nazismo e comunismo

Ma quale equiparazione tra nazismo e comunismo? La solita miopia

di Francesco Magno e Matteo Zola*

Il 19 settembre scorso il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione che ha fatto molto discutere “sull’importanza della memoria europea per il futuro d’Europa”. Il testo della risoluzione è stato presentato dai media  generalisti come una equiparazione tra nazismo e comunismo. Ma è davvero così?

Nessuna equiparazione

Rispondiamo subito, a nostro avviso non c’è un’equiparazione tra le due ideologie. E non c’è una condanna del comunismo nel suo senso più pieno. Certo, si legge a più riprese che l’Unione Sovietica era un regime totalitario. Ma non è forse così? Si mettono poi sullo stesso piano nazismo e stalinismo, che vengono definite ‘ideologie totalitarie’. Vogliamo forse affermare che lo stalinismo non sia stato un regime totalitario e assassino equiparabile al nazismo?

La risoluzione non parla dei partigiani, della lotta di classe, dei diritti dei lavoratori. Parla dell’Europa, com’è ovvio dato che proviene dal Parlamento europeo. Parla soprattutto dell’Europa centro-orientale, che del nazismo e dello stalinismo è stata vittima. Parla dell’URSS e dei regimi comunisti degli stati satelliti che definisce – giustamente – “autoritari”.  O vogliamo affermare che i regimi di Ceausescu, Hoxha, Gomulka, Živkov, fossero paradisi del socialismo realizzato?

Quando nel testo si dice che il Parlamento “invita tutti gli Stati membri dell’UE a formulare una valutazione […] riguardo ai crimini e agli atti di aggressione perpetrati dai regimi totalitari comunisti e dal regime nazista” è ovvio che non parla di Cuba ma dell’Europa orientale. Non c’è, insomma, una equiparazione tra comunismo e nazismo. E sarebbe anche impossibile farla, data la natura multiforme e policentrica di ciò che va sotto il nome di “comunismo”. La risoluzione parla solo di stalinismo, di Unione Sovietica, di regimi autoritari negli stati satelliti. E questo appare ancor più evidente quando si cita Witold Pilecki, eroe di Auschwitz, ucciso dai “liberatori” sovietici. Che liberatori non furono.

La memoria degli altri

Non lo furono per polacchi, boemi e moravi, slovacchi, ungheresi, romeni e moldavi, lettoni, lituani ed estoni, finlandesi. E sarebbe ora di capirlo. Sarebbe ora di saltarlo questo benedetto muro che ancora divide l’Europa in due parti che non si comprendono. Sarebbe ora che l’occidente smettesse di sostenere che esiste solo una Storia, la sua. Noi occidentali non riusciamo mai a metterci nei panni degli altri, e li giudichiamo dall’alto della nostra pseudo superiorità morale e politica. Sarebbe bello che qualcuno spiegasse perché i polacchi, i finlandesi, gli ucraini, i lituani, gli estoni e i lettoni dovrebbero ritenere il comunismo sovietico meno criminale del nazi-fascismo.

Eppure, a occidente, risulta estremamente difficile credere che a est abbiano potuto interiorizzare il passato diversamente da noi. Si badi bene: la maggioranza degli europei orientali ritiene il nazi-fascismo e l’Olocausto delle bestialità della Storia, nonostante una vulgata diffusa si diverta a definire sempre i nostri cugini dell’altra metà del continente come dei piccoli balilla sul piede di guerra con baionetta in mano e sete di sangue. Ciò non toglie che i loro traumi e, soprattutto, il loro percorso di memoria siano diversi dal nostro.

Proprio quando Hitler iniziava a consolidare il suo potere in Germania, migliaia e migliaia di ucraini morivano di fame per precisa volontà di Stalin. E se è vero che ogni vita umana è uguale, vien da chiedersi quale sia la differenza tra uccidere in nome della razza in un campo di concentramento e uccidere privando del cibo in nome della rivoluzione? Mentre in Italia e in Francia il partito comunista agiva clandestinamente in opposizione al fascismo, l’Armata Rossa massacrava i prigionieri di guerra polacchi per poi gettarli in una fossa comune nella foresta di Katyn. Sostenere che l’Europa centro-orientale sia stata liberata dall’Armata Rossa nel migliore dei casi è crassa ignoranza, nel peggiore è disonestà intellettuale. Quando nel 1956 gli ungheresi insorsero contro il dominio comunista, a stroncarli furono quegli stessi carri armati sovietici che non avevano mai lasciato il suolo magiaro dal 1944.

“I soliti fasci orientali”?

Oggi come allora la sinistra occidentale, almeno quella più radicale, compie lo stesso errore. Taccia gli est europei di fascismo per non prendersi la briga di scavare nel fondo della loro sensibilità, per non fare lo sforzo di capire l’altra Europa. Non fu capito il ’56 ungherese, non fu capita la Primavera di Praga: “reazionari, deviazionisti, fascisti”, così venivano tacciati dai compagni di allora coloro che si opponevano a mani nude contro i carri sovietici. Questa risoluzione, che è certo malfatta e inappropriata, ha scatenato gli stessi fantasmi di allora. La stessa miopia di allora.

L’indignazione di coloro che oggi gridano all’ipotetica equiparazione tra comunismo e nazismo che sarebbe contenuta in questa risoluzione, è pretestuosa. Anche quando stabilisce che il patto Molotov-Ribbentrop “ha spianato la strada allo scoppio della Seconda guerra mondiale”, il testo parla di patto “nazi-sovietico”. Il termine comunismo non viene utilizzato. E quello del famigerato patto è certo l’errore più grande di questa risoluzione, poiché è già dal 1918 che vanno semmai cercate le cause del Secondo conflitto mondiale.

La memoria è plurale

In generale, bisognerebbe riflettere sull’effettiva necessità di regolamentare per legge la memoria che non è una, ma plurale. Costringere milioni e milioni di persone ad accettare un ricordo condiviso scelto a tavolino che spesso non corrisponde al vissuto reale costituisce forse il vero e più grande atto di fascismo intellettuale. La Storia insegna la complessità e sfugge dalle righe cui i politici la costringono e la piegano. È questo il torto più grande di chi l’ha votata.

Un messaggio a Putin

Non spetta ai parlamenti esprimere valutazioni storiografiche, non spetta ai politici dichiarare memorie ufficiali o proporre letture del passato. Il vero scopo di questo tipo di provvedimenti è sempre politico, quanto mai attuale. A chi parla la risoluzione? Alla Russia di oggi, quella putiniana, che ha invaso e illegalmente annesso la Crimea, che ha occupato il Donbass, l’Abcasia, l’Ossezia meridionale, che finanzia partiti russofili nel Baltico. A quella Russia viene mandato un messaggio da parte di un’Europa che, è bene ricordarlo, ha recentemente rinnovato le sanzioni economiche verso Mosca.

Si tratta quindi di un documento politico in cui la Storia viene utilizzata strumentalmente, per interessi immediati, per dar forma al presente dell’Europa e non per ragionare sul passato. Una risoluzione fortemente voluta dai paesi dell’est, polacchi in testa, di cui certo avremmo fatto tutti a meno. Non per l’equiparazione tra nazismo e comunismo, che non c’è, ma per la grossolanità dell’intera operazione. Ma questo, agli indignati della domenica, non interessa.

*Francesco Magno, direttore editoriale East Journal

*Matteo Zola, direttore responsabile East Journal

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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