San Pietroburgo compie 312 anni, storia di una città

di Alice Amati

Il 27 maggio è stato il compleanno di San Pietroburgo, seconda città di importanza federale della Russia e teatro delle principali vicende storiche che hanno interessato il paese nel corso dell’impero zarista. La città, infatti, è stata capitale dell’impero per oltre 200 anni (dal 1712 al 1918) e, nonostante la sua giovane età di soli 312 anni, ha vissuto sulla sua pelle alcune delle pagine più importanti della storia russa, sovietica e mondiale che hanno contribuito al suo mutamento urbanistico ed architettonico.

La nascita di San Pietroburgo si festeggia il 27 maggio perché fu proprio in quel giorno che Pietro il Grande diede inizio alla costruzione della Fortezza di Pietro e Paolo sull’isolotto Enisaari, che in lingua finlandese significa “isola delle lepri”. Il delta del fiume Neva era stato conquistato pochi anni prima dallo zar stesso perché l’aveva scelto come luogo ideale per aprire la sua “finestra sull’Europa”, come egli stesso aveva definito la città che stava per nascere. San Pietroburgo è una delle poche città al mondo nata da un progetto predefinito: i migliori architetti italiani e ticinesi, come Domenico Trezzini e Bartolomeo Rastrelli, crearono una città moderna, elegante e profondamente diversa dalla medioevale Mosca. In breve tempo, le zone acquitrinose furono bonificate, vennero costruiti ponti e canali e presero vita le prime costruzioni. Le strade della città erano ampie e rettilinee, sull’isola Vasilievkij venne costruita l’Accademia delle Arti e nel 1730 vennero avviati i lavori per costruire il Palazzo d’Inverno, la residenza degli zar, che oggi ospita il Museo dell’Ermitage.

All’inizio del diciannovesimo secolo, San Pietroburgo si presentava come una tipica città europea, con eleganti palazzi, grandiosi teatri e bellissimi giardini, abitata da trecentomila persone. Per tutto il 1800, la città continuò a crescere sia a livello architettonico che demografico: si arricchi di nuovi palazzi e moltissime persone da tutta la Russia si trasferirono nella città sulla Neva, Non a caso, nella maggior parte dei romanzi ottocenteschi della letteratura russa, da Gogol’ a Dostoevskij, i personaggi caratterizzati da uno stile impeccabile sono sempre “vestiti alla moda di Pietroburgo” o hanno studiato “nelle migliori Accademie di Pietroburgo”. San Pietroburgo era quindi non solo il cuore dell’impero, ma anche la meta ambita per tutti i giovani di grandi speranze. Una parte della popolazione viveva negli agi e al caldo dei palazzi nobiliari, mentre la restante maggioranza viveva nelle tante soffitte della città, in condizioni pessime e con poche possibilità di riscatto.

Questo immenso divario tra la nobiltà e la popolazione comune diede inizio al malcontento che presto dilagò in rivolta, trasformandosi nella Rivoluzione d’Ottobre: chi potè scappò dalla città, molti morirono nelle rivolte e nel giro di cinque anni (dal 1915 al 1920) il numero degli abitanti passò da 2 milioni a 700.000. La capitale era stata spostata a Mosca e San Pietroburgo andava perdendo il suo stile unico: gli eleganti appartamenti del centro vennero trasformati in kommunalki, appartamenti comuni dove ogni famiglia viveva in una stanza e condivideva con le altre i servizi e la cucina; appena fuori città si iniziò la costruzione di fabbriche e centri per lo sviluppo dell’economia sovietica. La finestra sull’Europa si era ormai chiusa, ma la creatività e l’anima di San Pietroburgo continuarono a vivere e rifiorire e ben presto la città ritornò ad essere un importante polo di attrazione per la popolazione russa.

La Seconda Guerra Mondiale ha lasciato la cicatrice più grande nella “creatura di Pietro”: novecento giorni di assedio, senza cibo, a 40 gradi sotto zero e con i tedeschi fuori dalla porta di casa. In quel periodo vennero sfruttate tutte le aree verdi per farne delle coltivazioni, ma nonostante questa e altri mille accorgimenti ingegnosi, la popolazione ne uscì decimata: un milione di cittadini di Leningrado, così era stata ribattezzata la città, cercò di sopravvivere mangiando colla da tappezzeria nel gelo dell’inverno russo. Quando i tedeschi si ritirarono Leningrado era un città stremata e senza forze, che comunque non si era persa d’animo ed aveva resistito ad uno degli assedi più lunghi della storia.

A partire dal dopoguerra, l’edilizia sovietica iniziò la costruzione di aree residenziali (in Russia vengono chiamate spalniy rayon, che letteralmente significa “quartiere dormitorio”): alla periferia della città crebbero velocemente palazzi grigi e squadrati, molto diversi dagli eleganti palazzi neoclassici e barocchi del centro. Le abitazioni venivano assegnate in modo arbitrario, erano piccolissime, ma almeno ogni famiglia poteva avere la sua casa. Questa scelta corrispose alla necessità di ospitare una popolazione in costante crescita che arrivava a quattro milioni alla fine degli anni Settanta. Nel 1955 iniziano anche i lavori alla costruzione della metropolitana, che è la più profonda e quella più a nord del mondo; realizzata con una cura eccezionale che la rende una vera e propria opera d’arte nel sottosuolo della città

Queste aree periferiche oggi sono state inglobate nello sviluppo cittadino: negli anni Novanta, data la crisi del rublo, l’espansione della città si era momentaneamente fermata, ma è ripresa agli inizi del Duemila, senza mai fermarsi. Le nuove costruzioni cercano di raggiungere uno standard europeo, riuscendo spesso solo ad emulare con poco gusto i palazzi delle capitali nordiche. La città oggi è suddivisa in 18 macro-quartieri, suddivisi a loro volta in numerosissimi quartieri: le isole e il centro sono la parte più bella, curata e, naturalmente, costosa; man mano che ci si allontana dal centro il degrado si fa sempre più visibile con strade simili a discariche, palazzi con vetri rotti e criminalità ovunque. Nonostante questi problemi, le aree periferiche della città rimangono le più ambite, a causa dei prezzi bassissimi, per tutti i nuovi arrivati che affollano la città e che sognano di vivere, ancora oggi, “alla moda di Pietroburgo”.

Foto: Dennis Jarvis, Flickr

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