SERBIA: Demolita la moschea di Zemun, alla vigilia del Ramadan

Foto: Reuters

Le autorità serbe hanno proceduto alla demolizione, giovedì notte, di un edificio da adibire a moschea a Zemun Polje. L’area, a nord di Belgrado, ospita anche comunità rom e sfollati dal Kosovo, ed ha visto una proliferazione edilizia abusiva sin dagli anni ’70. La costruzione dell’edificio, a due piani e senza minareto, era iniziata nel 2014 nonostante la mancanza di permessi.

La moschea di Zemun Polje è un progetto dell’Unione Islamica di Serbia, un gruppo affiliato all’Ufficio per gli Affari Religiosi della Turchia, il Diyanet. I membri della comunità religiosa hanno ammesso di non avere i permessi edilizi, ma di aver fatto domanda di registrazione dell’edificio, notando che circa 500 altri edifici nella zona, inclusa una chiesa, sono stati costruiti abusivamente.

La demolizione era prevista per giovedì, ma si era dovuta arrestare per via del sit-in di cittadini per proteggere la moschea. Il muftì dello Srem, Emin Zejnullahu, aveva fatto appello mercoledì ai musulmani affinchè “insieme, pacificamente e dignitosamente” usassero “i mezzi legittimi e legali per proteggere l’edificio dalla demolizione”. I rappresentanti della comunità islamica, della polizia locale e della municipalità di Zemun si erano quindi consultati per mettere fine alla situazione di stallo e proseguire il dialogo a livello politico. Ma nella prima mattina le ruspe sono tornate per demolire, almeno parzialmente l’edificio. L’imam Zejnullahu ha riferito ad Anadolu di essere arrivato sul luogo quando la demolizione era già in corso, ma di non esser lasciato passare dalla polizia, che lo avrebbe anche spintonato, facendolo cadere a terra, e minacciato. “Aspetteremo la risposta del governo, per vedere se stanno dalla parte della libertà di religione e dei diritti umani”, ha continuato Zejnullahu.

Secondo quanto riportato da Tanjug, il city manager belgradese Goran Vesic ha dichiarato che le autorità hanno “distrutto un edificio costruito illegalmente, in accordo con la legge”. Il muftì di Belgrado, Mustafa Jusufspahic, ha condannato la demolizione, definendola “un attacco ai musulmani in Serbia”. Jusufspahic ha ricordato come le autorità serbe non abbiano permesso alla radicata comunità islamica locale di costruire alcuna moschea in città negli ultimi 50 anni. “Siamo spiacevolmente sorpresi che ciò sia avvenuto proprio alla vigilia del mese sacro di Ramadan“, ha detto Jusufspahic a Reuters

Un centinaio di persone si sono ritrovate per le preghiere del venerdì di fronte all’edificio distrutto, sotto sorveglianza della polizia. “Ho informato i fedeli che avremmo pregato all’esterno, perché non c’è più spazio. Domani inizia il Ramadan, preghiamo Allah che ci liberi da ogni peccato e parola malvagia. Spero che ci venga concesso di costruire una nuova moschea, poiché questa è stata illegalmente demolita. Sono convinto che l’avremo. Altrimenti, sarà un messaggio negativo per noi musulmani, che siamo una minoranza qui a Belgrado”, ha dichiarato Zejnullahu

Sulle reti sociali non sono mancati i paragoni con il caso di Savamala, il sobborgo lungo il fiume dove, il 25 aprile 2016, sconosciuti avevano demolito le costruzioni, poi rimpiazzate dall’imponente progetto Belgrade Waterfront. Il caso aveva scatenato ampie proteste e le responsabilità politiche restano da accertare. Ma la questione ricorda anche il caso dell’incompiuta cattedrale ortodossa di Pristina, costruita illegalmente durante il regime miloseviciano, e di cui la Chiesa Ortodossa Serba si è sempre opposta alla demolizione o alla trasformazione in museo.

Nella capitale serba, su 1.600.000 residenti, ci sono circa 20.000 musulmani praticanti e una sola moschea, la storica moschea di Bajrakli, costruita nel 1575 e unica sopravvissuta dal tempo del dominio ottomano. La Serbia ha un’importante minoranza di fede musulmana, circa 230.000 persone (il 3,1% del totale) concentrate nella regione del Sandžak, al confine con Bosnia-Erzegovina e Montenegro, e nella valle di Preševo, tra Kosovo e Macedonia.

Chi è Andrea Zambelli

Andrea Zambelli è uno pseudonimo collettivo usato da vari membri della redazione di East Journal.

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