La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) dà ragione a Khadija Ismayilova per la terza volta. L’Azerbaigian è stato nuovamente condannato a pagare i danni alla giornalista, da anni vittima di persecuzioni e campagne denigratorie a causa dei suoi articoli sulle operazioni finanziarie della famiglia del presidente Ilham Aliyev.
Per la CEDU, il governo azero ha violato il diritto alla privacy di Ismayilova, perché non ha sanzionato adeguatamente il giornale che nel 2012 aveva diffuso un suo video in atteggiamenti intimi con il suo partner dell’epoca.
Anni di accuse e diffamazioni
Il video era stato registrato da una telecamera nascosta nell’appartamento della giornalista e aveva dato il via a una vera e propria campagna diffamatoria nei suoi confronti, in cui è stata paragonata a una pornostar e accusata di organizzare regolarmente orge nel suo appartamento. Accuse già di per se pesanti, ma ancora di più in una società conservatrice come quella azera.
La campagna contro Ismayilova è continuata con il suo arresto nel dicembre 2014, con l’accusa di incitazione al suicidio nei confronti di un ex collega. Accusa poi ritirata, ma la giornalista era ormai stata condannata a sette anni e mezzo per evasione fiscale, con le autorità che cercavano qualsiasi pretesto per ostacolare le sue indagini sulla corruzione in Azerbaigian. Anche dopo il rilascio nel 2015, dopo 18 mesi di prigione, Ismayilova non ha potuto esercitare liberamente la professione di giornalista, sottoposta a varie restrizioni, tra cui il divieto di lasciare il Paese.
Già a gennaio 2019 la CEDU aveva condannato il governo a pagarle oltre 16 mila euro di danni per non aver indagato adeguatamente sulla vicenda dei video. A febbraio 2020, la condanna a sette anni e mezzo di prigione è stata dichiarata illegale in quanto aveva il solo scopo di ridurla al silenzio e si sono aggiunti altri 20 mila euro di danni.
Ismayilova, Mukhtarli e i media in Azerbaigian
Il caso Ismayilova è soltanto la punta dell’iceberg quando si parla di repressione dei media in Azerbaigian, un Paese che si trova al 168° posto su 180 della classifica sulla libertà di stampa di Reporters Without Borders. La stessa Ismayilova ha raccontato in una recente intervista come il governo stia abusando delle restrizioni anti-Covid-19 sul movimento dei cittadini per arrestare giornalisti, membri dell’opposizione e chiunque critichi il governo.
Il presidente Aliyev non si lascia fermare nemmeno dalle frontiere per contrastare chiunque osi criticarlo: celebre è il caso del giornalista Afghan Mukhtarli, sequestrato dalle autorità azere nel 2017 in Georgia, dove si era trasferito insieme alla moglie per sfuggire alle minacce ricevute a causa delle sue indagini sulla corruzione nell’apparato governativo. Condannato a sei anni di prigione con un’accusa pretestuosa, Mukhtarli è stato rilasciato a marzo, dopo aver scontato un terzo della pena. Aveva iniziato uno sciopero della fame in carcere per protestare il trattamento intimidatorio ricevuto da lui e dal suo avvocato. Dopo la scarcerazione, ha raggiunto sua moglie in Germania.
Ma se il caso Mukhtarli e quello Ismayilova hanno, per ora, un lieto fine, lo stesso non si può dire del resto dei giornalisti azeri: soltanto quest’anno hanno subito arresti e minacce per i loro articoli sulla pandemia di coronavirus e sulle frodi alle elezioni dello scorso febbraio.
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