Albania

La lotta partigiana albanese, una storia strana

Il 25 aprile in Albania non è il 25 aprile ma il 29 novembre. Di un anno prima, il 1944. In quella data le milizie partigiane entrarono vittoriose nell’ultima roccaforte nazista nel paese, Scutari.

Una lotta di liberazione strana…

Quella della lotta di liberazione in Albania è una storia strana: innanzi tutto perché non inizia subito con l’arrivo dell’invasore. Quando l’Italia di Benito Mussolini invade l’Albania, nell’aprile del 1939, la popolazione albanese non può opporre una resistenza efficace soprattutto per la sproporzione delle forze in campo. Inoltre, l’atteggiamento di gran parte degli albanesi non è, almeno inizialmente, apertamente ostile verso un regime che si propone di portare investimenti economici ed infrastrutturali in un paese economicamente arretrato. A seguito del piano del regime volto ad italianizzare e fascistizzare l’Albania, l’esercito albanese è inglobato in quello italiano e migliaia di albanesi prendono parte alla fallimentare campagna che, sul finire del 1940, tentò di “spezzare le reni alla Grecia”: un disastro, questo, che segna l’inizio della fine di questa sorta di rapporto di non belligeranza italo-albanese.

Ma la storia della guerra partigiana in Albania è strana anche perché essa assume i connotati di una vera e propria lotta di liberazione soltanto con l’arrivo dei nazisti, nell’autunno del 1943, ma ha una sua tragica coda nei mesi successivi la cacciata dei tedeschi, quando Enver Hoxha, leader dei comunisti diventato presidente dell’autoproclamato governo democratico provvisorio, scatena una resa dei conti tutta interna al movimento partigiano, sbarazzandosi di coloro che non appartenevano al Partito Comunista.

Infine la lotta di liberazione in Albania è strana perché ad essa si associano diversi militari dell’esercito italiano che, a seguito dell’armistizio dell’8 settembre 1943, si rifiutano di arrendersi ai nazisti. Centinaia di soldati confluiscono nel celeberrimo Battaglione Gramsci, prendendo parte attiva alla resistenza albanese.

Le caratteristiche del fronte partigiano

Se è vero che la lotta partigiana senza quartiere inizia solo con l’arrivo dei tedeschi, va anche detto che già dal 1942 erano attivi almeno tre diversi gruppi: gli zoghisti (Legaliteti) guidati da Abaz Kupi, fedeli al re Zog I e desiderosi di una sua restaurazione, i comunisti di Hoxha, nati come partito solo un anno prima con il supporto del leader dei comunisti della vicina Jugoslavia, il Maresciallo Tito e, infine, il Fonte Nazionale (Balli Kombetar), repubblicani per larga parte espressione dei grandi proprietari terrieri, fortemente anti-comunisti e nazionalisti, favorevoli al mantenimento dell’Albania etnica che, per paradosso, era stata realizzata proprio dai fascisti con l’annessione del Kosovo e di alcuni territori della Grecia, della Macedonia e del Montenegro a maggioranza albanese.

Nel settembre del 1942, a Peze, comunisti e zoghisti danno vita anche ad un proprio coordinamento, il Movimento di Liberazione Nazionale (MLN), con un consiglio di otto membri, tra cui gli stessi Hoxha e Kupi. Questi gruppi si distinguono inizialmente perlopiù per atti di guerriglia sporadici e azioni di sabotaggio ai quali peraltro il Fronte Nazionale non partecipa, alimentando la progressiva diffidenza tra le parti. Una diffidenza cui si cercherà di porre rimedio con l’accordo di Mukje, nell’agosto del 1943, con il quale le due formazioni partigiane si impegnavano genericamente a contrastare il nemico comune, unico momento di unità tra comunisti e nazionalisti.

La spaccatura del movimento partigiano

L’accordo dura poco soprattutto per le pressioni esercitate dai comunisti jugoslavi su Hoxha. Sono loro a costringere il leader albanese a recedere dal patto, non solo perchè essi ritenevano i ballisti “compromessi” con gli invasori, al punto da meritarsi l’appellativo di “fascisti albanesi”; ma soprattutto perchè è insanabile la divergenza sul futuro del Kosovo. Da una parte i comunisti, per il quale lo status del Kosovo si sarebbe discusso a guerra finita; dall’altra il Fronte Nazionale, che rivendicava come prioritaria l’annessione del Kosovo sotto la bandiera albanese.

La spaccatura definitiva giunge con la disfatta italiana e l’arrivo dei tedeschi. A neanche un mese di distanza dall’accordo di Mukje, a metà settembre del 1943, il Fronte Nazionale trova rapidamente il modo di “convivere” con i nuovi invasori mettendo in piedi un governo collaborazionista guidato da Mehdi Frasheri che nel suo discorso di insediamento ebbe l’ardire di definire gli albanesi “razza ariana di ceppo illirico”(E. Marino “Storia del popolo albanese”, Donzelli Editore). A partire da questo momento il Fronte Nazionale perderà progressivamente presa sulla popolazione, proprio a favore dei comunisti, che si affermano come unica vera forza contro l’invasore. Se è vero, infatti, che molti albanesi non sono insensibili alla retorica nazionalista, è altresì vero che molti di essi non perdoneranno a Frasheri l’alleanza con i tedeschi.

L’epilogo

Nel 1944 i nazisti arretrano progressivamente e la liberazione dell’Albania procede a tappe forzate da sud, dove erano maggiormente attive le unità comuniste, verso nord, assumendo i connotati di una vera e propria guerra civile. In questi mesi, infatti, gli scontri tra collaborazionisti e comunisti furono non meno sanguinosi di quelli che vedevano impegnati questi ultimi contro le forze d’occupazione. Gli scontri, con il passare dei mesi, hanno un chiaro vincitore: perso l’appoggio dei tedeschi in ritirata, i ballisti soccombono alle forze comuniste. A metà novembre i partigiani liberano Tirana, guidate da Mehmet Shehu – che sarà ministro degli interni per trent’anni con Hoxha prima di essere “suicidato” da quest’ultimo, all’apice degli anni del suo delirio paranoide – per poi giungere a Scutari due settimane più tardi.

Il Movimento di Liberazione Nazionale viene ridenominato Fronte Democratico d’Albania e, come unica lista ammessa alle elezioni del dicembre del 1945, raccoglie il 93% dei suffragi. Mentre il Kosovo viene “restituito” ai compagni jugoslavi, che reprimono gli ultimi focolai di resistenza albanese all’annessione, in Albania prosegue inarrestabile la campagna di epurazioni, omicidi e vendette dei vincitori sui vinti, da cui sfuggono Frasheri e Kupi, che riparano in Italia e negli Stati Uniti.

Finisce così la lotta partigiana albanese e inizia l’era di Enver Hoxha, la dittatura più duratura del Novecento europeo.

Chi è Pietro Aleotti

Milanese per caso, errabondo per natura, è attualmente basato in Kazakhstan. Svariati articoli su temi ambientali, pubblicati in tutto il mondo. Collabora con East Journal da Ottobre 2018 per la redazione Balcani ma di Balcani ha scritto anche per Limes, l’Espresso e Left. E’ anche autore per il teatro: il suo monologo “Bosnia e il rinoceronte di pezza” ha vinto il premio l’Edizione 2018 ed è arrivato secondo alla XVI edizione del Premio Letterario Internazionale Lago Gerundo. Nel 2019 il suo racconto "La colazione di Alima" è stato finalista e menzione speciale al "Premio Internazionale Quasimodo". Nel 2021 il racconto "Resta, Alima - il racconto di un anno" è stato menzione di merito al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti.

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