SERBIA: L’ONU dichiarerà Srebrenica un genocidio. Belgrado insorge: “motivazioni politiche”

Mancano poche settimane al ventennale del massacro di Srebrenica, laddove più di 8.000 uomini e ragazzi bosniaco-musulmani furono trucidati dalle milizie serbo-bosniache di Ratko Mladic (oggi in giudizio all’Aja) e ilConsiglio di sicurezza dell’ONU è chiamato ad adottare una proposta di risoluzione che confermi la sua definizione come atto di genocidio, come riconosciuto da diverse corti internazionali, per quanto occorso nel luglio del 1995 nella cittadina bosniaca. I rappresentanti politici serbi e serbobosniaci vi si oppongono, e fanno appello alla Russia perché li soccorra con un veto. Ma a Mosca non sembrano esserne intenzionati.

Serbi e serbobosniaci contro la risoluzione ONU su Srebrenica

Il presidente serbo Tomislav Nikolić ha già affermato che Belgrado suggerirà alla Russia di apporre il proprio veto per bloccare la risoluzione, adducendo motivazioni riguardanti l’esclusiva politicizzazione di avvenimenti di questo genere. A sostegno della sua posizione, tramite la solita strategia di relativizzazione, il capo di stato serbo ha dichiarato al quotidiano serbo Danas come nei dintorni della stessa Srebrenica vi furono altri casi di massacri di civili serbo-bosniaci. Più realistico il ministro degli esteri serbo, Ivica Dačić, il quale ha dichiarato che la Russia può sicuramente supportare la posizione serba, ma non è tenuta a farlo.

Dello stesso avviso è Milorad Dodik, il presidente della Republika Srpska (una delle due entità territoriali della Bosnia-Erzegovina). Dodik ha dichiarato, in un’intervista apparsa sul quotidiano Večernje Novosti, che in Bosnia-Erzegovina non ci sarà mai un’unanimità di giudizio sulla risoluzione, e inoltre avrebbe chiesto al ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, di apporre il proprio veto ad una risoluzione che “offende le vittime serbe”.

Il premier serbo Aleksandar Vučić ha smorzato i toni dicendosi pronto a partecipare alle commemorazioni per il ventennale, ma non di non poter mai avallare un documento che possa condannare l’atto come genocida. La realtà è che tale risoluzione può piuttosto provocare problemi politici per Vučić e il suo governo, già piombati nelle scorse settimane nella polemica sulla richiesta di estradizione per Naser Oric, ex generale bosniaco (già assolto all’Aja) arrestato da alcune settimane in Svizzera su mandato di cattura emanato a inizio anno dalle autorità serbe – incidente diplomatico tra Serbia e Bosnia-Erzegovina che ha provocato il rinvio del viaggio di Nikolic a Sarajevo. Il caso Oric rischia addirittura di mettere a repentaglio la commemorazione internazionale del ventennale del genocidio se, come riportato da Andrea Rossini, il sindaco di Srebrenica Ćamil Duraković non dovesse dare l’avallo agli eventi (per i quali sono attese più di 50.000 persone, tra cui ministri, premier e capi di stato) per motivi di sicurezza.

Posizione, quella serba e serbo-bosniaca, apparentemente suffragata dal Centro Wiesenthal di Gerusalemme. Il suo direttore Efraim Zuroff ha dichiarato al quotidiano serbo Politika come il paragone con la Shoah non stia in piedi, e che definire Srebrenica un genocidio abbia motivazioni politiche. Un’ulteriore polemica sterile, dal momento che non vengono mai definite tali fantomatiche motivazioni politiche: difficile ottenerle giacché la politica continua a utilizzare retoriche vecchie di venti come di settant’anni. D’altronde, il Centro Wiesenthal  ha un interesse istituzionale a preservare l’unicità e incommensurabilità del genocidio ebraico rispetto ad ogni altro massacro che rientri nei termini della Convenzione ONU sul genocidio del 1948. Nella stessa intervista, Zuroff nega tale qualifica anche al genocidio rwandese.

L’ambasciatore inglese Edward Fergusonsul blog del Foreign and Commonwealth Office ha risposto alle polemiche di Dodik e Nikolić , ricordando come due diverse corti internazionali (la Corte internazionale di giustizia e il Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nell’ex-Jugoslavia), in cui hanno lavorato giuristi di fama mondiale, hanno più volte definito il massacro di Srebrenica un genocidio. Non si tratta, secondo il diplomatico britannico (il cui paese è tra i promotori della risoluzione all’ONU) di una mancanza di rispetto nei confronti di altri morti in guerra, né tanto meno nei confronti della Serbia o dei serbi come popolo, ma del riconoscimento di una dura realtà.

Mosca fa orecchie da mercante. La Russia non porrà il veto alla risoluzione su Srebrenica

E una doccia gelata per i serbi e i serbo-bosniaci è arrivata dall’ambasciatore russo a Sarajevo, Petar Ivancov, il quale ha affermato che Mosca non negherà che il massacro compiuto a Srebrenica sia stato un genocidio. Un modo questo, nelle parole dell’ambasciatore, per raggiungere la riconciliazione: dare possibilità alla gente di ricordare i propri morti e le proprie date senza che nessuno possa negare quanto accaduto. Parole pesanti, e solo parzialmente bilanciate dalla dichiarazione del ministro degli esteri russo Sergej Lavrov,il quale ha comunque aggiunto che il tono della risoluzione è anti-serbo, e che una definizione così forte può provocare tensioni inter-etniche nei Balcani.

La Russia mantiene un atteggiamento equivoco sulla questione: le parole di Lavrov sulla vicenda cozzano con quanto dichiarato da Ivancov. Il Cremlino ha inoltre aggiunto che Mosca rispetta la Republika Srpska e Dodik, ma che non seguirà pedissequamente le sue indicazioni. La Russia si allontana così dalle posizioni più radicali che avevano assunto i suoi diplomatici nei mesi scorsi – quando, a gennaio, avevano contestato l’integrazione euroatlantica della Bosnia-Erzegovina in maniera ancora più forte di quanto richiesto dagli stessi serbo-bosniaci – un segnale di come la Russia avrebbe potuto agire da spoiler su vari dossier diplomatici, se fosse stata messa ulteriormente all’angolo per via della guerra in Ucraina. Il ritorno di Mosca alle posizioni di consenso internazionale pare oggi, invece, segnalare una volontà russa di cercare un ritorno al dialogo e alla collaborazione.

Allo stesso tempo, sembra che la Russia stia usando una questione politica fortemente sentita in Serbia e in Republika Srpska per mostrare a Belgrado e Banja Luka come sia facile perdere il supporto del più grande e influente dei paesi slavi. Avvertimento che è stato colto da Dodik, il quale si è dichiarato fiducioso nell’aiuto finanziario della Russia per affrontare la crisi di liquidità in cui versa la SrpskaUna posizione scivolosa, invece, per il premier serbo, che punta ad aprire a breve i primi capitoli negoziali verso l’adesione all’UE: secondo i media serbi, Vučić avrebbe rimandato al mittente il ricatto russo, decidendo di inviare al Consiglio di Sicurezza ONU un chiaro messaggio di dissenso sulla risoluzione, ma senza chiedere formalmente alla Russia di apporre un veto.

Diventa evidente come la questione del riconoscimento o meno del massacro di Srebrenica come genocidio all’ONU ritorni in auge per motivi che nulla hanno a che vedere con il rispetto dei morti o della verità, ma che nascondono nient’altro che motivazioni politiche o
economiche. Allo stesso tempo, non tutta la società serba e serbo-bosniaca è allineata alle posizioni dei propri rappresentanti politici su questo dossier. Il giornalista serbo Dušan Mašić sta organizzando una commemorazione di Srebrenica a Belgrado, con un sit-in di 7000 persone di fronte al parlamento serbo. Come scrive Dijana Jelača, “una tale disturbo di uno spazio pubblico associato con il potere politico che ha attuato il genocidio, da parte di cittadini che rifiutano di soccombere al negazionismo e all’oblio, porta con sè un grande potenziale trasformativo. Dovrebbe essere non la fine ma l’inizio di un nuovo approccio attivo alla memoria, fatto proprio da tutte le parti, in nome di quelle generazioni future che erediteranno comunque questa memoria in un modo o nell’altro – attraverso il diniego e la manipolazione politica, oppure attraverso gesti significativi ed eticamente responsabili”.

Chi è Gianluca Samà

Romano, classe 1988, approda a East Journal nel novembre del 2014. Laureato in Relazioni Internazionali presso l'Università degli studi Roma Tre con una tesi sulle guerre jugoslave. Appassionato di musica, calcio e Balcani.

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