Babchenko il “nemico della patria” russa che ha inscenato la propria morte

Il giornalista russo Arkadij Babchenko è stato ucciso ieri a Kiev, dove si era rifugiato a causa delle pesanti minacce ricevute in patria. Uno sconosciuto lo ha atteso sulle scale del palazzo in cui viveva, e gli ha esploso tre colpi alla schiena mentre rientrava nel suo appartamento. La moglie lo ha soccorso, ma il giornalista è spirato durante il trasporto all’ospedale.

Così avevamo iniziato a scrivere prima di sapere che no, Babchenko è vivo. La sua morte è stata una messinscena. Per quali ragioni? In un’intervista rilasciata una volta svelato l’inganno, ha dichiarato che si è trattato di “motivi di sicurezza”. Accompagnato da agenti dei servizi segreti ucraini ha detto ai giornalisti che “è stata un’operazione speciale in corso da più di un mese”. Forse si è cercato di stanare potenziali assassini.

La vicenda personale di Babchenko, giornalista russo costretto a lasciare il suo paese e a cercare in rifugio in Ucraina, è complessa e drammatica. Voce critica della coscienza russa, minacciato di morte, additato come “nemico della patria”, aveva partecipato come soldato russo alle guerre cecene. Dal 2000 aveva poi lavorato come corrispondente di guerra per il Moskovsky Komsomolets, e aveva scritto il libro La guerra di un soldato in Cecenia sulle sue esperienze di quegli anni. Il suo sguardo sulla realtà era considerato anti-patriottico nel proprio paese e ciò aveva iniziato a metterlo in pericolo. Già nel 2008 dichiarava: “La società russa è estremamente crudele. La xenofobia e il nazionalismo sono molto diffusi, credo che il mio paese possa essere comparato alla Germania del 1934″.

Aveva narrato delle violenze continue, abituali durante il servizio militare: “Se hai un figlio, sai che un giorno dovrà partire per il servizio militare per due anni e che per due anni lo picchieranno. L’esercito rispecchia la società. Se la società è crudele, l’esercito è crudele. La Russia non ha mai aspirato ad essere una nazione libera. La mentalità dello schiavo fa parte della nostra mentalità. Credo faccia parte di noi. È una cosa terribile. Ci sono tre persone al mondo che odio con tutto me stesso: Boris Eltsin, Graciov (il Ministro della Difesa che ha deciso, con il presidente Eltsin, di lanciare la repressione su Grozny nel 1994, ndr) e Putin”.

Negli ultimi anni, era stato estremamente critico con la politica estera aggressiva di Mosca nei confronti dell’Ucraina, con l’occupazione della Crimea e la guerra nel Donbass, e poi nell’intervento in Siria, e deplorava la continua propaganda e la persuasione occulta effettuata dalle televisioni nazionali.

Un post pubblicato su Facebook il 25 dicembre 2016 gli era costato minacce esplicite. In quel post Babchenko dichiarava di non provare compassione per il coro dell’Armata Rossa perito in un incidente aereo mentre si recava in Siria a suonare per le truppe. La macchina del fango si era immediatamente scatenata, era stato pubblicato il suo indirizzo privato, ed aveva ricevuto continue minacce di morte per sé e per la famiglia. Il canale televisivo Tsargrad lo aveva posto in decima posizione tra i più pericolosi russofobi, additandolo come nemico della patria. Un deputato aveva chiesto a gran voce che gli venisse tolta la cittadinanza. Il giornalista aveva compreso il pericolo, e si era rifugiato a Praga, poi in Israele, ed infine a Kiev, dove aveva iniziato a collaborare con il canale televisivo ATR, che si occupa della minoranza tatara di Crimea.

Dopo l’occupazione russa del 2014 il canale era stato costretto a ridurre i notiziari e ad occuparsi solo di cultura, ma nel 2015 non aveva più ricevuto la licenza per operare in Russia ed aveva dovuto chiudere i battenti. Le trasmissioni sono riprese mesi dopo da Kiev, da dove la rete tenta di difendere i diritti dei tatari, ormai totalmente imbavagliati nella propria terra. Purtroppo a Kiev i fuorusciti russi possono essere raggiunti con facilità: nel marzo del 2017 l’ex deputato Denis Voronenkov è stato freddato da un killer in pieno giorno sulla soglia dell’Hotel Premier Palac, nel centro della città, e il giornalista Pavel Sheremet è stato ucciso da una bomba piazzata nella propria auto. Tornano in mente le parole pronunciate dallo scrittore Viktor Erofeev, certo non un oppositore, dopo l’occupazione della Crimea, quando, parlando dell’informazione televisiva, aveva detto: “Fiumi di odio si riversano dai canali federali della Russia, mescolati al fango della menzogna più sfrontata”.

Vale la pena di leggere il post su Facebook che ha segnato  la caduta in disgrazia di Babchenko in patria:

“C’è forse in me una qualche sorta di compassione per la morte di ottanta dipendenti statali del Ministero della Difesa di uno pseudo-impero uscito di testa, che hanno allestito nel vicino paese, una volta alleato, un’altra battaglia di Stalingrado e un altro assedio di Kursk con migliaia di morti e che sono volati ora in Siria a cantare e danzare a comando per i piloti, per sollevare loro l’animo bellico, perché  bombardino meglio, e compassione per la morte di nove dipendenti delle agenzie di propaganda di massa – anzi dei suoi maggiori esponenti, di “Pervyj kanal” e “Zvezda” – che assemblano storie di fascismo, di juntas dittatoriali, di crocifissioni di bambini, di migliaia di persone ingaggiate in una guerra come quella in Ucraina, così come nella stessa Siria, che hanno giustificato l’arresto di miei amici, che hanno mentito sul fatto che un mio amico viene torturato nella colonia penitenziaria di Segeža (si riferisce a Il’dar Dadin, NdT) che hanno incitato a massacrare me e i miei amici, che hanno gettato tonnellate di merda sulle persone a me vicine e che più di una volta hanno messo la loro vita in pericolo, che hanno promosso campagne contro gli immigrati, contro i georgiani, contro gli ucraini, con l’accusa di essere anti-liberali, pedofili e altro ancora, che hanno portato agli omicidi di dissidenti e di tutti coloro che reputano diversi in città russe pacifiche – a centinaia, se non migliaia – e che hanno portato in prima fila un nuovo mondo orwelliano, la dittatura e il gulag ….
Domanda retorica.
No. Non provo compassione, né dispiacere. Non esprimo condoglianze a parenti e persone vicine. Come non lo ha fatto nessuno di loro. Continuando a cantare e a danzare a supporto del potere o comunque a versare merda dagli schermi del televisore anche dopo la morte. Il sentimento in me è uno solo – me ne infischio. Non mi sono opposto io a questo stato e ai suoi asserviti. Sono stati lo stato e i suoi asserviti a contrapporre me a loro. Sono stato identificato come nemico e traditore della patria. Per questo, me ne infischio altamente.
Benché in me non ci sia nemmeno soddisfazione per le disgrazie altrui, né gioia.
Nella mia testa c’è solo un pensiero razionale: alla televisione, a questa forza viva che rende zombie e che ha innescato il meccanismo degli arresti e omicidi dei miei amici e colleghi, ora mancano nove persone all’appello.
No regrets. They don’t work.
E’ tutto”.

 

Chi è Giovanni Catelli

Giovanni Catelli, cremonese, è scrittore e poeta, esperto di cultura e geopolitica dell’Europa orientale. Suoi racconti sono apparsi in numerose testate e riviste, tra cui il Corriere della Sera, la Nouvelle Revue Française, Nazione Indiana, L’Indice dei Libri. Ha pubblicato In fondo alla notte, Partenze, Geografie, Lontananze, Treni, Diorama dell'Est, Camus deve morire, Il vizio del vuoto, Parigi e un padre (candidato al Premio Strega 2021). Geografie e Camus deve morire (con prefazione di Paul Auster) sono stati tradotti in varie lingue. Collabora con Panorama e dirige Café Golem, la pagina di cultura di East Journal. Da più di vent'anni segue gli eventi letterari, storici e politici dell'Europa orientale, e viaggia come corrispondente nei paesi dell'antico blocco sovietico.

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5 commenti

  1. Caspita, sembra che sia stata già conclusa l’indagine.

    E se invece, come a me sembra del tutto plausibile, la sua condanna a morte fosse stata decisa in qualche stanza dell’Sbu, la cui sede semra che sia accanto a quella della Cia a kiev?

  2. Ho letto il suo libro sullla sua esperienza in Cecenia. Un vero pugno nello stomaco.

  3. Strano. Avevate già chiuso il caso (nell’articolo non corretto) e invece. Cercate di essere un po più prudenti e non buttatevi a capofitto in ogni notizia di sapore anti russo. E soprattutto: non credete ai servizi segreti! In fondo siete giornalisti.

    • Gent. Paolo

      c’è un’incomprensione di fondo sul ruolo dei media. I media trascrivono la realtà, i fatti. Era un fatto che questa mattina le agenzie di tutto il mondo battessero la notizia della morte di Babchenko. Ed era una notizia corretta, poiché così è stata diffusa dalle fonti di polizia e così è stata raccontata alla stampa. Si è trattato invece di una messinscena, come è stato poi rivelato. La notizia della messinscena è stata quindi battuta dalle agenzie. Non c’è stata falsificazione mediatica, non c’è stata fake news, poiché nessuno ha scritto scientemente il falso: è sempre stato scritto il vero. Vera la notizia della sua falsa morte. Vera la notizia della sua messinscena.

      Non è stato chiuso nessun caso: si è raccontata la vicenda personale del giornalista che, vivo o morto, non cambia. Non abbiamo attribuito la sua falsa morte a nessuno. Così come ora non affermiamo quali siano le cause della messinscena poiché ancora non si sanno.

      Ci si attendeva forse che non si pubblicasse la notizia della morte di un giornalista dissidente? Sarebbe stato sbagliato farlo. Il giornalismo trascrive la realtà, ma la realtà è mutevole e ambigua. Si può solo darne conto.

      Un saluto

      Matteo

  4. Il problema non riguarda la “falsa notizia”, ma il presupposto, assolutamente ingiustificato dal punto di vista giornalistico, di prendere per oro colato, letteralmente, ogni forma di accusa contro la Russia. E mi scusi, ma l’interpretazione che avete subito dato della notizia, che certo in quel momento risultava “vera”, era quella di accusare la Russia del delitto.

    Ci sono considerazioni che in questi casi è ovvio fare, ma che nel caso della Russia vengono del tutto messe da parte: che guadagno avrebbe la Russia a fare un simile delitto? Non potrebbe essere un lavoro sporco dei servizi segreti ucraini per provocare la Russia? Non potrebbe essere un’azione per coprire la vicenda dell’arresto del direttore di Ria Novosti ucraina, che era critico verso il governo? A cosa servono i magistrati, se non a scoprire la verità riguardo i veri autori dei delitti, e non quelli presunti.

    Per non parlare della storia del “delitto” in sé: é possibile che non vi sia saltato agli occhi la contraddizione della moglie che scopre il marito riverso a terra in un bagno di sangue e si attarda a fargli una foto? Penso che vicende come queste non sarebbero mai avvenute se il giornalismo in occidente mantenesse alto il proprio profilo deontologico.

    Comunque rimane un fatto di una gravità inaudita (anche se tutta la vicenda è tale): Il primo ministro ucraino ha esplicitamente accusato la Russia del “delitto”. E con parole veementi.Non vorranno certamente dire che il capo del governo non era a conoscenza di questa messinscena, spero…. Sarebbe ammettere che in Ucraina non c’è uno straccio di stato. E questo confermerebbe clamorosamente l’opinione di coloro che affermano che quello di Maidan fu un colpo di stato.

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