Stretta di mano blasfema

TURCHIA: Una stretta di mano blasfema

Lo scorso 26 giugno la rivista satirica turca LeMan è finita al centro di una bufera politica e religiosa per via di una vignetta satirica contenuta nel numero pubblicato quella settimana. Nell’illustrazione, due figure identificate come Muhammad (Maometto) e Moses (Mosè) si stringono la mano mentre volano sopra uno scenario di distruzione e missili: un chiaro riferimento al conflitto tra Iran e Israele. La pubblicazione ha provocato dure reazioni da parte del governo turco e di una parte dell’opinione pubblica, che l’hanno ritenuta offensiva nei confronti dell’Islam.

Tra le conseguenze della vignetta, l’arresto di quattro fumettisti e le violenti proteste scoppiate sotto la sede della redazione, disperse solo dopo l’intervento della polizia. Inevitabilmente questa storia ha riportato la memoria al 7 gennaio 2015, quando Chérif e Saïd Kouachi aprirono il fuoco all’interno della redazione del giornale satirico francese Charlie Hebdo, in risposta a delle vignette satiriche sul Profeta dell’Islam.

Ma quali sono le ragioni storiche di questa forte sensibilità nel mondo musulmano nei confronti della rappresentazione umana?

Aniconismo e colonialismo

Uno dei temi storicamente più complesso e spinoso nel mondo islamico è quello relativo alla rappresentazione di figure umane e animali nell’arte. All’interno del Corano però non vi è un divieto esplicito della rappresentazione di esseri viventi: ciò che infatti viene condannato dal libro sacro dell’Islam è l’idolatria (shirk), ossia l’adorazione di immagini o oggetti come se fossero divini. Diverso è quanto riportato dagli hadith, ossia i detti del Profeta Maometto. Uno dei più noti afferma: “Chiunque disegna un’immagine sarà punito nel Giorno del Giudizio, e gli sarà detto: ‘Dai vita a ciò che hai creato’.”

Il divieto ha una duplice radice: la prima, di natura teologica, risiede nell’idea che la creazione di immagini di esseri viventi possa equivalere ad un tentativo di imitare l’azione divina. La seconda, di carattere storico-culturale, si ricollega al fatto che prima dell’avvento dell’Islam nella penisola arabica era diffusa la venerazione di idoli e immagini sacre. Da un certo punto di vista è possibile affermare che questo divieto sia stato imposto all’epoca anche come una netta presa di posizione contro le credenze religiose pre-islamiche.

Nel corso dei secoli però questo precetto non è sempre stato seguito alla lettera da tutti i fedeli. Nel mondo sciita o sufi sono state infatti realizzate delle miniature del Profeta Maometto, il cui volto veniva solitamente velato o stilizzato. Un altro esempio è quello della Siyer-i Nebi, biografia ottomana epico-religiosa illustrata della vita del Profeta Maometto commissionata dal sultano Murad III. All’interno dell’opera sono presenti delle raffigurazioni del Profeta, il cui volto è sempre coperto o sostituito da un alone fiammeggiante.

Si può affermare che il principio dell’aniconismo sia stato storicamente rispettato in modo più rigoroso nell’area araba del mondo islamico. In più, con l’avvento del colonialismo, questo precetto è stato rilanciato con forza in reazione all’introduzione della fotografia, una tecnologia portata dai colonizzatori. Tra il XIX e il XX secolo, le potenze colonizzatrici introducono la fotografia nel mondo arabo: inizialmente fu portata con un intento documentario, che poi divenne anche amministrativo (censimenti, passaporti).

A quel punto il nuovo mezzo tecnologico divenne un simbolo di oppressione, e alcuni movimenti religiosi e anticoloniali ripresero il concetto dell’aniconismo in chiave identitaria in opposizione all’influenza occidentale. Questa ripresa dell’aniconismo continua così ad avere ripercussioni nel presente: il caso di LeMan dimostra come la rappresentazione del Profeta non sia solo considerata blasfema, ma venga interpretata come un’offesa identitaria nel mondo musulmano.

Erdogan e LeMan

Il caso LeMan, tuttavia, si inserisce anche nel più ampio contesto della repressione nei confronti della stampa e della società civile in atto in Turchia. Nei giorni scorsi il Presidente turco ha descritto la vignetta incriminata come una “provocazione vile” e ha affermato che chiunque offenda il Profeta verrà ritenuto responsabile di fronte alla legge. Storicamente i rapporti tra Erdoğan e la rivista satirica LeMan non sono mai stati idilliaci. Nel 2008, il Rais turco ha intentato delle cause legali contro la rivista per alcune caricature nei suoi confronti , e dopo il fallito golpe nel 2016 fu impedito alla rivista di mandare in stampa una pagina satirica nei confronti dello stesso Erdogan . Il quotidiano LeMan, oltre ad essere una rivista satirica, rappresenta uno dei pochi spazi di libera espressione ancora presenti in Turchia e la sua critica politica risulta spesso scomoda.

All’arresto dei quattro vignettisti ha fatto seguito quello di altri tre sindaci del partito d’opposizione Chp. Secondo i media locali le autorità turche hanno posto in stato di fermo Zeydan Karalar, Muhittin Böcek e Abdurrahman Tutdere: le accuse restano quelle di corruzione e irregolarità negli appalti pubblici. Questi arresti si posizionano in un clima di repressione che quest’anno si è particolarmente intensificato a partire dall’arresto del sindaco di Istanbul İmamoğlu, detenuto da più di cento giorni e per il quale sono scese in piazza più di diecimila persone lo scorso due luglio .

Se da un lato il caso LeMan ha evidenziato un nodo sensibile del mondo musulmano, che richiede una maggiore comprensione storica e culturale, dall’altro rischia di trasformarsi nell’ennesimo segnale della repressione in corso in Turchia.

Chi è Marco Pedone

Classe 1999, una Laurea Magistrale in "Lingue e Civiltà Orientali" e un Master di II livello in "Geopolitica e Sicurezza Globale" presso l'Università La Sapienza di Roma. Appassionato di Vicino Oriente, area MENA e sport.

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