BOSNIA: Il governo serbo non è il benvenuto a Srebrenica

Sulla scia di quanto accaduto l’anno scorso nel ventennale del massacro, nuove polemiche montano a poche settimane dal 21esimo anniversario del genocidio di Srebrenica, perpetrato dalle truppe serbo-bosniache e da gruppi paramilitari che collaboravano alle azioni militari dell’autoproclamatasi Repubblica Serba di Bosnia e Erzegovina (Republika Srpska Bosne i Hercegovine).

Il Comitato organizzatore della cerimonia. formato per la maggior parte da familiari delle vittime, ha dichiarato pubblicamente il 27 giugno che la delegazione serba è una presenza non gradita presso il memoriale di Potočari. Si aggiunge nel comunicato che la delegazione serba non è discriminata per la nazionalità, ma per questioni politiche, giacché, come ricordato sopra, nessuna forza politica ha mai ammesso che il massacro di Srebrenica fu un genocidio. Il sindaco della città, Camil Duraković, si schiera ovviamente con il punto di vista delle famiglie delle vittime: non c’è disprezzo verso la classe politica serba, ma è grave che tutt’ora non venga ammessa la natura genocida del massacro.

Si evince come il Comitato non voglia abbassare i toni rispetto alle polemiche dell’anno scorso, e anzi procedendo lungo lo stesso continuum, giacché allora come ora la Serbia non si decide a riconoscere il massacro di Srebrenica come genocidio. Come avevamo già riportato l’anno scorso le maggiori forze politiche serbe avevano polemizzato con la decisione dell’Onu di sottoporre al voto del Consiglio di sicurezza una dichiarazione che definisse il massacro come genocidio, seguendo l’esempio giurisprudenziale delle varie Corti Internazionali che negli anni si sono espresse in tal senso. Il presidente serbo Tomislav Nikolić asserì che furono effettuati massacri simili anche nei dintorni della cittadina bosniaca, e che concentrarsi unicamente su di essa era una mera speculazione politica. Milorad Dodik, presidente della Republika Srpska aveva addirittura chiesto alla Russia di far valere la propria posizione da membro permanente del Consiglio di sicurezza. Il premier serbo Aleksandar Vučić aveva timidamente abbozzato parole conciliatorie, e questo effettivamente non bastò a evitare gli incidenti al cerimoniale del ventennale.

L’11 luglio del 2015, nel corso del cerimoniale per i circa 8.000 musulmani che furono deportati e uccisi e sono oggi seppelliti nel campo di Potočari, la delegazione di Belgrado è stata violentemente contestata, e Aleksandar Vučić fu colpito da lancio di oggetti. Ciononostante, Vučić è da sempre fautore di una normalizzazione dei rapporti tra Belgrado e Sarajevo, soprattutto in merito del recente passato, e prima della cerimonia aveva fatto circolare “una lettera in cui condannava apertamente il massacro, senza mai definirlo come genocidio” (tuttora non viene riconosciuto come tale dalla Serbia), e che anzi reiterava l’impegno di Belgrado affinché i colpevoli fossero assicurati alla giustizia. Il giorno stesso il ministro dell’interno Nebojsa Stefanović, così come il presidente Tomislav Nikolić, aveva addirittura parlato di tentato omicidio nei confronti del premier, il quale, dopo l’incidente ha stemperato i toni reiterando la propria politica di “mano tesa” verso Sarajevo. La presidenza si è altresì scusata per i toni usati nel definire un tentato omicidio il lancio di oggetti verso Vučić, e parimenti fece la presidenza bosniaca, scusandosi con la figura del premier in primis e aggiungendo apprezzamento per la presenza della delegazione serba.

Alla cerimonia di quest’anno di potranno evitare incresciosi lanci d’oggetti, ma la dichiarazione di non gradire la presenza del governo serbo alla commemorazione lascia il fianco a nuove polemiche e speculazioni: il presidente della Republika Srpska, Milorad Dodik ha dichiarato di fronte a questa presa di posizione che anche i politici di Banja Luka non sarebbero stati presenti. Quest’atteggiamento, va aggiunto, è stato fortemente criticato dal ministro degli Esteri serbo, Ivica Dačić, che lo ha definito un passo indietro nelle relazioni. Vučić ha inoltre aggiunto che il governo serbo non avrebbe mai creato problemi nei riguardi di questa decisione, attirando verso di sé grosse critiche da parte di chi avrebbe preferito reazioni più indignate. Il giorno successivo il premier ha altresì dichiarato in un’intervista che tali critiche derivano da atteggiamenti affatto conciliatori, al pari dell’ostracismo dimostrato dalle minoranze che l’anno scorso protestarono con veemenza l’arrivo del premier serbo presso il memoriale di Potočari.

Chi è Gianluca Samà

Romano, classe 1988, approda a East Journal nel novembre del 2014. Laureato in Relazioni Internazionali presso l'Università degli studi Roma Tre con una tesi sulle guerre jugoslave. Appassionato di musica, calcio e Balcani.

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