La democrazia in Slovenia e in Croazia compie 30 anni. Nelle due allora repubbliche jugoslave tra aprile e maggio del 1990 si tennero le prime elezioni multipartitiche, delle quali in questi giorni ricorre il trentesimo anniversario. In Slovenia si votò l’8 aprile, mentre la prima tornata elettorale in Croazia si svolse il 22 dello stesso mese. Queste consultazioni segnarono una sconfitta per i comunisti, facendo imboccare alle due repubbliche e alla Jugoslavia tutta una strada dalla quale era difficile tornare indietro.
Una crisi che viene da lontano
Il 1990 fu l’anno in cui il mondo iniziò ad accorgersi dei problemi strutturali che affliggevano la Jugoslavia, anche se le difficoltà politiche ed economiche che si trascinava dietro erano già emerse negli anni ’80. Il vuoto politico causato dalla morte del maresciallo Tito non fu mai colmato. Con lui iniziò a morire lo spirito di “unità e fratellanza” che aveva caratterizzato i decenni del dopoguerra e aveva tenuto insieme il mosaico jugoslavo. Nelle società civili e in politica si aprirono gli spazi per rivendicare la propria appartenza etnica e crescevano allo stesso modo le spinte democratiche.
Le spinte democratiche
La Slovenia e la Croazia, in particolare, chiedevano più autonomia, un progetto che si scontrava con il centralismo di Slobodan Milošević, dal 1986 presidente della Lega dei comunisti serbi e dal 1989 presidente della Serbia. Milošević, con la sua politica verso il Kosovo e con il controllo esercitato su Vojvodina e Montenegro, mostrava chiara la sua volontà di ridurre le autonomie a vantaggio di un potere accentrato a Belgrado, accompagnata da una retorica sempre più nazionalista.
Al malcontento in campo politico si sommava inoltre quello economico: sebbene gli standard di vita in Jugoslavia fossero migliori di quelli di altri paesi comunisti, le differenze tra le repubbliche settentrionali e le altre era palese. Ad acutizzare le spinte centrifughe ebbe grande importanza la crisi economica in cui versava la Jugoslavia: il debito estero era alle stelle, la disoccupazione oltre il 17% e l’inflazione al 120%.
Il 22 gennaio del 1990 la delegazione dei comunisti sloveni abbandonò il XIV congresso della Lega dei comunisti di Jugoslavia, in polemica con l’ostruzionismo dei delegati serbi, contrari a tutte le proposte slovene riguardanti legami meno stretti tra le Repubbliche. Poco dopo i delegati croati, guidati da Ivica Račan, li imitarono, seguiti poi da bosniaci e macedoni. Di fatto quello fu l’ultimo congresso della Lega dei comunisti jugoslavi e sancì la fine del sistema a partito unico.
Un nuovo corso per la Slovenia
Il dibattito per una maggiore sovranità slovena era montato nella società civile già alla fine degli anni ’80, sfociando, tra le altre cose in una protesta contro l’esercito jugoslavo nel 1988 e nella nascita di proto-partiti. Nel 1989 la Slovenia modificò la costituzione sancendo il diritto all’autodeterminazione del popolo sloveno, mentre fu cancellato il ruolo guida del partito comunista, aprendo al pluripartitismo. A marzo dell’anno successivo la Slovenia sancì la propria indipendenza economica da Belgrado, mentre il mese successivo furono fissate le prime elezioni democratiche.
Il 54.8% dei voti andò alla coalizione Demos, l’Opposizione democratica di Slovenia. Nonostante fosse ancora la lista più votata, la Lega dei Comunisti di Slovenia (ZKS) era sconfitta. Il 16 aprile si insediò, con Lojze Peterle come primo ministro, il primo governo multipartitico sloveno. Ruolo importante nel processo democratico ebbe anche Janez Janša, attuale premier sloveno, che fu ministro della Difesa nel governo Peterle.
A vincere la corsa per la presidenza della repubblica fu invece Milan Kučan, uno dei 120 delegati comunisti a lasciare l’aula quel 22 gennaio. Kučan sconfisse Jože Pučnik di Demos nel ballottaggio del 22 aprile con il 58.59% delle preferenze. Kučan vinse poichè godeva già di grande prestigio personale, oltre a essere stato uno dei primi promotori del multipartitismo e della democratizzazione.
L’ascesa dell’HDZ in Croazia
Nello stesso giorno si tenevano elezioni anche nella vicina Croazia. Anche qui nuovi partiti politici avevano iniziato a nascere solo nell’ultimo anno, inizialmente come associazioni, per poi essere legalizzati in dicembre. Il partito nazionalista, l’Unione Democratica Croata (HDZ), fu fondato nel giugno 1989 da Franjo Tudjman. Ex generale dell’esercito jugoslavo caduto in disgrazia presso Tito proprio per il suo nazionalismo, Tudjman attirò molti finanziamenti elettorali dalla diaspora croata, con slogan secondo cui solo l’HDZ poteva proteggere i croati dalla mire territoriali serbe.
Quelle che furono le prime elezioni multipartitiche croate dal 1938 e le prime per il parlamento dal 1913, consegnarono la vittoria all’Hdz. Il partito di Tudjman, favorito dal sistema maggioritario strappò 205 seggi nell’assemblea tricamerale, scalzando dal potere dopo 45 anni la Lega dei comunisti di Croazia. I comunisti cercarono di presentarsi come forza moderna e riformista, ma questo non bastò.
Tudjman fu eletto dal parlamento presidente della presidenza croata – poi presidente della Croazia – il 30 maggio. Tudjman sarà l’artefice dell’indipendenza croata e guiderà la nazione nella “guerra patriottica” del 1991 – 1995, improntando la Croazia su un nazionalismo autoritario fino alla democratizzazione dopo la sua morte nel 1999.
La chimera di una riforma e uno scontro quasi scontato
Le elezioni della primavera 1990 in Slovenia e Croazia segnarono un momento di svolta per le due repubbliche – e un passaggio chiave per la dissoluzione della Jugoslavia. Dopo tali risultati l’ormai politicamente debole premier federale jugoslavo Ante Marković, propose elezioni federali democratiche entro l’anno, come perno per il rinnovamento della Jugoslavia. Oramai però era Milošević a tirare le fila, e il nazionalismo di cui era promotore, unito al progetto di una Grande Serbia, non remava in questa direzione.
Le elezioni nelle repubbliche jugoslave sancirono nella maggior parte dei casi la vittoria di movimenti in difesa delle varie identità nazionali. La cosa non fece che peggiorare i rapporti con la leadership jugoslava a guida serba, che si rafforzò rieleggendo Milošević. Slovenia, e Croazia proposero di trasformare la Jugoslavia in una federazione libera, ma trovarono l’opposizione serba. Milošević affermò il diritto all’autodeterminazione dei serbi, iniziando a sostenere soprattutto la minoranza in Croazia. I preparativi per il conflitto erano cominciati.
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