Il missile che il 17 luglio 2014 abbatté il volo MH17 della Malaysian Airlines nei cieli del Donbass, uccidendo 298 civili, apparteneva alla 53esima Brigata antiaerea delle forze armate russe. Lo ha stabilito l’inchiesta internazionale condotta da un gruppo investigativo a guida olandese, confermando le conclusioni del 2016 dell’agenzia indipendente Bellingcat, che aveva seguito i movimenti del mezzo lanciamissili russo 332 attraverso i territori occupati del Donbass.
Già il 20 dicembre 2017 un rapporto della commissione parlamentare britannica sulla sicurezza confermava che i servizi erano “certi oltre ogni possibile dubbio che l’esercito russo aveva fornito e poi recuperato il lanciamissili”. Dunque anche le evidenze ufficiali confermano ciò che gli esperti avevano intuito immediatamente, e quanto gli stessi occupanti avevano ingenuamente dimostrato, con il giubilo dei miliziani filorussi sui resti ancora fumanti dell’aereo e l’annuncio soddisfatto del comandante Igor Strelkov alle ore 17.50 di quel giorno, sul sito Vkontakte, in cui vantava di aver abbattuto un Antonov-26 ucraino da trasporto.
Ora L’Olanda e l’Australia hanno formalmente accusato la Russia per l’abbattimento dell’aereo, e anche l’Unione Europea, tramite il Rappresentante per la politica estera, Federica Mogherini, ha chiesto a Mosca di accettare le proprie responsabilità e di cooperare per il raggiungimento di una completa verità. La Russia nel 2015 aveva posto il veto all’ONU per impedire la costituzione di un tribunale che accertasse le responsabilità sull’abbattimento dell’aereo e certo non ci si può aspettare un cambiamento di linea, nonostante l’evidenza dei fatti.
Di fronte alla guerra portata dalla Russia nel Donbass nel 2014, dopo l’annessione armata della Crimea, la versione ufficiale del Cremlino è stata sempre quella di negare assolutamente il coinvolgimento in Ucraina, a dispetto di qualunque evidenza. Il tentativo di costruire un dossier per dimostrare ai russi l’intervento armato del paese in Ucraina è costato probabilmente la vita a Boris Nemtsov, che cercava di aprire gli occhi all’opinione pubblica. Ora, la guerra nel Donbass è in una fase di bassa intensità: l’appeasement fra l’amministrazione Trump e il Cremlino fa comodo ad entrambi, e in Ucraina il presidente Poroshenko è impegnato nello sforzo per la rielezione nel 2019, per cui ha bisogno di venire incontro ai desiderata di Washington, senza creare problemi all’amministrazione americana. Così, la situazione ucraina è quasi scomparsa dalle agende internazionali, e la ricerca di qualunque verità riguarda solo le vittime, salvo che possa essere in futuro utilizzata per perseguire altri scopi.