L’eccidio di Porzûs, la Resistenza spezzata

Diciassette partigiani, membri delle Brigate Osoppo, furono fucilati da altri partigiani, in prevalenza garibaldini, nei pressi dell’alpeggio di Porzûs, in Friuli. E’ forse l’evento più controverso di tutta la guerra partigiana combattuta sul suolo italiano e, ancora oggi, è motivo di scontro e strumentalizzazioni politiche.

La guerra partigiana ha visto tragedie che non esauriscono la loro carica emotiva e dividono, anziché unire, le memorie di quell’evento fondamentale nella storia italiana che fu la Resistenza al nazifascismo. Alcuni lo definiscono come un “secondo Risorgimento” combattuto da una élite, ma assai particolare. Non una élite di censo, ma di dignità, composta da studenti, operai, soldati, professori, avvocati, sbandati e qualche farabutto. I soliti “mille” che tengono in piedi l’Italia quando è necessario. Quel “Risorgimento” ebbe giocoforza anche un carattere nazionale e patriottico che, nelle regioni nord-orientali dell’allora territorio italiano, diede luogo a peculiari tensioni che sono all’origine di eventi come l’eccidio di Porzûs.

Siamo nel febbraio del 1945, la guerra sta finendo. Ci troviamo nella “Slavia friulana“, terra da secoli abitata da genti slave ma annessa all’Italia fin dai tempi della Repubblica di Venezia. La località di Porzûs si trova oggi nel Friuli orientale, nelle Valli del Torre. All’epoca però la regione era contesa. Vi operavano infatti diverse formazioni partigiane: quelle garibaldine, formate soprattutto da gappisti appartenenti al partito comunista italiano; quelle jugoslave, in particolare gli sloveni del IX Korpus, fortemente organizzati e inseriti all’interno dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia; e quelle “verdi” che raccoglievano cattolici, socialisti e azionisti. Queste ultime si erano organizzate nelle Brigate Osoppo, formatesi già il 12 settembre del 1943, a soli quattro giorni dall’armistizio. Il nome scelto richiamava la località di Osoppo che durante i moti risorgimentali del 1848 resistette per ben sette mesi agli austriaci e al momento della resa ebbe l’onore delle armi dallo stesso avversario e fu insignita della medaglia d’oro al valor militare. Fin dal nome i partigiani “osovani” vollero sottolineare come la loro lotta fosse anche una lotta nazionale, legata ai destini della patria, in opposizione ai desideri di espansione territoriale jugoslavi e alle istanze socialiste rivoluzionarie dei garibaldini.

Le formazioni garibaldine intendevano procedere a una rivoluzione sociale di tipo marxista che fosse avulsa dal retaggio nazionale e nazionalista. Tuttavia fino al 1944 le formazioni osovane e garibaldine collaborarono realizzando un comando unificato. Fu poi l’offensiva tedesca a spezzare l’unità e l’inserimento dei partigiani jugoslavi complicò la situazione. Il PCI, congiuntamente al Partito comunista jugoslavo, si dichiarò a favore dell’autodeterminazione degli slavi residenti in Friuli financo alla secessione dall’Italia poiché l’obiettivo era la “liberazione dagli stati imperialistici che sono l’Italia, la Jugoslavia e l’Austria”, nel contempo affermando che “chi non lavora e non lotta per realizzare questa linea politica non è un comunista, ma un opportunista contro il quale si deve combattere”.

Una posizione condivisa da parte jugoslava. In una nota lettera inviata alla direzione del PCI Alta Italia, Edvard Kardelj, dirigente comunista sloveno e collaboratore di Tito, scriveva che occorreva “fare un repulisti” di quelle unità partigiane in cui “lo spirito imperialistico italiano potrebbe essere camuffato da falsi democratici”. In un passaggio ci si riferisce alla Osoppo che, di quello spirito, sembra essere pervasa in quanto “sotto una forte influenza di diversi ufficiali badogliani e politicamente guidata dai seguaci del Partito d’Azione”. Nella stessa missiva si confermava il desiderio di vedere l’intera regione passare nella nuova Jugoslavia socialista.

Queste dunque le posizioni in campo e le relative aspirazioni e ideologie. I fatti di Porzûs si inseriscono in questo complesso quadro nel quale controllo del territorio, prestigio delle diverse formazioni partigiane, obiettivi politici immediati e futuri diversi, contribuirono a far crescere la tensione all’interno del fronte partigiano via via che la fine della guerra – e quindi i nodi da venire al pettine – si avvicinavano.

Ci fu però un fatto a scatenare la tragedia. E qui seguiamo la ricostruzione dei fatti proposta dall”ANPI. Nell’inverno ’44 – ’45 si intrecciano una serie di colloqui clandestini tra la direzione dell’Osoppo, che aveva rifiutato di inquadrarsi nelle formazioni titine, e il comando delle SS tedesche e  – almeno in un caso –  tra l’Osoppo e la X MAS di Junio Valerio Borghese, con l’intento da parte fascista e nazista di costituire un fronte contro l’avanzante “slavocomunismo” – e almeno retrospettivamente, da parte dell’Osoppo, con l’intento di raggiungere un accordo dopo le feroci rappresaglie naziste che nel settembre 1944 colpirono duramente la popolazione innocente.

Agendo in questo modo le formazioni Osoppo ricaddero sotto l’ordinanza del CVL, il Comando Volontari della Libertà riconosciuto dal governo Badoglio e dagli alleati, che aveva il compito di coordinare la guerra partigiana nell’Alta Italia. L’ordinanza del CVL qualificava come “tradimento” – e questo in tempo di guerra equivale alla fucilazione – ogni trattativa con il nemico (direttiva ripresa dal CVL del Triveneto nel novembre 1944). Tali trattative, tuttavia, non giunsero a nessuna conclusione e in nessun caso le Brigate Osoppo collaborarono con i nazifascisti. Ma il sospetto bastò.

Fu così che il 7 febbraio del ’45 un centinaio di partigiani garibaldini, capeggiati dal gappista comunista Mario Toffanin, detto “Giacca”, salirono al quartier generale della Brigata Osoppo. Qui disarmarono il comandante Francesco De Gregori e lo uccisero insieme al commissario politico del Partito d’Azione e fecero prigionieri altri 16 osovani, tra cui Guido Pasolini (“Ermes”), fratello dello scrittore Pier Paolo. Nei giorni seguenti, dopo sommari processi, li fucilarono. Chi furono i mandanti di quell’azione è ancora oggi dubbio, forse il PCI udinese (una delle ipotesi più probabili), forse quello milanese, forse i comandi jugoslavi, forse avvenne con il benestare di entrambi mentre per alcuni Toffanin era un agente tedesco, per altri uno che agì di testa sua. Sappiamo solo che Toffanin fuggì in Jugoslavia e non fece mai più ritorno in Italia, dove era stato condannato all’ergastolo per l’eccidio e poi, nel 1972, graziato. Quel che è certo è che Toffanin e i suoi agirono senza un mandato del CLN. I processi intentati dopo la guerra non portarono a una verità risolutrice e furono in parte influenzati dal clima politico del periodo. Ancora oggi gli storici sono divisi sulle reali responsabilità di quei fatti. Alcune ombre recenti si sono poi andate a sommare con quelle più vecchia, creando un nodo inestricabile di dietrologie e teorie del complotto, come quelle su Gladio, un’organizzazione anticomunista di tipo stay-behind legata alla NATO, a cui aderì un numero imprecisato di ex partigiani della Osoppo.

A settant’anni dai quei fatti resta solo la certezza delle morti e degli esecutori. Dal 2008 Porzûs è monumento nazionale e dal 2009 anche l’ANPI – di cui i reduci della Osoppo non fanno parte – partecipa alla cerimonia che ogni anno si tiene all’alpeggio di Porzûs. Nel 2012 l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, pose una targa in memoria dell’accaduto dichiarando: “Le ragioni, quelle palesi e quelle occulte, per le quali dei partigiani garibaldini, membri di una formazione legata al Partito Comunista Italiano, uccisero altri partigiani, della formazione Osoppo, ci paiono oggi incomprensibili, tanto sono lontane l’asprezza e la ferocia degli scontri di quegli anni e la durezza di visioni ideologicamente totalitarie. Ne fu certo questo – occorre ribadirlo con forza – il carattere fondamentale della Resistenza italiana, che seppe mantenere uno spirito unitario e condusse con comune impegno la lotta contro il nazismo ed il fascismo repubblichino”. A  Porzûs la lotta di Resistenza fu spezzata. Ma quell’evento, unico e terribile, lo possiamo oggi ricordare proprio perché forti e consapevoli del carattere unitario della guerra partigiana.

NOTA: Sull’eccidio di Porzûs è stato girato nel 1997 un film, discusso e discutibile, dal titolo Porzûs. Acquistato dalla RAI è stato trasmesso solo molti anni dopo su Rai Movie. Più interessante è invece la puntata de Il tempo e la storia, con lo storico Raoul Pupo. Dal canto suo Pupo, che è docente di storia contemporanea a Trieste, è accusato dai suoi detrattori di essere “anticomunista e antijugoslavista”. Segno di quanto, anche in ambito accademico, questi temi siano ancora oggetto di controversie.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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14 commenti

  1. Laura Matelda Puppini

    In questi giorni sono lontana da casa mia e quindi non posso scrivere un testo documentato, perché non ho i libri qui. Ma ciò che secondo me portò all’eccidio avvenuto a Topli Uork ( non a Porzus) ,potrebbe essere meno collegato di quanto si creda la IX° Korpus sloveno. Alberto Buvoli dà molta importanza alle lettere Virgilio/Malvin, che però non contengono, mi pare, un vero e proprio ordine di uccidere Bolla e il gruppo di Topli Uork, e sono anteriori come data, e, mi pare, più generiche. Lo stesso Vanni ha qualche dubbio… La situazione venutasi a creare all’ epoca, in quel freddissimo inverno, era tesa e difficile per tutti, anche per Bolla ed il suo gruppo, o per Giacca, che stanziava in bosco Romagno. Se si legge il diario di Bolla si scopre che un paio di giorni prima dell’ eccidio Bolla, esasperato dal fatto di non esser riuscito, per la seconda volta a recuperare quanto lanciato da un aereo alleato, e a corto di viveri, era andato in un paesetto vicino, (sarò più precisa in seguito quando rientrerò a casa ove ho i testi da consultare) ed aveva, armi in pugno, preso i giovani prigionieri. Quindi aveva detto alla popolazione che, o gli davano entro un tempo brevissimo, chili di grassi, mi pare 300 chili, o avrebbe ucciso un ostaggio al giorno. Quindi aveva lasciato i giovani dormire al freddo perchè imparassero in che situazione vivevano loro. Ma a Poiana ed in zona la popolazione conosceva Giacca, che era pure a corto di viveri, mentre si narrava che gli osovani avessero molte scorte di cibo, anche se solo si narrava…. E vi erano motivi di attrito fra osovani e garibaldini, in quel febbraio, ma vi era anche la propaganda nazista che tendeva ad alimentare ad arte tali divergenze od a crearne diffondendo false informazioni, non dimentichiamolo. Così Giacca potrebbe esser stato avvisato dalla popolazione, esser salito ed aver trovato, pure, Edda Turchetti, spia segnalata come spia dal Cinpro…con Bolla, che l’aveva trattenuta per accertamenti, ma poi forse scagionata, non lo so, o ancora sotto inchiesta quel 7 febbraio… non vi erano prigioni partigiane… coincidenze in un clima di sospetto, e senza magari permesso dal P.C.I. , o solo per andare a vedere, o solo va fai e fai bene… Il processo di Porzus, utilizzato in funzione anticomunista, fu forse troppo importante all’epoca dal punto di vista politico, e poi c’erano tutte quelle fonti orali, poco chiare nelle loro deposizioni basate sulla memoria ma erano passati alcuni anni, ma anche contradditorie… come dimostra Alessandra Kersevan nel suo: Porzus un processo da rifare…. Quello che è chiaro a me e’ solo che garibaldini uccisero a sangue freddo osovani senza motivo. Quello che mi è chiaro è anche che Andrea, Mario Lizzero, quel maledetto 7 febbraio 1945 era ancora in Carnia, e nulla ha a che fare, da che so, con l’ eccidio detto di Porzus. Ma mi riservo su nonsolocarnia.info, mio sito, di scrivere in modo documentato da fonti, questo mio pensiero. Laura Matelda Puppini

  2. “E qui seguiamo la ricostruzione dei fatti proposta dall”ANPI”: certo che basarsi sulla “ricostruzione” proposta dalla parte in causa non mi sembra che sia il presupposto per una serena valutazione dell’accaduto.
    ANPI rappresenta, dichiaratamente, una parte fortemente politicizzata, allora come oggi, di quanti si trovarono ad agire a quei tempi, ad essa non aderiscono ne i reduci dell’Osoppo, ma neanche quelli della Brigata Ebraica giustappunto “contestati” al corteo milanese….

    • Specifichiamo che la Brigata Ebraica non è stata contestata dall’ANPI (che anzi la precedeva nel corteo) ma da gruppi che non facevano parte del corteo del 25 aprile.

    • Laura Matelda Puppini

      Risposta a Gian Angelo. L’ Anpi nazionale non è l’ Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione, ma si avvale, mi pare proprio di Raoul Pupo come esperto, se ben ricordo, e se sue sono sue alcune schede di partigiani ed altri testi sarebbe per lo meno da discuterne, perchè presentano imprecisioni ecc.; partigiani osovani fanno e facevano parte dell’ ANPI, vedi per esempio l’osovano Romano Marchetti e non solo; bisogna ringraziare l’ A.P.O. (Associazione Partigiani osovani) per aver pubblicato il diario di Bolla; prima di scrivere è preferibile informarsi.

      • Giustamente “L’ Anpi nazionale non è l’ Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione” , per cui, mi consenta, le sue “ricostruzioni” sono dei documenti di parte, ma soprattutto erano e sono dei giudizi “politici”. Pur in presenza di singoli percorsi personali, allora come oggi, ogni esperienza o motivazione non allineata con le direttive politiche del referente maggioritario (o totalitario) dell’associazione, sono sgradite e mal tollerate. La resistenza non è di tutti: azionisti, monarchici, cattolici e financo scout non ci “stanno bene”, sono esperienze da emarginare o ricordare con molti distinguo.
        Proprio la NON conclusione dei processi degli anni 50 e 60, al di la dei compiacenti rifugi in Cecoslovacchia, Yuguslavia e URSS, ha dimostrato l’incapacità o la non volontà di fare i conti con realtà molto poco ideali e piuttosto sgradevoli: la parabola di Pansa, da stimato giornalista a paria, o prima quella di De Felice, dimostra come vengono gestite le voci fuori dal coro. In fondo gli osovani erano (o erano sospettati di essere) dei collaborazionisti : nessuno ha ammesso di essersi sbagliato o riconosciuto “l’errore”.

        • Laura Matelda Puppini

          Le mie ricostruzioni sono di parte? E chi lo dice, lei? E come lo dimostra? Per cortesia, se non ha altri argomenti si informi prima di scrivere. Da Porzus alla cecoslovacchia, luoghi comuni triti e ritriti, utilizzati da chi fa un uso personale e politico della storia. Già mi hanno scritto sul sito che sarei amica Pol Pot, Stalin ecc. spero non si rincominci con queste stupidaggini, per usare un termine benevolo perchè alla mente mi viene la parola stronzate. Quello che ho scritto è documentato, e ora che sono tornata a casa, con un attimo di pazienza scriverò sul mio sito in modo documentato. O devo pensare che valga ancora il detto ” A chi cerca ( in questo caso non dice) la verità dona un cavallo, ne avrà bisogno per fuggire? La resistenza fu di tutti: monarchici furono partigiani, azionisti cattolici, scout, testimoni di geova rifiutarono la leva e finirono nei campi di concentramento, la resistenza fu europea e non solo italiana. E lo ricorda in un suo bellissimo pezzo la medaglia d’ oro Paola Del Din. Laura Matelda Puppini

        • Non vorrei abusare della pazienza della Redazione, ma spero che questo mio commento possa essere pubblicato, onde chiarire un colossale fraintendimento.
          Cara signora Puppini, non ho mai affermato che le SUE ricostruzioni fossero di parte o che non fossero documentate. Il mio riferimento erano alle “ricostruzioni” dell’ANPI. Per il resto, ognuno ha i luoghi suoi triti e ritriti.

  3. A questo punto una ulteriore precisazione: l’occhiutissimo servizio d’ordine dell’ANPI guardava dall’altra parte quando i “soliti provocatori esterni” agivano indisturbati durante il corteo milanese.

  4. gentili lettori, direi che siamo sufficientemente andati fuori tema. Quindi ulteriori commenti in merito alla manifestazione milanese del 25 aprile non verranno pubblicati. Grazie.

  5. Per quanto riguarda questo eccidio, io faccio riferimento alle parole di Alessandra Kersevan, pubblicate l’ 11 febbraio 2012 col titolo “Porzus, il più grande processo antipartigiano del dopoguerra” . Per voi non sarà la Bibbia, ma per me la Kersevan è onesta e trasparente nei suoi scritti

  6. Laura Matelda Puppini

    Ho pubblicato il 31 dicembre 2015 sul mio sito/blog: http://www.nonsolocarnia.info il mio: Divagando su “Porzûs”, in modo documentato. E se … ove riprendo la chiave di lettura e le problematiche esposte nel mio primo commento a questo contributo sulll’argomento di Matteo Zola, documentando, come promesso, ed esponendo in modo più organico il mio pensiero nel merito. Invito tutti a leggerlo. Buon Anno a tutti e grazie ad East Journal, che seguo sempre con interesse e spesso cito, per i suoi articoli. Laura Matelda Puppini

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