Jasenovac

CROAZIA: Istituzioni e minoranze insieme per ricordare le vittime di Jasenovac

Le massime autorità della Croazia si sono riunite insieme ai rappresentati delle minoranze a Jasenovac, mercoledì 22 aprile, per ricordare le 83.145 vittime del più grande campo di concentramento creato nel Paese durante la Seconda Guerra Mondiale. Hanno partecipato alla cerimonia il presidente della Repubblica Zoran Milanović, il primo ministro Andrej Plenković e il presidente del parlamento Gordan Jandroković. Per la prima volta dal 2016, i rappresentanti delle minoranze hanno accettato di unirsi alla commemorazione: Ognjen Kraus per la comunità ebraica, Milorad Pupovac per quella serba e Veljko Kajtazi per quella rom. Presente anche Franjo Habulin a nome dell’Alleanza dei combattenti antifascisti e degli antifascisti della Repubblica di Croazia.

Era il 2014 l’ultima volta in cui tutte le massime autorità dello stato avevano presenziato alla cerimonia. Negli anni precedenti, la ex presidente Kolinda Grabar-Kitarović aveva evitato di presentarsi a Jasenovac, inviando soltanto un proprio portavoce.

La disperata lotta per la vita del 22 aprile 1945

Tre mesi dopo la liberazione di Auschwitz, l’avanzata dell’Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia aveva spinto il governo-fantoccio filo-nazista della Stato Indipendente di Croazia (NDH), gli ustaša, a tentare di nascondere la terribile realtà del campo di concentramento di Jasenovac, di cui erano responsabili. Dopo lo sterminio di tutte le donne, era chiaro che, il 22 aprile 1945, la stessa sorte sarebbe toccata ai restanti 1073 prigionieri del campo. L’obiettivo delle forze fasciste, dirette da Vjekoslav Luburić, era cancellare le tracce del crimine commesso.

Secondo il racconto della storica Nataša Mataušić, circa 600 prigionieri, guidati da Ante Bakotić, decisero di sfondare le porte del campo e tentare la fuga al grido “Naprijed drugovi” (“Avanti compagni”). Solo 106 sopravvissero. I restanti, già ridotti in gravi condizioni dallo sfruttamento nel campo, furono uccisi dalle forze fasciste. Circa 470 prigionieri, anziani o malati, non parteciparono al tentativo di fuga: alcuni troppo deboli, altri rassegnati alla morte. Probabilmente furono uccisi lo stesso giorno o finirono arsi vivi nell’incendio appiccato per distruggere il campo. Anche Ante Bakotić non ce la fece. Čedomil Huber, uno dei sopravvissuti, ha così descritto la sua morte:

“Quando siamo usciti, Ante è stato colpito a morte. Mi sono fermato per aiutarlo. Mi ha ordinato di andare avanti, perché qualcuno doveva sopravvivere. Con un ultimo sforzo, ho visto che si era trascinato fino alla riva della Sava e si è perso fra le sue onde.”

Nel campo di concentramento di Jasenovac furono uccise 83.145 persone, appartenenti alle comunità serba, ebrea e rom, oltre a un grande numero di oppositori del regime ustaša.

Le cerimonie divise degli anni passati

I rappresentanti delle minoranze non partecipavano alla commemorazione insieme alle autorità del Paese dal 2016, a causa di una politica governativa considerata troppo tollerante nei confronti del revisionismo storico. L’allora ministro Zlatko Hasanbegović, storico noto per la sua vicinanza all’estrema destra, aveva definito il numero delle vittime del campo di concentramento “moltiplicato ad arte”, mentre nel 2017, a Jasenovac, un gruppo di politici e cittadini aveva aposto una lapide ai caduti delle Forze Armate Croate (HOS), gruppo paramilitare di estrema destra attivo durante la guerra d’indipendenza croata dei primi anni ‘90.

Sulla lapide compariva anche il saluto “Za dom spremni” (lett. “pronti per la patria”), utilizzato dagli ustaša. Dopo forti polemiche, il monumento è stato rimosso nel settembre dello stesso anno, per essere spostato poco lontano, nel comune di Novska.

Una nuova fase politica?

La cerimonia condivisa di quest’anno è frutto di una fase politica più moderata, che potrebbe aiutare la Croazia a fare i conti con il proprio passato e con l’importante problema del revisionismo storico. L’arrivo alla presidenza di Milanović, del Partito Socialdemocratico, è stato un passo importante verso questo nuovo clima, cui sta contribuendo anche Plenković, a guida della corrente più moderata dell’Unione Democratica Croata (HDZ), il partito di centrodestra al governo, all’interno del quale non mancano frange estremiste e nazionaliste.

La strada, però, resta lunga. Lo ha ribadito il rappresentante delle comunità ebraica Ognjen Kraus, dichiarando di essere venuto alla commemorazione per mostrare la buona volontà della sua comunità e per cancellare tutte le eredità che fanno vergognare il Paese. Kraus ha tuttavia aggiunto che, se la situazione non dovesse migliorare, non sarà presente l’anno prossimo. Simile la dichiarazione di Milorad Pupovac, rappresentante dei serbi di Croazia, che ha visto questa cerimonia come un pegno per il futuro.

Sul tavolo resta il problema del diffuso revisionismo, che non è mancato nemmeno quest’anno: Miroslav Škoro, già candidato alla presidenza della repubblica, ha espresso dubbi sul reale numero delle vittime. Sotto accusa anche il Ministero dei veterani di guerra, che starebbe finanziando dei gruppi di ricerca sul lavoro nel campo di Jasenovac, e la lapide ai caduti del HOS, che Milanović vorrebbe rimossa. Le parole di Plenković, però, sembrano dare qualche speranza: “Questo governo non ha nessuna tolleranza per il revisionismo, lo abbiamo detto e dimostrato più volte”.

Foto: profilo ufficiale Facebook di Zoran Milanović 

Chi è Dino Huseljić

Studente dell'Università di Pisa, cresciuto in Bosnia-Erzegovina e formato in Lombardia. Si interessa di Balcani e di tutto ciò che riguarda il calcio e la pallacanestro.

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