Mille in una notte, Lampedusa e la fortezza Europa

Undici imbarcazioni in una sola notte sono arrivate a Lampedusa malgrado il mare mosso, trasportavano oltre mille persone in gran parte uomini. Il primo avvistamento è avvenuto dopo le 23 e ne sono seguiti altri dieci che hanno tenuto impegnati gli uomini della Capitaneria di Porto di Palermo per tutta la notte. I migranti, arrivati a bordo di motopescherecci e piccole imbarcazioni, sono stati portati nel centro d’accoglienza di contrada Imbiacola, struttura che ha una capienza di 850 posti e che già era sovraffollato. Dal ministero degli Interni fanno sapere di un probabile ponte aereo per trasferire i migranti verso il nord Italia, distribuendoli in altri cpt italiani.

La Frontex al fronte. La tensione a Lampedusa resta alta, così come quella al Viminale. Da giorni, infatti, il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, ripete che la crisi libica potrebbe provocare ondate migratorie consistenti nel nostro Paese e chiede aiuto all’Unione Europea colpevole, secondo lui, di non agire con sufficiente impegno. La Frontex, l’agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere, ha però inviato a Lampedusa quattro aerei, due navi e due elicotteri militari che opereranno sin dai prossimi giorni per presidiare le coste di Lampedusa. “A seguito di una richiesta formale da parte del ministro degli Interni italiano, ricevuta lo scorso 15 febbraio, Frontex e l’Italia hanno avviato l’operazione congiunta Hermes 2011 che interesserà l’area centrale del Mediterraneo”, recita il comunicato emesso dal quartier generale Frontex di Varsavia. “Originariamente Hermes 2011 era stata programmata per il mese di giugno, ma è stato deciso di anticiparla a febbraio. La missione dovrebbe concludersi il 31 marzo ma potrebbe essere estesa oltre il termine previsto”. Il costo preventivato per le operazioni è di due milioni di euro e sarà interamente coperto dalla Commissione europea.

Missione di pace con navi da guerra. Come si legge sul sito del ministero della Difesa, il governo italiano ha inviato un contingente di un centinaio di militari dell’esercito (trasferiti nell’isola grazie al “decreto d’emergenza immigrati” del presidente del Consiglio dei ministri), due corvette della classe “Minerva” (Chimera e Fenice) con 226 membri d’equipaggio e la nuova nave di “supporto logistico ed elettronico interforze” Elettra. Le unità sono dotate di sofisticati sistemi d’arma: cannoni da 76/62 mm compatti, lanciamissili “Albatros” a otto celle, lanciasiluri A/S MK 32, lanciarazzi multipli “Barricade” e mitragliere Alenia OtoBreda-Oerlikon KBA 25/80. In posizione più avanzata, di fronte alle coste libiche, opereranno il cacciatorpediniere lanciamissili Mimbelli che terrà i collegamenti elettronici con i Comandi della Marina militare e i cacciabombardieri Eurofighter ed F-16 in “massima allerta operativa” nelle basi di Trapani-Birgi e Gioia del Colle e le unità anfibie San Giorgio e San Marco, con a bordo i marines del Reggimento San Marco e gli incursori del gruppo “Comsubin”.

Così l’Itaia si appresta ad accogliere i profughi provenienti dalla Libia, via tunisina. Come riportato dai media internazionali, di stanza al confine tra Tunisia e Libia, il viaggio dei profughi verso l’Italia comincia da alcune città cardine come quella di Sfax e dalle coste libiche dove l’esercito di Gheddafi non ha più il controllo. Oggi è giunta a Bengasi la nave italiana ‘Libra’ che porta 25 tonnellate di aiuti della cooperazione. A bordo, oltre a quattro generatori elettrici, sono state imbarcate tende familiari, 4.000 coperte, unità di purificazione dell’acqua e 40 kit medici per patologie generali. La ‘Libra’ è una nave della marina militare della classe Cassiopea che, stando ai dati del ministero della Difesa, è armata con un cannone 76/62 e quattro mitraglieri da 25/90 mm.

L’invio della ‘Libra’ a Bengasi fa parte della più vasta operazione umanitaria messa in campo dal governo italiano, avviata ufficialmente lo scorso 4 marzo, che prevede anche l’approntamento di un campo profughi a Ras Jedir, al confine tra Tunisia e Libia, in grado di ospitare tra le 50 mila e le 70 mila persone. La missione umanitaria che sarà guidata da Elisabetta Belloni, capo della Cooperazione della Farnesina, che è già stata responsabile dell’Unità di crisi al tempo delle guerre in Iraq e in Afghanistan.

Rifugiati in mare. Annunciando la missione, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, ha dichiarato: “Lo scopo dell’intervento in Africa è quello di bloccare le partenze di migliaia di migranti in fuga dal regime del Raìs e dalla rivolta che ha portato alla caduta del presidente tunisino Ben Ali”. Bloccare migranti in fuga. In fuga dalla guerra, dalle bombe dell’aviazione libica, dalle armi made in Italy del regime di Gheddafi. La costruzione di un campo profughi in Africa attiene alla più ampia logica dell’esternalizzazione che l’Unione Europea adopera, negli ultimi anni, in ambito del diritto d’asilo: l’obiettivo è quello di trasferire sui paesi di transito le responsabilità e gli oneri del contrasto dell’immigrazione. Se i migranti restano nei paesi di transito, essi non possono richiedere il diritto d’asilo nell’Unione Europea, diritto che la carta di Dublino sancisce e regola in tutti gli stati dell’Unione ma che gli stati dell’Unione, di concerto, cercano di aggirare. Se il paese di transito è il mare, poco importa. Così la missione italiana a Ras Jedir sembra avere come unico scopo quello di fermare sul posto i profughi libici, mentre la ‘Libra’ pattuglia le coste bloccando il porto di Bengasi. Una missione, in fondo, ben poco umanitaria.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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3 commenti

  1. Perchè ci teniamo tanto a farci invadere e distruggere pacificamente attraverso questo flusso inarrestabile ormai di milioni di stranieri che si stanno mettendo al posto nostro in questo paese? Perchè dopo aver combattuto tante battaglie per la nostra unità ed identità nazionale lasciamo che il popolo italiano venga cancellato senza far nulla?
    Quale perversa pulsione autodistruttiva ci ispira?
    Come mai quel naturale elementare istinto di autodifesa quando si è invasi sembra in noi come represso, considerato cattivo, e qualsiasi accenno
    di reazione fermato e rimosso come fosse una colpa?
    Questo mi chiedo. Ed è difficile trovare una risposta.
    Se non nel fatto che qualcosa ci ha fatto ammalare.
    Ma cosa?
    http://www.facebook.com/group.php?gid=68264075585

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