CROAZIA: “Per la patria, pronti!” Chi sono i nuovi ustascia?

Da ZAGABRIA – Nonostante la costituzione croata sia basata sui valori dell’antifascismo, come ricorda sempre più fermamente la florida società civile del paese, sopravvive una rumorosa minoranza che guarda nostalgicamente al passato ustascia. Di questo zoccolo duro fanno parte partiti, movimenti, tifosi, alcuni gruppi di veterani di guerra e molti giovani, tutti uniti da uno slogan: “za dom, spremni!”, per la patria, siam pronti!

Il fil rouge dell’ideologia ustascia

“Za dom, spremni!” era il motto usato dagli ustascia di Ante Pavelić, capo dello Stato Indipendente di Croazia (NDH) dal 1941 al 1945. Lo slogan, corrispettivo del tedesco “Sieg Heil”, fa parte di un’ iconografia più volte riesumata, in misura diversa, nella storia croata. Durante la guerra d’indipendenza, simboli ed inni ustascia sono stati rispolverati e legati al più nuovo etnonazionalismo. Finita la guerra, la U ustascia è quindi riapparsa durante le proteste in difesa degli eroi della patria sotto processo al Tribunale dell’Aja, o, ancora, in occasione di manifestazioni antieuropee. Oggi, gli stessi simboli, vengono riproposti da una varietà di attori politici, e non solo, che guardano al passato con orgoglio e nostalgia, offrendosi di difendere la Croazia da nuovi e vecchi nemici: minoranze nazionali, immigrati, omosessuali.

Chi sono i nuovi ustascia

A fine febbraio, un gruppo di persone appartenenti al partito A-HSP ha marciato in divisa nera per le vie di Zagabria, mentre la scorsa estate lo stesso partito ha organizzato un raduno a Srb, cittadina famosa per la resistenza antifascista durante la Seconda Guerra Mondiale. Nell’ottobre del 2015, la “sezione sportiva” del partito HDSSB, il cui membro più eminente è Branimir Glavaš, condannato nel 2008 per i crimini commessi ad Osijek, ha sfilato davanti al parlamento per poi presentare le liste elettorali. Nel pieno della crisi umanitaria della rotta balcanica, il partito HČSP ha invece manifestato nella capitale contro i rifugiati, al grido di “oggi migranti, domani terroristi”.

Ad ingrossare le file dei nostalgici sono poi numerosi tifosi: nelle curve degli stadi è possibile trovare un variegato numero di gadget con simboli e motti ustascia, l’ideologia che si fa merchandising. La colonna sonora della rinata ideologia ustascia è invece offerta dal cantante Marko Perković detto “Thompson”, dal nome del mitra con cui combatté durante la guerra degli anni 90. In uno dei suoi più recenti concerti, svoltosi a Knin in occasione dell’anniversario dell’Operazione Tempesta, migliaia di giovani hanno intonato a braccio teso il pezzo più famoso della band, “za dom, spremni!”.

E il governo?

L’attuale governo Plenković, e il precedente Orešković, sono stati spesso accusati di aver eccessivamente tollerato, e a volte promosso, il richiamo all’ideologia ustascia. Questa opinione è condivisa anche dal ministro degli esteri serbo Ivica Dačić, che ha recentemente richiamato l’attenzione sulla necessità di defascistizzare la Croazia. L’affermazione è emersa in seguito alla pubblicazione di un report del Consiglio nazionale serbo (l’organo rappresentativo della minoranza serba di Croazia), in cui viene evidenziato un preoccupante livello di discriminazione ai danni delle minoranze nazionali.

La presidente Kolinda Grabar-Kitarović ha fermamente negato l’ipotesi di un crescente sostegno all’ideologia ustascia, portando come prova l’istituzione di un comitato incaricato di analizzare le conseguenze dei regimi non democratici in Croazia. Sul ruolo del comitato, in realtà, è già in corso un dibattito acceso: in molti ritengono che eguagliare lo stato-fantoccio ustascia con la Jugoslavia socialista non sia storicamente corretto, e che questa sia l’ennesima prova dell’incapacità del governo di condannare, una volta per tutte, l’ideologia ustascia.

Questo articolo è frutto della collaborazione con MAiA Mirees Alumni International Association. Le analisi dell’autrice sono pubblicate anche su PECOB, Università di Bologna

Chi è Silvia Trevisani

Nata nel nord-est italiano, vive e lavora tra Zagabria e Copenaghen. Possiede una laurea triennale in Studi Internazionali (Università di Trento) e una magistrale in Interdisciplinary research and studies on Eastern Europe (Università di Bologna). Appassionata di Balcani, interessata agli studi di genere e spaventata dai neofascismi, ne scrive per East Journal. Parla inglese, francese e, dopo una rakija, serbo-croato.

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