Donne dentro la rivoluzione curda. La teoria della rosa, intervista a Dilar Dirik

Dilar Dirik è una dottoranda in sociologia dell’Università di Cambridge. Con il suo account Facebook e i suoi lavori accademici si occupa di spiegare e raccontare dall’interno cosa sta succedendo in Kurdistan: le guerrigliere che stanno combattendo l’ISIS, divenute così popolari nei reportage europei, sono le ultime protagoniste della storica questione curda.

Perché le donne curde hanno creato loro eserciti indipendenti?

Non è una scelta militare, è una scelta ideologica. La YPG e la YPJ sono un’esercito di donne che combatte per proteggere una rivoluzione sociale. In Medio Oriente, dove ogni elemento della vita delle donne è dominato e dove l’ISIS impone una nuova schiavitù sessuale, l’unica scelta è l’autodifesa. Alcuni organismi come le rose sviluppano sistemi di auto-difesa non offensiva, le spine, per proteggere la propria vita: Abdullah Öcalan, l’ideologo del PKK, chiama la resistenza delle donne curde “teoria della rosa”. Le combattenti curde odiano le armi. Vogliono essere conosciute per le conquiste sociali, non per quelle militari.

Cosa sta succedendo nel Rojava?

Un sistema di confederalismo democratico sta proponendosi nei tre cantoni del Rojava e alla testa di questo processo ci sono donne. Tutti i gruppi etnici e religiosi sono incoraggiati a partecipare alle strutture di questo modello. Quando ero lì, ho intervistato persone di etnie diverse, si poteva respirare l’eccitazione che questo sistema ispira. È la prima volta dopo la repressione del regime degli Assad che queste persone possono vivere la loro identità in libertà.

Certamente, un sistema del genere è difficile da radicare. Sperimentare una rivoluzione guidata dalle donne nell’inferno che è oggi il Medio Oriente significa incontrare molti nemici. Sul campo, l’ISIS, gli alleati della NATO, le forze imperialiste. È difficile bilanciare geopolitica e ideali rivoluzionari, quando il tuo primo pensiero è sopravvivere. Ma c’è un avversario ancora più forte: il patriarcato, radicato nel sistema di valori capitalista. Per questo i cantoni sono in continua trasformazione, vengono commessi numerosi errori. Stiamo parlando di cambiare una mentalità.

Per cosa combatte il PKK in Turchia?

Il movimento di liberazione curdo chiede autonomia democratica in Kurdistan e una Turchia democratica in cui vivere. La popolazione del Kurdistan turco ha mostrato di voler partecipare alle strutture legali della democrazia turca con il progetto progressista dell’HDP. Subito dopo le elezioni, tuttavia, la Turchia ha iniziato una campagna di violenza e intimidazione verso i curdi. Oggi perlopiù non è la guerriglia curda che sta combattendo lo stato turco, ma in alcune città, come Cizre, è la gente comune a costruire barricate per resistere all’offensiva del secondo esercito più potente della Nato. I cadaveri vengono tenuti nei freezer, perché il coprifuoco non permette di seppellirli. Alcuni morti sono rimasti in strada per giorni.

Come sta reagendo la Turchia contro l’ISIS?

Sarebbe facile provare il sostegno della Turchia ai gruppi come l’ISIS, ma non è possibile. Procuratori, investigatori e giornalisti che dovrebbero fare questo lavoro vengono arrestati e licenziati. Emblematico è il caso degli accademici. La Turchia mette uno sforzo molto maggiore nell’annicchilire le richieste democratiche della popolazione curda che nello sradicare l’ISIS. Oggi la Turchia minaccia una reazione militare, nel caso in cui le truppe della YPG/YPJ giungessero ad ovest dell’Eufrate, area controllata dall’ISIS: cosa ci dice questo delle priorità di Ankara?

Critichi spesso come i media occidentali parlano delle donne del Medio Oriente. Perché?

Nei miei articoli contrasto la narrazione che le presenta solo vittime sofferenti e inascoltate, bisognose di essere salvate. Molte donne, non solo curde, nella loro vita di ogni giorno danno contributi immensi alla lotta, rivendicando giustizia e avanzamenti sociali. Questa diversità e questa forza sono spesso dimenticate perché contraddicono la narrazione ordinaria. Criticarla non significa non rallegrarsi che il mondo abbia notato le donne curde per la prima volta. Questa visibilità ha portato a una mobilitazione in loro supporto. Ma è decenni che queste donne stanno combattendo contro le forze armate turche, esattamente in base alla stessa ideologia con cui oggi combattono anche l’ISIS.

Foto: Giulia Stagnitto

Chi è Simone Benazzo

Triennale in Comunicazione, magistrale in Scienze Internazionali, ora studia al Collegio d'Europa, a Varsavia.

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