pogrom di istanbul

STORIA: Il pogrom di Istanbul del 1955 e la fine dei greci del Bosforo

Il 5 e 6 settembre 1955, con il beneplacito delle autorità, una folla inferocita prese d’assalto i negozi e i magazzini, le chiese ortodosse e i cimiteri della comunità greca di Istanbul. I morti furono tra i 13 e i 30, ma più importante, gli eventi della Septemvriana, o pogrom di Istanbul, segnarono la definitiva fine della millenaria comunità greca della metropoli sul Bosforo.

La distruzione della comunità greca di Istanbul

Il pogrom venne orchestrato dal Partito Democratico Turco di Adnan Menderes al potere, e innescato dalla falsa notizia che una bomba fosse esplosa presso la casa natale di Mustafa Kemal Atatürk, a Salonicco in Grecia, il giorno precedente (la bomba era stata piazzata da un usciere turco, poi arrestato). Nel pomeriggio del 5 settembre, una folla di cittadini, appositamente trasportata con camion dalle autorità da zone limitrofe a Istanbul, assaltò la comunità greca della città distruggendo e saccheggiando abitazioni e negozi per nove ore di seguito. La violenza continuò fino a quando il governo dichiarò la legge marziale a Istanbul e chiamò l’esercito per reprimere le rivolte. Per le percosse e negli incendi morirono tra le 13 e le 30 persone, mentre altre centinaia furono ferite. 4.348 proprietà greche, 110 alberghi, 27 farmacie, 23 scuole, 21 fabbriche, 73 chiese e oltre un migliaio di abitazioni private di proprietà greca furono distrutte o seriamente danneggiate. Il pogrom accelerò fortemente l’emigrazione dei greci da Istanbul, riducendo la forte minoranza dei “romei“, passata da 116.108 a 49.081 tra il 1955 e il 1960, e oggi appena 2.500.

Come documentato da Speros Vryonis nel suo The Mechanism of Catastrophe: The Turkish Pogrom Of September 67, 1955, And The Destruction Of The Greek Community Of Istanbul (2005), il pogrom fu organizzato da Menderes e dal suo ministro degli esteri, Fatin Zorlu, con la cruciale collaborazione dei sindacati di Istanbul, e condotto sotto la supervisione del ministro dell’interno Namik Gedik, per distogliere l’attenzione dei cittadini turchi dalla grave crisi economica della Repubblica.

Secondo Vryonis, il Demokrat Parti ebbe un ruolo fondamentale nel reclutamento dei circa 300.000 rivoltosi, a cui fu promesso un compenso di 6$ (mai pagato), e che furono trasportati via treni, taxi e camion fino in città, dove le autorità distribuirono loro spranghe, vanghe, picozze ed altri strumenti per compiere il loro lavoro, sotto l’attenta osservazione dei leader politici e della polizia. Le violenze iniziarono alle cinque di pomeriggio, e l’esercito intervenne per mettervi fine solo dopo la mezzanotte.

La situazione internazionale della Guerra Fredda permise a Menderes di autoassolversi presso britannici ed americani, mentre la questione di Cipro venne usata come strumento di propaganda, col sostegno della stampa, per aizzare le fiamme del nazionalismo e dell’intolleranza religiosa verso i greci.

Secondo gli storici, tale pogrom si poneva in continuità con un processo di nazionalizzazioneturchificazione iniziato con il declino dell’Impero Ottomano, poiché circa il 40% delle proprietà attaccate apparteneva ad altre minoranze (ebrei e armeni).  Come ricorda l’ex deputato turco Aykan Erdemir, “il pogrom del 1955 non fu uno scontro di civiltà che metteva i musulmani contro i cristiani. Al contrario, in mezzo alla crescente tensione turco-greca sul futuro status dell’allora colonia britannica di Cipro, le rivolte furono attentamente pianificate dal governo turco per ripulire Istanbul dai circa 100.000 polites, che erano stati esclusi dallo scambio di popolazione turco-greca del 1923-24.”

La memoria del pogrom del 1955

Menderes e Zorlu saranno poi condannati e impiccati dopo il golpe militare del 1960 per atti incostituzionali, incluso il loro ruolo nel pogrom di Istanbul. Ma la memoria di quelle violenze, così come di tante altre, è rimasta sepolta per oltre mezzo secolo.

Nel 2005, una mostra fotografica dedicata al cinquantesimo anniversario degli eventi di settembre fu attaccata e devastata dai nazionalisti dei Lupi Grigi. L’assalto fu descritto da Feyyaz Yaman, direttore della galleria, come una ripetizione del pogrom stesso.

Nel 2009, il primo ministro turco Erdogan affermò che anche i turchi avevano commesso errori: “Le minoranze sono state espulse dal nostro paese in passato. È stato il risultato della politica fascista.” Purtroppo non vi sono stati ulteriori passi avanti da parte della dirigenza AKP.

Nel 2014, un blogger ha reso disponibili online 210 foto del pogrom del 1955. Nel 2015 infine la commemorazione del 60° del pogrom ha avuto luogo sulla centrale via Istiklal a Istanbul, con una veglia e una conferenza stampa della Federazione dei Romei, e una funzione nella Chiesa greco-ortodossa di Panagia a Yeniköy.

Il pogrom di Istanbul nella letteratura greca e turca

Gli eventi del settembre 1955 sono citati solo en passant da Orhan Pamuk nel suo Istanbul, che ne ricorda “i disordini del 5 e 6 settembre 1955,  durante i quali molte delle loro botteghe furono saccheggiate e incendiate”.

Dall’altra parte, gli stessi eventi fanno da sfondo al racconto “Tre giorni” del giallista greco Petros Markaris, lui stesso nato a Istanbul nel 1937 (in italiano incluso nella raccolta L’assassinio di un immortale, 2016). I tre giorni del pogrom sono visti con gli occhi del sarto Vassilis e di sua moglie Sotiria, e ben vi appare il chiaroscuro e i sotterfugi a cui erano costretti greci, armeni ed ebrei, ad esempio nelle relazioni dei protagonisti con i vicini di casa e le autorità di polizia. Un altro breve racconto di Markaris nella stessa raccolta, “Ulisse invecchia solo“, descrive invece la storia di un vecchio esiliato, intenzionato a tornare a Istanbul, per morire nella sua città.

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Foto: To Vima

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Andrea Zambelli è uno pseudonimo collettivo usato da vari membri della redazione di East Journal.

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