Per le vittime di Arbe. Lettera aperta al comune di Torino

La redazione di East Journal si unisce alla petizione per l’intitolazione a Torino di una via: “Vittime del campo di concentramento di Arbe” promossa da un gruppo di storici e studiosi torinesi su iniziativa di Eric Gobetti. L’appello si rivolge al nuovo sindaco, Chiara Appendino, e giunge in prossimità di importanti ricorrenze memoriali. East Journal, che proprio a Torino nasce, condivide e supporta l’iniziativa affinché questo dramma rimosso possa trovare nella toponomastica una prima uscita dall’oblio. 

Petizione per l’intitolazione di una via: “Vittime del campo di concentramento di Arbe”

Probabilmente ben pochi sanno che a Torino esiste una via dedicata all’isola di Arbe. Quasi certamente anche chi la conosce, ci passa regolarmente o addirittura ci abita, non deve aver mai percepito niente di strano in quella intitolazione. D’altra parte alla maggior parte dei torinesi – e degli italiani in genere – il nome di Arbe non dice nulla, semplicemente non richiama alcun significato metaforico o simbolico. Eppure nel corso della seconda guerra mondiale proprio sull’isola di Rab (Arbe in italiano) era stato creato il peggior campo di concentramento italiano. Una pagina nera della nostra storia, una pagina che non ha mai trovato spazio nei manuali scolastici e nelle celebrazioni ufficiali.

Nel 1941 l’Italia, alleata con la Germania hitleriana, partecipa all’attacco e allo smembramento della Jugoslavia, finendo per annetterne o occuparne almeno un terzo del territorio. In seguito alla rivolta partigiana gli italiani reagiscono con estrema durezza, commettendo crimini di guerra di varia natura (tra cui la cattura di ostaggi, le fucilazioni per rappresaglia, la distruzione di interi villaggi…) e creando un vero e proprio sistema di campi di concentramento. Qui finiscono circa centomila cittadini jugoslavi, soprattutto civili, donne e bambini. In questi lager – che pur non sono campi di sterminio, non hanno camere a gas o forni crematori – muoiono migliaia di civili innocenti, perlopiù a causa delle insostenibili condizioni igieniche e alimentari. Il più terribile di questi campi si trova proprio ad Arbe, una piccola isola della Dalmazia, tra Fiume e Zara, una specie di paradiso terrestre che si rivela un inferno per le trentamila persone che vi sono rinchiuse. Circa mille e cinquecento persone muoiono di fame e di stenti, nei quattordici mesi in cui il campo è attivo, tra il giugno del 1942 e il settembre del 1943.
C’è un’anomalia storica nel nostro paese, che riguarda la memoria della seconda guerra mondiale. Per una serie di ragioni – storiche, politiche, psicologiche – abbiamo rimosso gran parte dell’esperienza di conflitto precedente all’Armistizio dell’8 settembre 1943. Nell’immaginario pubblico gli italiani appaiono come vittime della guerra e del regime, e tutto il Ventennio precedente viene riscattato dall’esperienza partigiana che ricrea dalle ceneri del Fascismo un’Italia nuova e democratica. Solo così si può comprendere il clamoroso oblio che circonda i crimini commessi dagli italiani negli anni del fascismo, non solo in Jugoslavia, ma anche in Grecia, in Libia, in Etiopia.

A settant’anni dalla fine del conflitto e nel contesto di riconciliazione proprio dell’Unione Europea, sarebbe forse ora di ripensare con più consapevolezza anche le responsabilità storiche del nostro nazionalismo. Il campo di concentramento di Arbe, in particolare, dovrebbe avere un posto di primo piano nella memoria collettiva italiana, dovrebbe rappresentare il luogo della colpa, il luogo della responsabilità di un regime e di un esercito che ha commesso crimini, come il nazismo, in nome di un espansionismo aggressivo e di una pretesa superiorità razziale.

In prossimità delle date memoriali scelte dalla Repubblica per ricordare i drammi della seconda guerra mondiale (Giorno della Memoria e Giorno del Ricordo), e nello spirito di rinnovamento proprio di questa nuova amministrazione, chiediamo al Comune di Torino un gesto simbolico di presa di coscienza di questo dramma storico rimosso. A partire dalla toponomastica.
Come studiosi di storia e figure professionali impiegate nella conservazione attiva della memoria della seconda guerra mondiale, domandiamo dunque all’amministrazione comunale di avviare le procedure per rinominare “via Arbe”:
“Via vittime del campo di concentramento di Arbe”.

FIRME
Eric Gobetti
Angelo del Boca
Giovanni De Luna
Marco Buttino
Giorgio Rochat
Gianni Oliva
Lucio Monaco
Gianni Perona
Aldo Agosti
Bruno Maida
Claudio Della Valle
Luciano Boccalatte
Barbara Berruti
Riccardo Marchis
Andrea D’Arrigo
Enrico Manera
Flavio Febbraro
Carlo Greppi
Valentina Colombi
Cristian Pecchenino
Victoria Musiolek
Chiara Colombini
Fiammetta Balestracci


Qui è possibile visionare alcune interviste ai sopravvissuti del campo di Arbe, tratte dal documentario Fascist legacy (Eredità fascista), prodotto dalla BBC nel 1989, acquistato dalla Rai nel 1991 e mai mandato in onda, infine trasmesso da La7 per la prima volta nel 2004.

https://www.youtube.com/watch?v=1JT0nq3bS-w (dal minuto 5.00 in avanti)

https://www.youtube.com/watch?v=qyhI_52noN8

https://www.youtube.com/watch?v=8xMw-Gzn3qU

Qui una serie di documenti già pubblicati sul campo di Arbe:

http://www.criminidiguerra.it/ARBISS3.shtml#355

http://www.criminidiguerra.it/DecArbe.shtml

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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