SERBIA: La pietosa situazione dei mezzi di informazione

Da BELGRADO – L’ultimo giorno prima del silenzio elettorale, i cittadini serbi hanno trovato una curiosa sorpresa in edicola: tutte le prime pagine dei sette quotidiani nazionali più venduti erano interamente dedicate al motto e al logo del candidato presidenziale, già primo ministro, Aleksandar Vučić.
Gli unici quotidiani a non aver venduto la propria prima pagina sono stati Informer e Danas. Mentre il primo è sotto controllo dello stesso Vučić, che su queste pagine gode di una campagna elettorale per 365 giorni l’anno; il secondo è un quotidiano d’opposizione, o almeno così viene definito, per il semplice fatto di essere critico nei confronti del governo.

“La NATO ha occupato il Montenegro!?” Con questa prima pagina Informer usciva nell’ultimo giorno di campagna elettorale, riportando la notizia del giorno precedente dell’approvazione del Senato statunitense circa il processo di adesione alla NATO di Podgorica. La notizia prosegue poi, con il classico tono allarmista di Informer, sostenendo la necessità per la Serbia di essere armata dalla Russia e mantenere così la stabilità nella regione – elemento per il quale il governo di Vučić gode dell’appoggio incondizionato di Unione Europea, Russia e Fondo Monetario Internazionale.

Dall’altro lato, nei giorni successivi al successo elettorale di Vučić, sui social network si è rincorsa la voce secondo la quale i principali inserzionisti di Danas avevano deciso di ritirare le proprie pubblicità dal quotidiano, insieme ad una campagna di solidarietà che invitava quindi la popolazione a comprare una copia in edicola, per scongiurarne la chiusura.

Libertà di stampa?

Sia il caso della prima pagina di Informer che il ritiro delle inserzioni da Danas non sono che piccoli esempi che ben dimostrano però in che condizioni si trovino i mezzi di informazione in Serbia.
Da un lato, vige un approccio filo governativo che preferisce concentrarsi su notizie, il più delle volte inventate e mal presentate, che chiamino in causa la questione nazionale; dall’altro, si ha l’impressione che le poche realtà del giornalismo indipendente siano sempre più ostacolate nel loro lavoro.

Eppure, lo stesso Aleksandar Vučić si definisce in favore della libertà di stampa, una raccomandazione che gli viene fatta anche da Bruxelles, e di voler portare, per esempio, alla verità circa il caso Slavko Čuruvija, giornalista oppositiore di Milošević ucciso nell’aprile del 1999, quando la Serbia veniva bombardata dalla NATO e il giovane Vučić era ministro dell’informazione. Proprio sul caso Čuruvija, invece, la fondazione che porta il suo nome ha denunciato a 18 anni dall’omicidio come non si sia ancora giunti alla verità su quello e altri casi di violenza a danni di giornalisiti.

La pessima qualità del servizio di informazione

Tuttavia, la situazione dei mezzi di informazione non è più allarmante come ai tempi del regime di Milošević, e il vero problema oggi riguarda piuttosto la sua qualità. I giornali serbi, nel loro formato tabloid, oltre a non considerare minimamente l’elemento dell’obiettività e dell’autorevolezza delle fonti, trattano di temi quali la sicurezza nazionale e internazionale utilizzando una terminologia tipica da gossip, se non addirittura da kafana.

Uno stile che il presidente dell’Associazione dei Giornalisti Indipendenti di Serbia (NUNS), Slaviša Lekić, ha definito usando la parola “tabloidiotizacija”, riferendosi al tentativo di diffondere una “cultura idiota” attraverso i giornali. Tentativo contro il quale lo stesso Lekić invita i giornalisti a ribellarsi.

La stampa filo-governativa e il suo conseguente decadimento qualitativo sono, tra le altre cose, il risultato del processo di privatizzazione che riguarda anche le testate giornalistiche. Secondo un’indagine riportata anche da Osservatorio Balcani e Caucaso, “l’incertezza sugli assetti proprietari coinvolge anche la partecipazione statale, una situazione che riguarda in particolare tre testate: si tratta dei quotidiani Večernje novosti e Politika – in cui lo stato, nonostante un esplicito divieto giuridico, mantiene una parte significativa della proprietà – e dell’agenzia di stampa Tanjug, che è stata formalmente chiusa su decisione del governo, ma continua ad operare, trasmette servizi e utilizza risorse delle aziende pubbliche e delle istituzioni statali.”

La libertà di stampa in Serbia è anche uno dei temi che viene invocato dalle migliaia di studenti e cittadini che, all’indomani delle elezioni, hanno iniziato una protesta ad oltranza per le strade di Belgrado e altre città “contro la dittatura”.
Non deve quindi stupire che le stesse proteste siano state scarsamente riportate sui giornali e TV nazionali o che i manifestanti siano stati accusati di essere al soldo di Soros, con “l’obiettivo di creare uno scenario macedone” – facendo da megafono a quello che è stato un autentico cliché della retorica di Vučić durante la campagna elettorale.

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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