La Serbia e il revisionismo storico

SERBIA: La riabilitazione dei collaborazionisti

Da BELGRADO – Da qualche mese, presso l’alto tribunale di Belgrado, è in corso il processo di riabilitazione di Milan Nedić, che fu primo ministro della Serbia tra l’agosto del 1941 e l’ottobre del 1944, ovvero durante il periodo dell’occupazione nazista del paese. Si trattò di uno stato fantoccio e collaborazionista, instaurato per volontà e sotto l’egida della Germania nazista, che nell’aprile del 1941 aveva iniziato il bombardamento, l’occupazione e lo smembramento del Regno di Jugoslavia.

Il processo

Il processo per riabilitare la figura di Nedić, che morì suicida nel febbraio del 1946, è iniziato nel dicembre dello scorso anno su iniziativa di Aleksandar Nedić, pronipote di Milan, e durerà ancora diversi mesi.

La società serba, come sempre in questi casi, non ha reagito unanimemente alla faccenda, che non sembra altro che l’ennesimo tentativo di revisionismo storico nei confronti di coloro che taluni avvertono come “vittime del regime comunista”. Lo dimostra il fatto che ad ogni sessione del processo, di fronte alla sede del tribunale, si radunano sia coloro che sono contrari alla riabilitazione di Nedić, giovani appartenenti a SKOJ (l’alleanza della gioventù comunista di Jugoslavia), vecchi partigiani e le “Donne in Nero” (organizzazione anti-nazionalista e femminista nata nel corso della guerra degli anni ’90); sia i suoi sostenitori, un drappello di giovani nazionalisti che, un po’ anacronisticamente, sostengono l’ex generale serbo intonando cori del movimento cetnico, che in realtà non aveva nulla a che fare col governo di Nedić.

Chi era Milan Nedić?

Fino all’invasione della penisola balcanica da parte delle forze dell’Asse, Milan Nedić, era un generale del regio esercito jugoslavo, che aveva ricoperto diverse alte cariche tra cui anche quella di ministro dell’esercito tra il 1939 e il 1940. Quando nel 1940 l’Italia fascista iniziò l’invasione della Grecia, Nedić propose l’alleanza con le forze dell’Asse, in quanto l’esercito jugoslavo non avrebbe potuto reggere lo scontro. Per questo motivo fu rimosso dal suo incarico di ministro. Venne richiamato quando iniziarono i bombardamenti su Belgrado il 6 aprile. Fu comandante delle truppe incaricate di difendere il sud della Serbia dall’avanzata nazista dal confine bulgaro, in Macedonia e nel Kosovo. La capitolazione del paese fu veloce e le truppe naziste disposero gli arresti domiciliari per il generale serbo, fino al maggio del ’41, quando fu liberato.

Quindi, nell’agosto dello stesso anno gli fu affidato l’incarico di formare il governo, il cui nome ufficiale era “Governo di salvezza nazionale”. Fu tuttavia una copia di quello che fu il governo di Vichy di Philippe Pétain o del norvegese Vidkun Quisling, ovvero governi alle totali dipendenze del Terzo Reich.

I crimini di Nedić

Sotto il governo Nedić, Belgrado e il resto della Serbia vissero alcune delle pagine più tristi della propria storia. In base alle volontà delle forze di occupazione, la deportazione di ebrei e rom si fece sempre più intensiva. Gli appartenenti a queste minoranze furono dapprima deportati al campo di concentramento di Sajmište, che ricadeva sotto l’amministrazione di Zemun, allora parte dello Stato Indipendente Croato, altro stato fantoccio, per essere poi sterminati nel modo “più economico” e disumano possibile. Su iniziativa di Heinrich Himmler, che voleva “ridurre lo stress psicologico degli internati”, un suo funzionario ordinò la costruzione di camion speciali, il cui tubo di scarico fosse a forma di “U” e rientrasse quindi nella cabina affollata dai prigionieri, che in poco tempo morivano asfissiati.

Come scrive Misha Glenny in The Balkans (Granta, 2012), degli oltre 8000 tra donne e bambini ebrei che passarono per il campo di Sajmište, solo 6 sopravvissero alla fine della guerra. Nell’agosto del 1942, il generale Alexander Lohr, comandante delle truppe naziste nei Balcani, dichiarò che la Serbia era “Judenfrei”. Fu il primo paese dell’Europa occupata a godere di tale status.

Milan Nedić, il cui governo fu esecutore e complice di tali atrocità, venne arrestato a guerra finita. Nonostante non sia mai stato giudicato colpevole, in quanto si suicidò prima della sentenza definitiva, il governo della Repubblica Federale Democratica di Jugoslavia lo giudicò “nemico del popolo”. Ed è proprio sulla base dell’assenza della condanna definitiva che i discendenti di Nedić vorrebbero la riabilitazione del loro avo, a cui vennero tolti i diritti civili e le proprietà.

La Serbia e il revisionismo storico

Il caso del revisionismo storico circa la figura di Nedić non è nuovo nel suo genere. Con il collasso della Jugoslavia socialista degli anni ’90, infatti, i fatti della Seconda Guerra mondiale sono tornati di estrema attualità.

Allo stesso modo, si è a lungo discusso, a livello accademico, politico e sociale circa il ruolo del movimento cetnico di Draža Mihailović, la cui figura ha sempre spaccato in due l’opinione pubblica tra coloro, la maggioranza, che lo considerano un criminale, e coloro invece che sostengono che difese il popolo serbo contro l’occupazione, nonostante sia stato anche documentato il contrario. Draža Mihailović fu riabilitato un anno fa, con una sentenza del tribunale di Belgrado.

Chi è Giorgio Fruscione

Giorgio Fruscione è Research Fellow e publications editor presso ISPI. Ha collaborato con EastWest, Balkan Insight, Il Venerdì di Repubblica, Domani, il Tascabile occupandosi di Balcani, dove ha vissuto per anni lavorando come giornalista freelance. È tra gli autori di “Capire i Balcani occidentali” (Bottega Errante Editore, 2021) e ha firmato due studi, “Pandemic in the Balkans” e “The Balkans. Old, new instabilities”, pubblicati per ISPI. È presidente dell’Associazione Most-East Journal.

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