Corte suprema

POLONIA: La presidente della Corte suprema lascia. Nemica del popolo o del populismo?

Essere giusti apparendo ingiusti, onesti sembrando iniqui, obiettivi ma descritti come faziosi e settari. In genere è questo il destino dei giudici che si mettono in testa, chissà perché, di difendere le istituzioni democratiche dall’arbitrio dei politici. E non fanno una bella fine, gettati in pasto a un’opinione pubblica addomesticata da media compiacenti, accusati di agire contro il popolo e per interessi di ‘casta’. È quanto accaduto a Małgorzata Gersdorf, presidente della Corte suprema polacca.

Una purga mascherata da riforma

Małgorzata Gersdorf ha tenuto duro per due anni poi, scaduto il mandato, si è dovuta ritirare. Il governo, guidato dagli ultra-conservatori di Diritto e Giustizia (PiS) la voleva liquidare già nel 2018, quando fece passare una contestata legge che obbligava i giudici della Corte suprema ad andare in pensione a 65 anni, ovvero con cinque anni di anticipo rispetto alla legge precedente: un modo, legale per carità, di sbarazzarsi della vecchia e riottosa guardia per sostituirla con giudici vicini al partito di governo. Una purga mascherata da riforma.

La presidente Gersdorf si oppose. Continuò ogni giorno ad andare al proprio ufficio. E non da sola. Ogni giorno una folla di persone l’accompagnava con cartelli e cori di sostegno. Il presidente della Repubblica, Andrzej Duda, benché membro del PiS, dovette fare un passo indietro e aspettare il termine naturale del mandato della Gersdorf. Quel termine è scaduto, due anni sono passati, e la situazione della Polonia non è cambiata. L’Unione Europea si è mostrata timida nel sanzionare il governo polacco. Se è vero che la legge sul pensionamento anticipato dei giudici è stata bloccata grazie all’intervento di Bruxelles, è vero anche che si è dovuta attendere l’approvazione dell’ennesima legge di riforma del sistema giudiziario per avviare una procedura d’infrazione nei confronti della Polonia.

Una nuova legge “museruola”

L’occasione è venuta dall’approvazione di una legge che permetterà al governo di punire i giudici che ne criticano le riforme giudiziarie e le nomine di cariche pubbliche, e che proibisce ai giudici di svolgere qualsiasi attività pubblica che possa essere considerata politica. Le punizioni variano dalle semplici multe al licenziamento. Questa legge – che Gersdorf ha apostrofato come ‘legge museruola’ – approvata a gennaio 2020, ha finalmente prodotto una ferma reazione da parte dell’Unione Europea.

“Non ancora un regime autoritario”

Intervistata dall’emittente TVN24, la Gersdorf ha espresso tutta la sua preoccupazione per il futuro del paese. Alla domanda se la Polonia fosse uno stato autoritario, ha risposto: “Non ancora, ma lo stiamo diventando molto velocemente”. In una lettera ai colleghi ha raccontato le difficoltà di trovarsi a fronteggiare una situazione cui non era preparata, attaccata dai giornali governativi, dal governo, persino dal presidente della Repubblica che l’ha indicata come membro di una “casta” aggrappata ai propri privilegi e disinteressata “al bene del popolo”. “Ho pagato per difendere l’indipendenza di giudici e giudici – ha scritto la Gersdorf – diventando l’obiettivo di attacchi meschini e brutali. Non ero preparata a tutto questo”.

Occupare la Corte

Con la partenza della Gersdorf e il ritiro di altri quattro giudici, il governo agirà rapidamente per occupare politicamente la Corte suprema, proprio come ha già fatto con la Corte costituzionale e il Consiglio giudiziario nazionale (l’organismo che nomina i giudici), riempiendoli di figure fedeli al governo.

Per quanto il suo ruolo le ha consentito, Małgorzata Gersdorf ha difeso lo stato di diritto del suo paese, diventando un simbolo della resistenza e dell’opposizione alla deriva autoritaria del governo polacco. E adesso? La crisi sanitaria non ha reso possibile convocare un’assemblea generale della Corte per designare il suo successore, come prevede la Costituzione, e così ci ha pensato il presidente Duda, con un bel tratto di penna, a nominare il fedelissimo Kamil Zaradkiewicz al ruolo di presidente della Corte suprema.

La libertà si mangia?

È bastato attendere un paio d’anni, giusto un po’ di pazienza, e si è comunque raggiunto l’obiettivo. La democrazia va smontata un pezzo alla volta, una riforma alla volta, senza clamore. I cittadini sono assopiti dai pifferai di regime. E poi la giustizia, la Costituzione, la legge: chi ci capisce davvero qualcosa? Basta lasciare quel simulacro di democrazia che sono le elezioni, e il resto lo svuoti, la gente non capirà. Ci voterà ancora. E ancora. Le ricette del PiS hanno successo, le classi più povere hanno finalmente trovato un governo che le sostiene. Magari costa un po’ di libertà. Ma si mangia, la libertà?

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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