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BOSNIA: A sei mesi dalle elezioni, ecco il nuovo governo Zvizdic

Dal 31 marzo scorso la Bosnia ed Erzegovina ha finalmente un governo. La Camera dei Rappresentanti ha difatti votato la fiducia al nuovo esecutivo, risolvendo uno stallo politico che durava ormai dalle elezioni di ottobre. Con 26 voti favorevoli, 7 contrari e un astenuto, la Camera ha dato la fiducia al governo guidato da Denis Zvizdic, cinquantenne professore di architettura, esponente di spicco del Partito d’azione democratica, SDA. Congiuntamente è stata approvata la lista dei ministri, che prevede la partecipazione alla coalizione governativa, oltre che dei musulmani dell’SDA, dell’Unione democratica croata HDZ, dei socialdemocratici del Fronte democratico DF, e di due partiti serbi, il Partito democratico serbo SDS e il Partito del progresso democratico PDP.

Questo importante passaggio è arrivato quasi sei mesi dopo lo svolgimento delle elezioni, tempo nel quale gli esponenti politici hanno lavorato alla composizione delle alleanze. I difficili equilibri centrali si sono inoltre intrecciati con il contesto politico delle due entità del Paese, la Federazione di Bosnia Erzegovina e la Republika Srpska. Nella prima, abitata in maggioranza da musulmani e croati, solo a metà marzo si è giunti ad un accordo tra i partiti e il governo ha ottenuto la fiducia lo stesso giorno di quello centrale. Nell’entità a maggioranza serba, invece, continua a governare l’Alleanza dei socialdemocratici indipendenti, SNSD. Il partito del presidente Milorad Dodik, che governa la Srpska dal 2006, si trova oggi per la prima volta in quasi dieci anni fuori dal governo centrale, scalzato da SDS e PDP. Proprio i nuovi equilibri creatisi all’interno del mondo politico serbobosniaco rischiano di ripercuotersi sull’attività dell’esecutivo di Sarajevo. La prima dimostrazione si è avuta proprio martedì, quando i deputati dell’SNSD hanno preferito non partecipare alla votazione, denunciando la presunta illegalità del nuovo governo.

Il premier Zvizdic si trova ora di fronte numerose sfide. La prima difficoltà sarà mediare tra i partiti rappresentanti delle tre principali componenti etniche del Paese, spesso posti a difesa delle prerogative del proprio gruppo piuttosto che del bene della Bosnia Erzegovina nel suo complesso. La prima polemica che il governo ha dovuto affrontare è stata, non a caso, la nomina del croato Sasa Dalipagic a viceministro delle comunicazioni. Dalipagic è stato designato come rappresentante delle minoranze pur essendo membro di uno dei tre gruppi costituenti, il che pone dei dubbi sul rispetto del principio legislativo che prevede la partecipazione delle minoranze nel governo bosniaco. La seconda questione, ugualmente importante, è quella relativa alle difficoltà economiche del Paese, che portarono nel febbraio 2014 all’esplosione di un’ondata di proteste popolari. Proprio quegli avvenimenti hanno innescato un cambio di strategia dell’Unione europea, i cui risultati si sono visti poche settimane fa, quando il Consiglio UE si è espresso a favore dell’entrata in vigore dell’Accordo d’associazione e stabilizzazione tra Bosnia Erzegovina ed Unione europea.

La formazione del governo dovrebbe costituire un ulteriore tassello in grado di scrollare il Paese dall’immobilismo degli ultimi anni. Zvizdic ha già annunciato che le priorità saranno le riforme economiche e l’integrazione euro-atlantica e che si svilupperà una cooperazione con i governi delle due entità. Per segnare una discontinuità con il passato, però, serve che si adottino forti provvedimenti funzionali al miglioramento delle condizioni economiche dei cittadini bosniaci e si attuino quelle riforme istituzionali in grado di andare oltre il complesso sistema creato dalla comunità internazionale a Dayton nel 1995, al termine della guerra. Se invece l’esecutivo Zvizdic sarà nuovamente preda di equilibrismi e ricatti reciproci tra partiti nazionalisti, allora la luce in fondo al tunnel per la Bosnia Erzegovina sarà ancora lontana.

Chi è Riccardo Celeghini

Laureato in Relazioni Internazionali presso la facoltà di Scienze Politiche dell'Università Roma Tre, con una tesi sui conflitti etnici e i processi di democratizzazione nei Balcani occidentali. Ha avuto esperienze lavorative in Albania, in Croazia e in Kosovo, dove attualmente vive e lavora. E' nato nel 1989 a Roma. Parla inglese, serbo-croato e albanese.

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