Il papa e il genocidio armeno. Una mossa politica e religiosa (che svergogna l'Italia)

L’incontro tra il papa di Roma, Francesco, e il patriarca della chiesa armena, Karekin II°, entra direttamente nella questione irrisolta del “Metz Yagern”, il “grande male”, ovvero lo sterminio degli armeni per mano dei turchi avvenuto tra il 1915 e il 1923. Uno sterminio a lungo dimenticato che vide la morte di centinaia di migliaia di persone (il numero è incerto) e che non cessa di essere motivo di scontro tra la Turchia – che si rifiuta di riconoscerlo – e i paesi dell’Europa che invece parlano apertamente di genocidio. Le parole che il pontefice romano rivolge al patriarca Karekin girano il coltello nella piaga: “Quello degli armeni è stato il primo genocidio del XX° secolo e ha colpito il vostro popolo, prima nazione cristiana”.

Il papa svergogna il governo italiano

Il Vaticano compie così una doppia mossa. Anzitutto riporta al centro della discussione politica il tema della persecuzione armena che alcuni paesi d’Europa ancora non riconoscono oppure evitano di approfondire, come l’Italia. Al punto che il governo italiano aveva imposto l’eliminazione della parola “genocidio” dal titolo di una rassegna culturale dedicata al popolo armeno che ha avuto luogo a Roma nel marzo scorso, “altrimenti niente patrocinio”. E questo benché l’Italia riconosca ufficialmente il genocidio armeno. Ecco quindi che le parole di papa Francesco svelano, per lungimiranza e temerarietà, il pavido opportunismo italico che per non far dispiacere a un partner economico impone la propria censura su un evento culturale. Il genocidio armeno è invece riconosciuto in Francia dove si è arrivati all’eccesso opposto, ovvero quello di condannare per “negazionismo” chiunque rifiuti di riconoscere l’avvenuto genocidio. Una legge che non piacque, anzitutto, agli armeni di Turchia e che servì a Sarkozy per prendere i voti dell’importante comunità armena locale.

Con le sue parole il pontefice di Roma si propone come punta avanzata del dibattito politico internazionale, mettendo la diplomazia vaticana al centro di una questione irrisolta che riguarda, evidentemente, la storia di una nazione cristiana. Già papa Giovanni Paolo II°, durante una sua visita in Armenia nel 2001, parlò del “grande male” ma evitò la parola “genocidio” per non fare di una controversia storica un tema politico e diplomatico. Ma per papa Bergoglio, che ai tempi del suo episcopato a Buenos Aires incontrò il patriarca della chiesa armena di Cilicia e l’ambasciatore armeno, tessendo così ottime relazioni con l’influente comunità armena d’Argentina, è evidentemente giunto il momento di rompere gli indugi con una frase che sarà destinata a rimanere uno snodo fondamentale per la vicenda del riconoscimento internazionale del genocidio armeno.

Il genocidio e la Turchia

L’accusa di genocidio non è da ascriversi al moderno stato turco, che all’epoca dei fatti ancora non esisteva, ma all’opera dei Giovani Turchi, estremisti nazionalisti che furono protagonisti degli ultimi anni di vita dell’impero ottomano. Eppure la moderna Turchia è da sempre contraria a parlare di questo tema, perché? Perché il “padre della patria”, Mustafa Kemal detto “Ataturk”, il fondatore del moderno stato turco, fu uno dei “giovani turchi”, anche se non dei più influenti. Questo legame tra il nazionalismo dei Giovani Turchi e il kemalismo è una della cause del mancato riconoscimento del genocidio armeno. L’avvento di Erdogan, espressione di un Islam politico contrario al kemalismo, ha suscitato molte speranze e le sue “scuse” ufficiali al popolo armeno, fatte nel maggio 2014, sembrarono aprire una nuova fase. Oggi lo stato turco riconosce la persecuzione ai danni della popolazione armena ma non accetta il termine “genocidio”.

Ma cos’è un genocidio? La definizione è scivolosa e non è condivisa da tutti i politologi. Per alcuni non c’è differenza tra “genocidio” e “pulizia etnica”. Secondo altri va distinto il genocidio dalla pulizia etnica o dall’omicidio di massa in base alle ragioni che lo determinano: sarebbe la volontà politica, unita alla realizzazione metodica, di sterminare un popolo in base a ragioni etniche, a connotare il genocidio. Questa definizione si può applicare al caso armeno? Qui sta il contendere: Ankara non nega le deportazioni, la morte, le torture subite dal popolo armeno ma – sostiene – esse non furono il frutto di una pianificazione politica o della volontà di sterminio. Sarebbe stato il clima di guerra, legato al decadimento dell’impero ottomano, ad avere creato le premesse per la persecuzione e non la volontà genocidiaria.

Per saperne di più sulla storia del genocidio armeno LEGGI ANCHE: “ Armeni, il genocidio dimenticato che resta pietra d’inciampo

Il Vaticano e le sue ambizioni orientali

Abbiamo detto che il pontefice, con le sue dichiarazioni in merito al genocidio armeno, ha compiuto una doppia mossa. La prima, lo abbiamo visto, è stata politico-diplomatica. La seconda è invece politico-religiosa. L’invito a Roma di Karekin II° è da inserirsi nel lungo lavorio di riavvicinamento della chiesa cattolica nei confronti delle chiese ortodosse e orientali (le cosiddette “chiese cristiane antiche”, come quella armena). Dal punto di vista dottrinale, infatti, gli ortodossi non sono considerati dal Vaticano come “eretici” ma come “scismatici”, e ricomporre lo scisma è uno degli scopi dell’ecumenismo cattolico. Tale percorso di riavvicinamento è lungo e complesso, non solo per le ormai radicate differenze di tradizione religiosa tra ortodossi e cattolici ma anche perché, dal punto di vista ortodosso, lo “scisma d’oriente” è stato piuttosto uno “scisma dei latini”. Si ritiene cioè – e a ragione – che fu l’ambizione del vescovo di Roma, che si riteneva investito del primato su tutta la cristianità, a rompere l’unità dei cristiani. E quando nel 1054 Leone IX scomunicò il patriarca di Costantinopoli, che si rifiutava di riconoscere la supremazia romana, la frattura divenne inevitabile. Ricomporre tale frattura è il sogno proibito della cristianità, anche se resta aperta la questione della “leadership”.

Una questione che tocca anche la chiesa armena la quale, pur non essendo formalmente ascrivibile alle chiese ortodosse, è egualmente soggetta alle ambizioni del Vaticano. I cristiani orientali soffrono l’ecumenismo cattolico perché ne colgono la riaffermazione del ruolo di “guida” del vescovo di Roma. D’altro canto non possono sottrarsi all’aiuto interessato del Vaticano vista la situazione in cui molte chiese orientali si trovano.

Oggi infatti le chiese orientali, come quella caldea, quella assira, quella greco-melchita, sono messe in pericolo dall’avanzata dell’islamismo radicale in Siria e in Iraq. In Egitto la chiesa copta si è trovata in difficoltà a seguito della vittoria del movimento politico dei Fratelli Musulmani. In Libano la chiesa maronita si trova a doversi misurare, con alterne vicende, con l’estremismo sunnita e sciita. Ad Aleppo, città martoriata dalla guerra civile siriana, è presenta una nutrita comunità cristiana che si riconosce nell’Arcieparchia di Cilicia degli Armeni, e il tema degli armeni di Aleppo è stato ampiamente discusso durante la visita di Karekin II° a Roma.

I ripetuti appelli del Papa in difesa dei cristiani non cattolici d’oriente, perseguitati dall’islamismo radicale, consente al Vaticano di esercitare de facto la leadership sul mondo cristiano. L’invito del patriarca armeno e le dichiarazioni in merito al genocidio vanno anche viste all’interno dell’antagonismo con l’Islam che la nuova Turchia di Erdogan rappresenta. Segno che non solo lo jihadismo e il fondamentalismo religioso sono preoccupazioni della santa sede, ma anche le espressioni (più o meno moderate) dell’Islam politico.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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4 commenti

  1. Il coraggio di Bergoglio è un monumento alla sua onestà che si contrappone al sordido comportamento dei nostri rappresentanti politici viscidi e opportunisti

  2. Bene Papa Bergoglio! Ma quando dira’ una parola per ricordare il sterminio del popolo serboa dal 1941 – 1945, da parte degli ustascia con a capo il ducetto Pavelic, nel cosiddetto Stato Indipendente Croato con la consapevolezza del clero cattolico croato con il cardinale Stepinac a capo. Beatificato questo da Papa Vojtyla?!

  3. Manfredi Bubola

    Non vedo niente di sbagliato nel riportare alla luce una verità sepolta nel silenzio per troppi anni. Sbagliato è attribuire le colpe del genocidio alla Turchia di allora,perché non era ancora de facto uno stato moderno. Anche la Germania post nazista ha riconosciuto i propri crimini e dove è stato possibile, ha ripagato parte dei danni bellici da essa causati. Bergoglio non svergogna il nostro governo, tutt’altro, chi si svergogna, ancora una volta, è il governo turco e il suo ostentato negazionismo.

    • il governo italiano è intervenuto per vietare l’uso della parola “genocidio” nel titolo di un convegno sul genocidio armeno che si è tenuto recentemente a Roma. Se non è negazionismo, quella del governo è almeno censura…

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