UCRAINA: E se un comico potesse salvare il paese?

A pochi giorni dal secondo turno elettorale che domenica prossima deciderà il futuro presidente del paese, sembra molto probabile che il vincitore possa essere davvero Volodymyr Zelensky, il comico che ha sorpreso gli osservatori internazionali dominando il primo turno con oltre il 30% di voti. Ad inseguire, sempre più in affanno, il presidente uscente, Petro Porošenko.

Una figura nuova

In molti, in Ucraina e all’estero, sostengono che Zelensky oltre ad essere un comico, giovane ed inesperto, sia anche una figura debole. “Ve lo immaginate un comico a negoziare con Putin?” ci è stato ripetuto nelle ultime settimane. Una domanda legittima, ma che ha il torto di dismettere troppo rapidamente quello che Zelensky potrebbe rappresentare.

Se da una parte Ze è sicuramente inesperto, dall’altra essere una figura nuova potrebbe rappresentare un grande vantaggio. In primo luogo perché difficilmente amici, colleghi e partner di vario tipo verranno a bussare alla porta chiedendo il conto dei vecchi favori. È sempre successo in Ucraina, e Porošenko non è un’eccezione, dato che ha disseminato i propri compagni politici e vecchi partner in affari tra le principali istituzioni dello stato. Anche se i nomi dei vari Kononenko e Svinarchuk (che ha cambiato il suo cognome in Gladkovskij, proprio quello coinvolto nel recente scandalo di UkrOboronProm) possono risultare sconosciuti ai molti, sono proprio loro ad aver beneficiato maggiormente della presidenza di Porošenko negli ultimi 5 anni, contribuendo in buona misura ad offuscare la sua immagine. Zelensky, al contrario, non ha un proprio clan politico-economico fatto da amici fidati e vecchi compagni di merende.

Un presidente debole e un ruolo nuovo per il parlamento?

Una delle conseguenze positive della probabile presidenza di Volodymyr Zelensky potrebbe toccare anche l’assetto istituzionale del paese. Non va dimenticato, infatti, che formalmente l’Ucraina è una repubblica semipresidenziale. Anche se quel ‘semi’ viene ricordato oggi soprattutto dai sostenitori di Porošenko che ci suggeriscono come il presidente, de jure, non sia responsabile dei problemi nella sfera economica (men che meno nella lotta alla corruzione!!!), spesso ci si dimentica che de facto i poteri del presidente oggi si estendono ben oltre i limiti formali. Uomini fidati al comando dei servizi di sicurezza (SBU), un amico a capo della procura generale e la posizione di Primo ministro occupata da un alleato di vecchia data (che non a caso ha rimpiazzato un meno malleabile Yatseniuk) hanno permesso, seppur informalmente, di concentrare il potere nelle mani del presidente rendendo l’Ucraina de facto una repubblica presidenziale.

Proprio da questo punto di vista la presidenza di Zelensky, uomo nuovo e per certi versi debole al cospetto dei vecchi squali della politica ucraina, potrebbe rappresentare una novità istituzionale positiva, avviando una lenta transizione verso il consolidamento di un modello veramente semipresidenziale. Non è nemmeno detto che questo passaggio debba avvenire per volontà dello stesso Zelensky. La storia dei regimi ibridi in transizione (soprattutto in Asia e America Latina) è piena di cambiamenti istituzionali ‘accidentali’.

L’importanza di questo fattore va ben oltre un ruolo più attivo del parlamento che dovrebbe rappresentare il principale limite ai poteri del presidente. Come sostengono numerosi studiosi, infatti, il principale effetto di un sistema semipresidenziale in contesti caratterizzati da un alto livello di corruzione e clientelismo, è proprio quello di limitare la concentrazione del potere nelle mani di una singola figura con la conseguente creazione di una singola piramide (di un singolo clan) intorno al presidente. Una presidenza più debole potrebbe così comportare la nascita di più centri di potere (parlamento e presidente) in competizione tra loro, limitando di conseguenza le possibilità di un nuovo accentramento del potere. Gli oligarchi non scompariranno certo con Zelensky, i cui legami con Igor Kolomoisky sono ben noti, ma un gioco più competitivo potrebbe paradossalmente consolidare l’assetto semipresidenziale del paese, promuovere un ruolo più attivo del parlamento e dare il via a una lenta transizione verso un modello più democratico, seppur mai ideale rispetto ai parametri delle democrazie consolidate.

Un candidato pro-russo?

Quello per Zelensky non appare solo un voto di protesta nei confronti dell’attuale politica economica, sociale e culturale, ma anche contro la posizione dell’attuale presidente sul conflitto. Il 63% degli ucraini, infatti, considerano la guerra in Donbass come il principale problema del paese.

Anche se la sua posizione sui rapporti con Mosca rimane poco strutturata e nonostante quello che dicono molti detrattori, difficilmente Zelensky come nuovo presidente potrà invertire il corso della politica internazionale e scendere ad accordi inaccettabili per Kiev (e per l’opinione pubblica) su Crimea e Donbass con il Cremlino. Sebbene il suo punto fermo sul tema più caldo – guerra in Donbass – sembra essere la consapevolezza di non poter determinare le sorti del conflitto con la forza, quindi lasciando le porte aperte ad un possibile dialogo con la Russia, ha sempre mantenuto una posizione piuttosto chiara, anche se pragmatica, nei confronti della direzione europea del paese. Pur partendo dall’idea che un allargamento dell’Unione non è in agenda per il prossimo futuro e che l’ingresso nella NATO non è tecnicamente possibile quando parte del territorio del paese è occupato dalla Russia, l’Ucraina continuerà a guardare all’Europa come punto di riferimento. Qualcuno può legittimamente gridare all’appeasement, ma quale altra soluzione realistica sia oggi disponibile, rimane una domanda senza risposta.

Se tutti sappiamo che sul piano internazionale le carte migliori non sono nelle mani di Kiev ma in quelle del residente del Cremlino, sul piano interno, però, la figura e la posizione di Zelensky potrebbe offrire più prospettive per la reintegrazione del Donbass. Il suo bilinguismo, nonostante un ucraino non perfetto e il russo come lingua principale, la sua posizione piuttosto moderata sulla natura multi-identitaria del paese – espresse anche tramite un sostegno selettivo alla decomunizzazione – e i suoi richiami ad una forma di ‘democrazia diretta’ secondo la quale le decisioni più importanti e controverse debbano essere sottoposte a referendum, potrebbero essere tutti elementi in un certo senso riconcilianti per una parte della popolazione dell’est del paese. Di certo sarebbe una cesura piuttosto chiara rispetto alla posizione sempre più etnonazionalista del presidente uscente (suo lo slogan: Esercito, Lingua, Fede). Non a caso, anche se il sostegno per il vincitore del primo turno è più forte nel sud-est, Zelensky è riuscito a vincere anche nella maggioranza delle regioni occidentali del paese, quelle storicamente più ucrainofone.

Tra populismo e società civile

È vero che il successo di Mr. Ze è probabilmente da attribuire alla sua vena che oggi chiameremmo populista. Il richiamo diretto alla contrapposizione tra popolo ed élite, l’uso dei social media, la grande popolarità tra i giovani sono solo alcuni degli elementi centrali del comico che vuole diventare presidente. Per capire davvero il suo successo però bisognerebbe fare attenzione ad usare semplici parallelismi con i populismi di matrice europea. La realtà in Ucraina è ben diversa e la qualità della classe politica e dei problemi legati ad essa (corruzione su tutti) sono imparagonabili con quelli delle democrazie europee, nonostante tutti i loro problemi. Nel contesto ucraino una possibile vittoria di Zelensky potrebbe essere letta come un segnale positivo per la società civile, quella reduce da EuroMaidan, che nonostante i numerosi problemi degli ultimi 5 anni, può ancora aspirare ad avere una voce senza per forza soccombere ai soliti volti noti della vecchia classe dirigente. Il punto quindi non riguarda tanto Zelensky e le sue capacità, quanto il fatto che la sua figura potrebbe rappresentare un punto di non ritorno nella lunghissima transizione del paese e nella complessa relazione tra società civile e politica nell’Ucraina post-sovietica.

Il giullare non cambierà di certo il paese in un baleno, ma gli effetti positivi potrebbero essere più di quelli che siamo capaci di vedere oggi.

Chi è Oleksiy Bondarenko

Nato a Kiev nel 1987. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l'Università di Bologna (sede di Forlì), si interessa di Ucraina, Russia, Asia Centrale e dello spazio post-sovietico più in generale. Attualmente sta svolgendo un dottorato di ricerca in politiche comparate presso la University of Kent (UK) dove svolge anche il ruolo di Assistant lecturer. Il focus della sua ricerca è l’interazione tra federalismo e regionalismo in Russia. Per East Journal si occupa di Ucraina e Russia. Collabora anche con Osservatorio Balcani e Caucaso.

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Un commento

  1. Beppe Grillo ormai è preso ma possiamo mandargli Benigni

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