Il ventesimo secolo è stato il secolo delle frontiere. Anche il Danubio, asse di comunicazione di tutta l’Europa centrale, si è trasformato per decenni in un elemento di confine. Così è stato anche per due città di popolazione magiara, Komárno ed Esztergom, che nel 1918 si ritrovarono rispettivamente in Cecoslovacchia e in Ungheria, separate dal fiume dai propri sobborghi (rispettivamente Komárom e Štúrovo/Parkany), rimasti oltrefrontiera. Nonostante le politiche di nazionalizzazione della Cecoslovacchia dell’interguerra, entrambe le città rimasero a maggioranza magiara.
La guerra fredda: Komarno porto delle nebbie
Nel 1945, la fortezza asburgica di Komárom divenne il principale presidio dell’Armata Rossa nel nord-ovest dell’Ungheria. Il ponte sul Danubio di Esztergom, distrutto durante il conflitto, non sarà ricostruito. Per le famiglie ungheresi delle due sponde, che fino a trent’anni prima vivevano all’interno dello stesso spazio amministrativo, prendono il via due decenni di isolamento e separazione. Una frontiera, quella tra due paesi socialisti e “amici”, le cui pratiche ricalcano le stesse messe in atto lungo la cortina di ferro. Il porto di Komárno diventa una nota piazza di contrabbando e spionaggio, con i doganieri fluviali cecoslovacchi (spesso di etnia magiara) ben noti per la loro corruzione, tanto da suscitare le proteste della stessa Budapest. E proprio da Komárno passano, nell’agosto 1968, i carri armati sovietici incaricati di reprimere la primavera di Praga.
Solo con gli anni ’60 e la distensione, le relazioni tra le comunità magiafone sui due lati del Danubio può riprendere. A Komárno, le autorità locali si pongono il problema di fornire nuove strutture ricettive per il turismo. Un compito arduo, in una economia pianificata: la locale brasseria non riusciva a produrre birra cecoslovacca a sufficienza per la richiesta dei turisti ungheresi.
L’integrazione europea: il Danubio unisce di nuovo?
Dopo il 1989, l’ambizione d’integrazione euro-atlantica portò Slovacchia e Ungheria ad accordarsi sulle questioni bilaterali e di protezione delle minoranze, con un primo trattato già nel 1995. Numerosi e significativi gesti politici ebbero luogo proprio nelle due città di frontiera, dove gli ungheresi recuperarono diritti culturali, con l’apertura di un teatro e di una università in lingua ungherese a Komárno (Selye János University), e di un cinema a Štúrovo. La collaborazione tra le amministrazioni locali decollò. La ricostruzione del ponte sul Danubio a Esztergom con fondi UE nel 2001, così come il rinnovo di quello di Komárno nel 2006, fece da preludio all’ingresso dei due paesi nell’area Schengen nel 2007, con la definitiva dismissione di ogni controllo di frontiera.
La retorica dell’integrazione europea permise persino la ripresa dei riferimenti culturali ungheresi in Slovacchia – come nel caso della Europe Square di Komárno, costruita a partire dal 1999 per rappresentare la diversità culturale del continente, e inaugurata dai due capi di stato e dai rappresentanti UE nel 2000, ma che contiene anche una pletora di simboli nazionali magiari.
Le relazioni tra Slovacchia e Ungheria peggiorano tuttavia di nuovo dopo l’adesione UE. Nel 2009 la Slovacchia adotta una stretta sull’uso delle lingue minoritarie, mentre nel 2010 l’Ungheria decide di concedere la cittadinanza anche agli “ungheresi all’estero”. Le frizioni culminano proprio nel 2009 a Komárno, quando il capo di stato ungherese László Sólyon viene bollato come persona non grata in Slovacchia e deve limitarsi a una conferenza stampa sul ponte, anziché partecipare all’inaugurazione della statua del re Istvan, considerata dagli slovacchi come un simbolo di predominio e riconquista.
Oggi le due sponde del Danubio vivono in una Europa senza confini, ma il periodo dell’entusiasmo ha lasciato il passo ad un certo riflusso. Molti residenti di Komárno continuano ad attraversare il confine per lavorare in Ungheria presso la ex fabbrica Nokia, oggi CPT. La pista ciclabile Eurovelo 6 che attraversa l’Europa da ovest a est, dall’estuario della Loira al delta del Danubio, costeggia tutto il confine ungherese-slovacco sui due lati, segno di una normalità acquisita ma da non dare per scontata.
Per approfondire:
- Hélène Despic-Popovic, Komarno, un ponte che divide, Libération/VoxEurop, 2010
- Barnabás Vajda, The Komárom/Komárno Case or From the ‘Iron Curtain Feeling’ to a ‘No-Border Feeling’.
- Jarosław Jańczak, Revised Boundaries and Re-Frontierization Border Twin Towns In Central Europe, RECEO 2013/04, no. 44
Foto: Ponte di Esztergom, Wallpaperflare