Miroslav Lajčák è il nuovo inviato speciale dell’Unione europea per il dialogo tra Kosovo e Serbia. Il diplomatico slovacco torna così nella penisola balcanica, dove è già stato ambasciatore a Belgrado (2001), supervisore del referendum per l’indipendenza del Montenegro (2006) e Alto Rappresentante per la Bosnia-Erzegovina (2007-2009). Lajčák è chiamato a smuovere un dialogo fermo da diverso tempo e complicato ulteriormente dalla tumultuosa fase che sta attraversando la politica kosovara.
Il difficile dialogo tra Belgrado e Pristina
Il dialogo tra Belgrado e Pristina si trova in una fase di stallo, dopo un periodo di speranze seguito all’accordo di Bruxelles del 2013, che aveva spinto le parti a dei passi concreti verso una normalizzazione delle relazioni. Speranze disattese, visto che il dialogo si è arenato soprattutto sulla questione dei poteri dell’associazione/comunità delle municipalità serbe del Kosovo. La battuta d’arresto definitiva di questa fase è stata sancita dai dazi imposti dal Kosovo sui beni importati dalla Serbia, a seguito dell’ostruzionismo di Belgrado nei confronti dell’adesione di Pristina ad alcuni organismi internazionali, e della sua campagna per far ritirare a vari piccoli paesi il riconoscimento del Kosovo. Le due parti si sono, così, nuovamente allontanate.
Sullo sfondo vi sono, da una parte, il desiderio dell’Unione europea di distendere i rapporti e di arrivare a un dialogo che potrebbe significare il ritorno da protagonista di Bruxelles nella regione; dall’altra, l’influenza statunitense, impersonificata dall’inviato speciale di Donald Trump, Richard Grenell. Il disaccordo sulla situazione tra UE e Stati Uniti è stato particolarmente evidente durante la recente crisi del governo kosovaro di Albin Kurti: la mozione di sfiducia per il primo ministro, sostenuto dai principali paesi europei, ha trovato invece il favore dell’ambasciatore americano e di Grenell. La situazione è ancora in evoluzione e, in questo momento, a Pristina non è ancora chiaro chi debba rappresentare il Kosovo nelle trattative con Belgrado. Un accordo raggiunto nei giorni scorsi avrebbe portato alla nascita di una nuova coalizione, ma Kurti ha fatto ricorso alla Corte costituzionale, bloccando la formazione del nuovo governo almeno fino a fine mese.
Questa complessa situazione mette Miroslav Lajčák di fronte ad un compito difficile. Il suo obiettivo è sbloccare le trattative, sfruttando anche la rimozione dei dazi, e giungere a un accordo di normalizzazione che non preveda uno scambio di territori tra Kosovo e Serbia, un progetto volto a creare delle unità nazionali etnicamente omogenee, non conforme ai valori fondanti dell’Unione. In questo ambito, Lajčák potrebbe dover fronteggiare Grenell, il cui obiettivo è altrettanto giungere al più presto a un accordo, che si presume già sancito a Washington, il quale non esclude, però, l’opzione dello scambio dei territori.
I dubbi sulla nomina di Lajčák
Le perplessità sulla nomina di Lajčák, avanzate da alcuni osservatori, riguardano soprattutto il fatto che il diplomatico proviene da uno dei cinque paesi dell’UE che non hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, al pari del suo superiore, l’Alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri, lo spagnolo Josep Borrell. Secondo gli osservatori Toby Vogel e Bodo Weber, questa convergenza potrebbe dare l’idea di una parzialità dell’UE sulla questione. Non aiutano in questo senso nemmeno le parole di Lajčák nel 2013: “Nessuno in Slovacchia appoggia l’indipendenza del Kosovo”. Non sorprende, quindi, che il presidente kosovaro, Hashim Thaçi, non abbia nascosto il suo disappunto sulla nomina di Lajčák, affermando che “la sua missione è destinata al fallimento, dato che la Slovacchia non ha riconosciuto il Kosovo”.
La passata esperienza di Lajčák in Bosnia-Erzegovina ha dato l’idea di un diplomatico poco propenso all’interventismo. È stato uno degli Alti Rappresentanti che ha utilizzato di meno i poteri di Bonn, con i quali poteva rimuovere i funzionari pubblici che ostacolavano l’attuazione degli accordi di pace di Dayton, ed è stato poco efficace nel confronto con il leader serbo-bosniaco Milorad Dodik, guadagnandosi negli ultimi anni anche la nomea di essere “filo-serbo“.
Gli stessi media serbi, però, non si aspettano il favore di Lajčák, presentato a Belgrado, invece, come un personaggio “filo-occidentale” e “neutrale” nella disputa sul Kosovo. Il diplomatico slovacco ha più volte criticato Belgrado per il suo atteggiamento ondivago nei confronti dell’Unione europea, visto che lo sguardo della politica serba tende spesso a volgersi in direzione di Russia e Cina.
Le speranze
Borrell, però, si è detto convinto che Lajčák svolgerà un ottimo lavoro. La sua scelta è stata dettata anche dalla profonda conoscenza della penisola balcanica e della lingua serba che il diplomatico slovacco ha acquisito negli anni passati. Il giornale bosniaco Oslobodjenje ha inoltre sottolineato come Lajčák tenda a servirsi della “diplomazia della pressione“, lavorando dietro le quinte per raggiungere i propri obiettivi.
L’Unione europea spera in una ripresa del dialogo, che pare finito in un vicolo cieco, e affida a Lajčák un compito difficile. I prossimi mesi mostreranno se il diplomatico slovacco avrà saputo favorire una nuova fase nelle relazioni tra Belgrado e Pristina.
Foto: Prishtina Insight