Leone Ginzburg, professore e intellettuale, nasce a Odessa (Ucraina) il 4 aprile 1909. Dai primi anni Venti è in Italia dove compie gli studi e si laurea in Lettere nel 1931. Dall’anno successivo ottiene la libera docenza in Letteratura russa presso l’Università di Torino. Nel 1933 è tra i fondatori della casa editrice Einaudi, insieme a Norberto Bobbio, Cesare Pavese e Giulio Einaudi. Aderisce a Giustizia e Libertà, e nel 1934 rifiuta di giurare al fascismo perdendo così la docenza. Arrestato nel 1934 per attività antifascista, viene liberato nel 1943 con la caduta di Mussolini. Nella Roma occupata pubblica un giornale clandestino legato al Partito d’Azione. Scoperto, viene arrestato e, passato al braccio tedesco di Regina Coeli, dopo indicibili torture, muore per le percosse nella sua cella il 5 febbraio 1944. La lettera è indirizzata alla moglie, Natalia.
Natalia cara,
amore mio ogni volta spero che non sia l’ultima lettera che ti scrivo, prima della partenza o in genere; e così è anche oggi. Continua in me, dopo quasi un’intera giornata trascorsa, il lieto eccitamento suscitatomi dalle tue notizie e dalla prova tangibile che mi vuoi così bene. Questo eccitamento non ha potuto essere cancellato neppure dall’opinato incontro che abbiamo fatto oggi. Gli auspici, dunque, non sono lieti; ma pazienza. Comunque, se mi facessero partire non venirmi dietro in nessun caso. Sei molto più necessaria ai bambini, e sopra tutto alla piccola.- E io non avrei un’ora di pace se ti sapessi esposta chissà per quanto tempo a dei pericoli, che dovrebbero presto cessare per te, e non accrescersi a dismisura. So di quale conforto mi privo a questo modo; ma sarebbe un conforto avvelenato dal timore per te e dal rimorso verso i bambini. Del resto, bisogna continuare a sperare che finiremo col rivederci, e tante emozioni si comporranno e si smorzeranno nel ricordo, formando di sé un tutto diventato sopportabile e coerente. Ma parliamo d’altro.
Una delle cose che più mi addolora è la felicità di cui le persone intorno a me (e qualche volta io stesso), perdono il gusto dei problemi generali dinanzi al pericolo personale. Cercherò di conseguenza, di non parlarti di me, ma di te. La mia aspirazione è che tu normalizzi, appena ti sia possibile la tua esistenza; che tu lavori e scriva e sia utile agli altri. Questi consigli ti saranno facili e irritanti; invece sono il miglior frutto della mia tenerezza e del mio senso di responsabilità. Attraverso la creazione artistica ti libererai delle troppe lacrime che ti fanno groppo dentro; attraverso l’attività sociale, qualunque essa sia, rimarrai vicina al mondo delle altre persone, per il quale io ti ero così spesso l’unico ponte di passaggio. A ogni modo, avere i bambini significherà per te avere una grande riserva di forza a tua disposizione. Vorrei che anche Andrea si ricordasse di me, se non dovesse più rivedermi. Io li penso di continuo, non cerco di non attardarmi mai sul pensiero di loro, per non infiacchirmi nella malinconia.
Il pensiero di te invece non lo scaccio, e ha quasi sempre un effetto corroborante su di me. Rivedere facce amiche, in questi giorni, mi ha grandemente eccitato in principio, come puoi immaginare. Adesso l’esistenza si viene di nuovo normalizzando,in attesa che muti più radicalmente. Devo smettere perché mi sono messi a scrivere troppo tardi fidando nella luce della mia lampadina, la quale invece stasera è particolarmente fioca, oltre ad essere altissima. Ciò continuerò a scrivere alla cieca, senza la speranza di rileggere. Con tutto il tommaseo che ho tra le mani, sorge spontaneo il raffronto con la pagina di diario di lui che diventa cieco. Io, per fortuna, sono cieco solo fino a domattina.
Ciao, amore mio, tenerezza mia. Fra pochi giorni sarà il sesto anniversario del nostro matrimonio. Come e dove mi troverò quel giorno? Di che umore sarai tu allora? Ho ripensato, in questi ultimi tempi, alla nostra vita comune. L’unico nostro nemico (ho concluso) era la mia paura. Le volte che io, per qualche ragione, ero assalito dalla paura, concentravo talmente tutte le mie facoltà a vincerla e a non venir meno al mio dovere, che non rimaneva nessun’altra forma di vitalità in me. Non è così? Se e quando ci ritroveremo, io sarò liberato dalla paura, e neppure queste zone opache esisteranno più nella nostra vita comune. Come ti voglio bene, cara. Se ti perdessi, morirei volentieri. (Anche questa è una conclusione alla quale sono giunto negli ultimi tempi). Ma non voglio perderti, e non voglio che tu ti perda nemmeno se, per qualche caso, mi perderò io.
Saluta e ringrazia tutti coloro che sono buoni e affettuosi con te: debbono essere molti. Chiedi scusa a tua madre, e in genere ai tuoi, di tutto il fastidio che arreca questa nostra troppo numerosa famiglia. Bacia i bambini. Vi benedico tutti e quattro, e vi ringrazio di essere al mondo. Ti amo, ti bacio, amore mio. Ti amo con tutte le fibre dell’essere mio. Non ti preoccupare troppo per me. Immagina che io sia un prigioniero di guerra; ce ne sono tanti, sopra tutto in questa guerra; e nella stragrande maggioranza ritorneranno. Auguriamoci di essere nel maggior numero, non è vero, Natalia? Ti bacio ancora e ancora e ancora. Sii coraggiosa.