TURCHIA: Gli attacchi del PKK e i raid di Ankara. Che succede all’indipendentismo curdo?

I recenti fatti

Il 19 ottobre 2011 ventiquattro soldati turchi sono stati uccisi in una serie di attacchi simultanei lanciati dai ribelli curdi contro alcune postazioni militari alla frontiera con l’Iraq. Gli attacchi, compiuti da esponenti del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), hanno avuto luogo a Cukurca e Yuksekova, nella provincia di Hakkari. Si tratta dell’attacco più sanguinoso compiuto dal Pkk negli ultimi anni. Oltre cento guerriglieri hanno preso d’assalto contemporaneamente più edifici, aprendo il fuoco contro militari e poliziotti. Una mossa che testimonia l’escalation negli attentati del Pkk, sempre più frequenti negli ultimi mesi.

La risposta turca non si è fatta attendere. È con la promessa di una «grande vendetta» che Ankara ha reagito tra il 20 e il 21 ottobre. Operazioni militari sul confine iracheno e raid aerei anche oltre confine per distruggere le basi del Pkk. Ma come interpretare quanto avviene in Turchia? Siamo di fronte a terroristi che minacciano la democrazia o a un regime militare che soffoca nel sangue gli indipendentisti?

Il Partito dei lavoratori del Kurdistan

Il Partito curdo dei lavoratori nasce ad Ankara nel 1978 su iniziativa di Abdullah Ocalan, già leader del movimento studentesco curdo a inizio anni Settanta. Il partito nasce in un contesto particolare: è quella una Turchia militarizzata, membro Nato ma lontana dalla democrazia.

L’esercito turco ha giocato un ruolo centrale nella storia moderna della Turchia, assurgendo a custode ultimo dei princìpi di laicità ed occidentalità, arrivando ad interrompere la dinamica parlamentare con ben tre colpi di stato (1960, 1971, 1980) seguiti da brevi governi militari volti, ufficialmente, a ristabilire i princìpi del kemalismo, ma, in realtà, a parte il primo caso, a reprimere duramente l’opposizione sindacale e politica.

NOTA – Il kemalismo – che prende il nome dal pater patriae Kemal Ataturk – è un’ideologia nazionalista, repubblicana e laica nata a seguito della vittoria sui greci nel 1920 e della nascita del moderno stato turco. Ataturk abolì il Califatto, adottò l’alfabeto latino, laicizzò lo Stato. Oggetto di una vera e propria religione civile creò uno Stato autoritario secondo alcuni necessario per favorire l’occidentalizzazione della Turchia.

La svolta armata

Il Pkk nasce quindi in un periodo di marcato autoritarismo. La situazione delle minoranze era critica a causa del nazionalismo imperante. La risposta del Pkk fu l’adesione a una ideologia di estrema sinistra (maoista/marxista) e – successivamente – al ricorso alla lotta armata. Dal 1984 il partito si trasformò in un gruppo paramilitare con basi in Francia e Germania. L’obiettivo dell’indipendenza del Kurdistan si univa a quello della rivoluzione in senso comunista della società. Ciò consentì al Pkk di trovare alleati anche nel mondo dell’estrema sinistra turca e dell’autonomismo armeno.

Il Pkk è anche appoggiato dalla Grecia, dall’Unione Sovietica e dalla Siria che concede al partito di aprire proprie basi nel Paese. Nel 1999 Ocalan – dopo aver cercato asilo politico in Italia, allora guidata dal governo D’Alema – viene arrestato e condannato a morte. Pena commutata poi in ergastolo. L’arresto di Ocalan coincide con un declino della lotta armata: la società turca andava progressivamente – pur timidamente – liberalizzandosi anche grazie alle pressioni dell’Unione Europea. Venne promossa una legge di tutela delle minoranze che spostò la lotta curda sul piano politico. Fu fondato un nuovo partito non-violento che cambiò più volte nome, progressivamente allontanandosi dal sostegno alla lotta armata ma senza mai rinunciare all’indipendentismo.

NOTAIl Kurdistan è un vasto altopiano diviso tra Turchia, Iran, Iraq e, in misura minore, Siria e Armenia. Oggi il Kurdistan iracheno gode di una certa autonomia. In passato Siria e Armenia hanno ospitato le basi militari del Pkk. Il Kurdistan ha avuto una breve parentesi di indipendenza politica alla fine della Seconda guerra mondiale.

Narcotraffico curdo

Il Pkk, come molti movimenti armati indipendentisti, ha finanziato la propria lotta attraverso il narcotraffico. Il Congresso degli Stati uniti, oltre che l’Unione Europea, hanno anche per questo inserito il Pkk tra i movimenti terroristi. Murat Karayilan, noto narcotrafficante, sarebbe attualmente uno dei leader del movimento. Occorre però sottolineare come la propaganda governativa turca abbia fatto di tutto per enfatizzare il fenomeno al fine di gettare discredito sul partito armato curdo. Ad oggi è quindi difficile evidenziare quanto il Pkk sia legato al narcotraffico.

Conseguenze

La lotta del Pkk ha avuto esiti positivi e negativi per la popolazione curda. Da un lato ha costretto l’Unione Europea ad aprire gli occhi sulla situazione delle minoranze in Turchia, facendo pressioni su Ankara affinché ne rispettasse i diritti. La risoluzione del conflitto con il Pkk, l’avvio di un dialogo bilaterale, e l’assorbimento della lotta armata in un contesto democratico, sono conditio sine qua non poste dall’Unione per il proseguimento dei negoziati di adesione. Dall’altro la lotta armata nei territori del Kurdistan turco ha distrutto l’economia locale, gettando nella miseria la regione.

Pkk e Turchia oggi

La società turca va progressivamente modernizzandosi. Il governo Erdogan, islamico moderato, tutela le minoranze etniche, religiose e sessuali garantendone i diritti e le libertà. Molto resta da fare ma la società turca appare plurale, aperta e democratica. I curdi hanno una loro importante rappresentanza in Parlamento. In questo contesto la lotta armata perde di valore facendosi mero terrorismo.

La reazione turca al terrorismo è violenta. L’esercito turco, pur epurato dalle frange marcatamente kemaliste, resta brutale e repressivo. Frequenti sono gli sconfinamenti nei territori del Kurdistan iracheno al fine di scovare le basi del Pkk. Si tratta però di interventi militari sul territorio di un altro Stato, l’Iraq, che sono mal visti dai vicini siriani e mal tollerati da Baghdad. Il rischio è quello di destabilizzare un’area attualmente in tensione. Il Kurdistan turco, infine, appare oggi come un campo di battaglia, una regione militarizzata senza possibilità di sviluppo.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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