SLAVIA: Dalla sottomissione alla libertà, la lunga guerra dei russi contro i mongoli

Abbiamo visto che l’ideologia dei tataro-mongoli era l’elemento distintivo rispetto alle altre popolazioni delle steppe che li avevano preceduti. Popolazioni con cui, pur tra feroci scontri, gli slavi orientali seppero trovare un modus vivendi poiché entrambi i gruppi non erano animati dalla volontà di annientare il nemico. L’idea mongola che fosse volere di Dio il loro dominio sul mondo e che ogni ribellione a questo disegno fosse una ribellione contro Dio, li spinse a fare tabula rasa di ogni resistenza. Nella concezione dei mongoli “in cielo c’è Dio, unico, immortale e altissimo. In terra c’è il khan oceanico, l’unico e supremo signore”. Una visione metafisica del mondo che coincide con una visione politica per la quale i popoli della terra possono anche trovarsi de facto fuori dal dominio dei khan ma de jure essi sono membri del grande impero voluto da Dio.

Accettare la sottomissione, quindi il vassallaggio, risparmiava dalla distruzione. Ma i russi del XIII secolo, a differenza di altre popolazioni, decisero di combattere per la propria libertà. Se uscirono sconfitti dalla scontro fu perché quella libertà era “anarchica”, non subordinata a una organizzazione che unisse tutti i principati russi i quali, a dirla tutta, si erano fatti la guerra fino al giorno prima dell’arrivo dell’orda. Fu il coraggio dei russi a “costringere” i mongoli alla distruzione. La conquista, come abbiamo visto, fu brutale. Dai legati pontifici in visita nelle terre degli slavi orientali apprendiamo che dei russi “restarono solo mucchi di ossa”.

La sottomissione di Alexander Nevski

Una volta sottomessi i nemici, l’atteggiamento dei dominatori tataro-mongoli si contraddistinse per la grande tolleranza: non si infierì mai sui nobili scampati al massacro; venne conservata la libertà religiosa; vennero favoriti i commerci grazie alle nuove reti di comunicazione. I tataro-mongoli non tentarono mai di installare propri nobili o proprie istituzioni.

Nel 1257 tutte le città russe, da Mosca a Kiev, erano state conquistate. Novgorod era l’ultima grande città russa a non essere ancora stata toccata dalla furia dei conquistatori. Un giorno di primavera arrivarono alle porte di Novgorod due emissari mongoli chiedendo la sottomissione della città. Novgorod era la città “rivale” di Kiev prima dell’invasione, ricca e potente fu anch’essa fondata da quei vichinghi che diedero vita a molti dei principati russi poi caduti sotto i colpi dell’orda. La Cronaca di Novgorod racconta come la popolazione non volesse cedere e rifiutasse di pagare i tributi richiesti dai messi mongoli in cambio della pace. Fu il principe Alexander Nevski, vincitore degli svedesi nel 1240 e dei livoni nel 1242, a evitare la catastrofe.

Alexander Nevski fu anzitutto un condottiero e per questo è ricordato e celebrato in Russia. Fatto santo dalla chiesa ortodossa nel 1547, è considerato l’eroe nazionale russo e a lui sono dedicati l’omonimo monastero di San Pietroburgo, la cattedrale di Sofia e quella di Tallin. L’eroe però si sottomise ai mongoli contro il volere del popolo. Fu un gesto di grande spessore politico anche se costò la vita a molti suoi concittadini che, nel 1259, si ribellarono alle imposte volute dai mongoli e vennero uccisi su suo ordine. Nevski non voleva in alcun modo offrire ai suoi nuovi “padroni” mongoli ragioni per dubitare della lealtà della città. Da buon vassallo combatté al fianco dei mongoli in molte battaglie.

L’eroe della Russia sacrificò la libertà in nome della sopravvivenza e diede così inizio al lungo e travagliato rapporto tra mongoli e russi.

La riconquista della libertà

La pace mongola consentì alla Russia di ricostruire le proprie forze, di ripopolare le aree abbandonate dopo l’arrivo dei tataro-mongoli e di ricostruire le città. Alcuni centri, come Kiev e Rjazan‘, non torneranno mai più all’antico splendore. Dopo alterne vicende Kiev, la regina della città russe, passerà nelle mani dei polacco-lituani e la leadership e la cultura vichingo-slava scompariranno lasciando il posto a un progressivo ripopolamento slavo di cui gli ucraini di oggi sono gli eredi. In tal modo Kiev cesserà di essere una città eminentemente “russa” lasciando spazio all’emergere di nuovi centri di potere, su cui svetterà Mosca.

Nel settembre del 1380 fu proprio il principe di Mosca, Dimitri (poi noto con l’appellattivo di Donskoj, ovvero “Demetrio del Don”) a sconfiggere per la prima volta un capo mongolo. Fu quella la celebre battaglia di Kulikovo, la “battaglia di Campo della Beccacce” che vide la sconfitta dei tatari dell’Orda d’Oro, uno dei khanati in cui venne diviso l’impero mongolo alla morte di Gengis Khan. Dopo 150 anni di dominio, i russi ritrovavano la via della libertà.

Non fu una strada facile. Nel 1382 la città di Mosca venne punita dai tatari che la invasero e bruciarono. Si dovette attendere ancora un secolo perché il principato di Mosca potesse rafforzarsi al punto da spingere i tatari a una “separazione amichevole”. Nel 1480 sul fiume Ugra i due eserciti si incontrarono e senza ingaggiare battaglia i tatari accettarono di porre fine al proprio dominio sulla Russia.

Nel 1552 Ivan il Terribile, penultimo principe della dinastia scandinava dei Rurik (ormai slavizzata) diede inizio ai lavori di costruzione della cattedrale di San Basilio, che domina oggi la piazza Rossa, per celebrare la definitiva sconfitta dei tatari ricacciati al di là del Caspio.

La cattedrale di San Basilio testimonia però, con le sue cupole, le piramidi dorate, i campanili a forma di minareti, il profilo orientale, quanto forte sia stata l’influenza dei tataro-mongoli sulla cultura russa. Due secoli di dominazione hanno lasciato un segno indelebile sui russi, ma di quanto sia profondo questo segno parleremo la prossima volta.

nella foto statua di Alexander Nevski a San Pietroburgo (Wikipedia)

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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3 commenti

  1. non vorrei essere pedante ma quando si tenta una sintesi con coraggio si può comunque prestare maggiore attenzione ai dettagli. 1257. siete certi che si possa parlare di Mosca? i mucchi di ossa viste dai prelati davvero corrispondono a quanto accaduto? e, infine: davvero ritenete corretto parlare di russi?
    così eh, senza intento polemico ma per chiarire, visto lo sforzo.

    • Salve Marco

      provo a risponderle, premettendo che non sono uno storico. Allora, per quanto riguarda Mosca, nel 1257 era già una città – anche se non importante né di grandi dimensioni. Era però già stata ricostruita dopo le prime invasioni tataro-mongole per essere un centro urbano, quindi in quella data Mosca c’era ed era una città anche se non ancora il centro di potere che sarà poi. Certamente le fonti dell’epoca vanno prese con le pinze. Le testimonianze dei coevi sono influenzate da molte ragioni di ordine ideologico, culturale, politico. Avrei forse dovuto sottolineare meglio questo aspetto.
      Parlo di “russi” convinto che il lettore si ricordi della puntata in cui parlavamo della Rus’ di Kiev e spiegavamo sia l’origine del termine che della comunità cui è stato attribuito. Spero di averle risposto. Un saluto

      Matteo

  2. grazie Matteo lei mi ha risposto. ovviamente a modo suo, che è un modo, ma coglie meno nel segno di quanto potrebbe. Mosca nel 1257 non contava nulla. per questo inserirla con Kiev è fuorviante e metodologicamente errato. i russi. non so cosa ha scritto a proposito della Rus’ kievivana. ma qualsiasi cosa abbia scritto lei, non esiste in nessun modo la possibilità di chiamare quel popolo “russi”. Le cronache, che costituiscono le nostre fonti, lasciano pochi dubbi su l’aspetto principale di auella narrazione. si trattava di una società legatacda un comune retaggio religioso, conservato e tramandato nei monasteri e usato, arricchito, studiato, rivendicato a corte, a Mosca, dopo il 1380 e in particolare con Ivan Groznyj. la sua è la Rus’ moscovita e si ritiene erede della tradizione kieviana. che continua con Mosca, la quale nulla ha a che vedere con terze rome. (non si sa mai venisse in mente di ricordarlo). mi dispiace dissentire quindi sul contenuto e sul metodo, a maggior ragione se non si ritiene uno storico. magari è un letterato, ma in auesto caso sarebbe più grave. poi io sono l’ultimo dei pirla quindi prendetemi pure con tutto il disagio e l’imbarazzo che posso provocare inserendomi. ma visto che siete pubblici…comunqu, una lettura di kossova, danti e satta boschian, gurevic e obolenski non farebbero del male a nessuno. buon lavoro

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