto, per congratularsi l’uno con l’altro del lavoro svolto in questi anni e per gettare le basi per un accordo sul collegamento del gas diretto tra Nakhicevan e Turchia.

Nel mentre, le Nazioni Unite hanno inviato una missione a Stepanakert per garantire che gli armeni di quella regione possano andare via dalla capitale dell’oblast in pace e che quei pochi che rimangono possano vivere in sicurezza. La capitale del Nagorno-Karabakh ormai è una città deserta dove solo si vedono delle presenze internazionali e qualche bivacco.

Quali sono le intenzioni di Baku?

Gli azeri hanno già iniziato un procedimento di affermazione netta della loro presenza nella regione non solo a livello simbolico, ma anche attraverso chiari attacchi e azioni atte a rimuovere le tracce della cultura armena, come ad esempio l’abbattimento della croce sopra Stepanakert o l’apertura del fuoco sul monastero di Charektar. Il rischio, molto sottovalutato a livello internazionale, è quello che possano ripetersi episodi come quelli in Nakhicevan trent’anni fa, ovvero operazioni di totale rimozione e demolizione di monumenti e resti del patrimonio culturale artistico armeno.

Rimane centrale e di primaria importanza però la questione delle intenzioni militari e geopolitiche di Baku e dei vicini del Caucaso: Russia, Iran e Turchia.

In uno scenario in cui l’Azerbaigian non intravede e non percepisce alcuna possibilità di intervento deciso da parte della comunità internazionale o possibilità di una qualche interruzione o rottura dei rapporti con i paesi occidentali, lo stato del Caucaso meridionale adotta una politica tesa a perseguire i propri obiettivi geoeconomici in uno stile di realpolitik che ha sempre caratterizzato il modus operandi del governo di Aliyev.

Le intenzioni di Baku, come emerso dall’incontro tra Erdogan e Aliyev, mirano alla creazione di un corridoio commerciale che colleghi l’Azerbaigian e la Turchia passando per l’Armenia del sud (corridoio di Zangezur). Il presidente dell’Azerbaigian vorrebbe un controllo diretto di questo corridoio e, visti i passati attacchi azeri diretti nel sud dell’Armenia, non è da escludere una volontà anche di attaccare oggi nel Syunik (regione sud dell’Armenia). Si può notare anche come da alcune dichiarazioni di esponenti del governo di Baku emerga che Aliyev e altri funzionari considerino l’intera Repubblica dell’Armenia come Azerbaigian occidentale e queste constatazioni, sebbene possano apparire solo propagandistiche, non lascerebbero in alcun modo a giudizi e previsioni troppo positive in questo contesto attuale.

Allo stesso tempo, l’alleata storica dell’Armenia, la Russia, sta sostanzialmente osservando passivamente ciò che sta avvenendo in Caucaso e questo anche perché, oltre al noto impegno militare di Mosca in Ucraina, il Cremlino ha firmato con l’Iran un accordo per la costruzione di una ferrovia che passerà lungo la costa del Mar Caspio e aiuterebbe a collegare i porti russi sul mar Baltico con i porti iraniani nell’Oceano Indiano e nel Golfo Persico. L’intento è quello di aggirare le sanzioni e, in una situazione del genere, Mosca non ha nessuna intenzione di aggravare i rapporti con Baku.

La comunità internazionale tra ipocrisia e nuove mosse

In questo panorama molto complesso, la comunità internazionale e l’Unione Europea cercano di trovare una soluzione diplomatica senza “sporcarsi le mani”, tuttavia l’Azerbaigian pare non propenso a accogliere molte delle ammonizioni e delle ricerche di dialogo dei paesi occidentali.

Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione che chiede sanzioni all’Azerbaigian a causa dell’operazione in Karabakh. Dal punto di vista economico, però, quasi due terzi delle importazioni dell’Azerbaigian provengono dall’Unione Europea e quindi sarà difficile pensare che verranno adottate delle sanzioni vere e proprie.

Pare non ci sia dunque da nessuna parte un’intenzione di intervento sia sotto forma di missione internazionale, sia in forma sanzionatoria contro l’Azerbaigian. Basti pensare al leader ucraino Zelens’kyj che dopo l’incontro di Granada e dopo aver rassicurato Pashinyan di un appoggio politico da parte dell’Ucraina, su Twitter ha dichiarato che è ammirevole l’operato del presidente azero Aliyev e che in questo modo adesso sta rispettando le integrità territoriali di Azerbaigian e Armenia. Anche il presidente francese Emmanuel Macron, dopo aver dichiarato che l’Azerbaigian ha un problema con il diritto internazionale, ha poi però sostenuto che non è il momento di imporre sanzioni a Baku. Nel Caucaso meridionale si teme il peggio, e l’abbandono totale.

Chi è Carlo Busini

Toscano, classe ’95. Laureato in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Siena. Erasmus nel Regno Unito (University of Bristol), dove ho avuto modo di approfondire materie come il diritto internazionale e europeo con focus sulla geopolitica in inglese in una panorama molto internazionale. Da sempre appassionato all’area Caucasica e post-sovietica, in particolar modo all’Armenia e al Nagorno-Karabakh. Diploma in geopolitica presso l’ISPI School di Milano e da molto tempo scrivo articoli per alcune riviste di geopolitica italiane.

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