Eravamo quattro amici al bar (che volevano cambiare l'UE)

La nostra redazione è stata ribattezzata come “il bar”. Un pomeriggio come tanti, al “bar”, si finisce a parlare di massimi sistemi. Quel che ne è venuto fuori è un dibattito che potrebbe interessare i lettori curiosi di vedere cosa succede dietro le quinte. I nomi sono di fantasia ma tradiscono l’estrazione culturale di chi parla o la sua provenienza geografica in modo che il lettore possa inserirli all’interno di un quadro più ampio, qui appena abbozzato. Speriamo che sia occasione di dialogo anche con i lettori. Male che va, sono chiacchiere da bar…

Bastiano – … personalmente la vedo così: se l’UE va a rotoli senza conseguenze troppo drammatiche e concludiamo questa esperienza seppellendola nel cassetto dei ricordi, è un bene per tutti gli “europei”. Però se il prezzo da pagare è un’influenza russa (che è peggio persino dell’Europa) allora teniamoci ‘sto cesso.

Slavinio – Chiacchierando poco tempo fa di Jugoslavia con un mio amico serbo (di un’età che gli consente di fare certi commenti), egli mi ha detto “Non eravamo maturi abbastanza per meritarci quel paese”. La frase mi è rimasta impressa e mi sembra si applichi bene a tutti quelli nati dentro l’UE che pensano, appunto, che un suo scioglimento non avrebbe conseguenze drammatiche, o che sia “‘sto cesso”, l’alfa e omega dei loro problemi. Non è l’UE il problema dell’Europa ma la demagogia. Scriveva Ivo Lola Ribar, prima della guerra: “La ragione non ha mai guidato la politica, quella che si intende per ragione di chi governa è una manciata di istinti passivi prodotti dalla società che vengono solitamente presi per ragionevoli. Una delle prove è che il fomentare l’odio in politica accende le masse come null’altro. […] Questo ci porta anche alla questione della demagogia. Io ammetto che la demagogia è un fattore potente della lotta politica, e tale rimarrà fino a quando l’intelligenza diffusa si troverà ai bassi livelli a cui si trova oggi”.

Utopio – Condivido quanto afferma Slavinio, tuttavia restano alcuni problemi che non si può fingere di non vedere. L’UE per come è fatta oggi non va. E non va perché non c’è modo da parte dei cittadini di influenzarne le scelte economiche, o di fare pressione perché si proceda – in una direzione o in un’altra – con il percorso di unità politica. Una volta, quando la democrazia rappresentativa funzionava (male, ma funzionava), c’erano strumenti di pressione e partecipazione politica per i cittadini. Ora non ci sono anche perché le decisioni vengono prese troppo in alto da persone che non devono rispondere del loro mandato agli elettori. Questo è un problema enorme che lascia aperte molte criticità, e che si presta a essere strumentalizzato dai detrattori, ma che può anche diventare la via per la costruzione di un Golem a-democratico.

Non vedo l’UE come una forte e solida istituzione democratica, al momento. So che Fidelio mi dirà che i processi sono lunghi, e mi spiegherà che sono gli stati a non volere procedere, etc etc… non dubito. Ma se guardo l’UE oggi, un po’ mi spaventa. E che ogni critica che venga mossa sia bollata di populismo, mi spaventa ancora di più. Ho imparato che la delegittimazione del dissenso è il primo passo verso un regime non più democratico. Ecco, sentirmi dare del populista quando esprimo una critica verso l’Unione Europea mi disturba. E non perché lo si dice a me, ma perché non è un modo di pensare meno “populista” che tacciare di populismo il dissenso. Insomma, io sono preoccupato. E credo che oggi essere europeisti sia pretendere una decisa correzione di rotta.

Fidelio – A mio parere il populismo non è dire che l’UE così non vada bene (a gradazioni più o meno forti a seconda delle idee di ciascuno), ma saltare a pie’ pari l’analisi dei meccanismi di funzionamento dell’Unione, le criticità, le possibili vie di risoluzione di tali criticità per arrivare direttamente ad auguri di morte all’Unione, da parte di gente “viziata”, nata all’interno di un quadro geopolitico di estrema pace, prosperità e libertà di movimento che, ricordiamocelo, esiste giusto da ieri rispetto ai tempi della storia. Francamente sono passati solo settant’anni anni dalla fine della Seconda guerra mondiale ed è strabiliante come l’idea di un conflitto su suolo europeo sia così lontana dall’immaginario di chiunque, quasi si trattasse di un romanzo di fantascienza. Mi sembra folle.

E, con tutta la delegittimazione che ne può venire, a me fa più paura la leggerezza di chi scarta queste implicazioni in nome della non sufficiente democraticità (rispetto a quale paradigma?) dell’attuale Unione. Inoltre voglio dire un’altra cosa: mi sembra che troppo spesso si confondano le istituzioni con i loro rappresentanti. Personalmente trovo che peggio che le strutture europee sia la qualità degli attuali rappresentanti. Si pensi anche al Parlamento europeo, che sembra più un parcheggio per politici trombati che altro. Insomma, non vedo come l’UE possa rappresentare l’alta politica quando a livello nazionale l’Europa manca pericolosamente di statisti (e non parlo solo del lampante esempio nostrano, ma anche di Germania, Francia, Regno Unito…). La qualità delle persone che fanno politica è scarsa, ed è qui che secondo me nascono i problemi. La delegittimazione nasce quando i cervelli di chi non decide sono più intelligenti dei cervelli di chi siede al comando.

Bastiano – La questione è appunto che un’uscita ora avrebbe troppe conseguenze, soprattutto un’uscita dall’eurozona più che dall’UE in quanto tale. Inoltre le forze che si oppongono all’UE sono in grande parte ancora più antidemocratiche e spaventose di quanto il Leviatano europeo non sia. Quindi la soluzione è che non c’è una soluzione. Semplicemente con il senno di poi non avrebbero mai dovuto pensare a un’Unione europea, però adesso è facile parlare. Al tempo sembrava che la priorità principale fosse risolvere il problema centrale dell’Europa otto-novecentesca, cioè la rivalità tra i grandi stati nazionali. Siccome né gli accordi bilaterali tra gli stati né i semplici organismi internazionali (vedi la fine che ha fatto la Lega delle Nazioni) sembravano in grado di dare sufficienti garanzie a riguardo, hanno pensato di fare un passo in più e immaginare un’Europa unita. Ottime intenzioni, ma il risultato è una cagata sotto ogni punto di vista.

Slavinio – Non vedo come il risultato sia una cagata sotto ogni punto di vista. Ripeto, si è ottenuto molto, non a sufficienza. Il fatto che ci sarebbero più conseguenze dall’uscita dall’eurozona che dall’UE è solo lo specchio di una crescita sbilanciata sul lato economico e insufficiente sul lato politico. Maastricht andrebbe riscritta (non poggia su basi scientifiche e condiziona inutilmente le politiche economiche dei paesi membri); la crisi del 2010-2014 è stata tristemente caratterizzata da scelte infelici una dietro l’altra (il nuovo piano Junker sembra voler cambiare finalmente il corso ma è, monetariamente parlando, insufficiente una pistola d’acqua contro un incendio nucleare, ed inoltre rimangono i vincoli del Fiscal Compact + i debt brake criminosamente inseriti in alcune costituzioni nazionali).

Non penso che il “senso di cittadinanza europea” possa venire inculcato a forza nella testa di nessuno, e francamente sono scettico su che cosa l’UE possa fare a riguardo. E’ un gioco degli specchi, dove i politici nazionali (che perdono consenso), incolpano l’UE per i propri fallimenti (e se vogliamo, l’UE è il risultato dei loro fallimenti), chi possa vincere in questa competizione mediatica è talmente facile da prevedere che non occorre uno scienziato politico per spiegarci le dinamiche… L’Europa non è gli Stati Uniti, gli stati membri sono molto, molto più diversificati (a cominciare dalla lingua e dalla ricca storia) che gli USA, e questo mi sembra uno scoglio difficilmente superabile: da un lato l’assenza di unità ha fallito nel creare un senso di appartenenza a quella che, alla lunga, è finita davvero per diventare un’unione di burocrati, dall’altro qualsiasi tentativo di ulteriore accorpamento viene vissuto come coercitivo e potenzia le frizioni, oltre che essere una prova di forza logorante dati i difficili meccanismi e procedure che vedono tutti gli stati membri pesare in maniera macchinosa ed eccessiva su ogni possibile decisione (la definirei jugoslavizzazione dell’UE). Non chiedetemi come se ne esca, solo mi prudono le critiche facili che mi sembrano sfoghi di chi, altrettanto quanto me, non conosce la strada d’uscita dallo stallo delle nostre vite in tempi di ripiegamento collettivo.

Bastiano – L’ Europa è un’idea con buone intenzioni, ma sbagliata in principio. Non può funzionare. Non si può riformare l’Europa. Va abolita, in questo sono d’accordo con i populisti anti-europei. Ma non sono d’accordo con i loro modi. Il punto non è dire “l’Europa fa schifo, usciamo domani. Facciamo il referendum sull’euro”. Il punto è sedersi tutti a un tavolo, ammettere che l’esperimento di un’unità europea è fallito, trovare una strategia di uscita sul lungo periodo per trasformare l’UE in un organismo internazionale – penso a una sorta di ONU in miniatura ma più funzionante – a maglie molto larghe. Lo stesso vale per il ritorno alle monete nazionali o per frazionare l’euro in monete internazionali ma più ristrette. Il tutto deve avvenire con il consenso di tutti gli attori in gioco e trovando soluzioni che siano soddisfacenti per tutti. Gli anti-euro propongono strategie radicali anche piene di odio e rancore verso l’Europa, o addirittura verso alcuni paesi in modo particolare (vedi il sentimento anti-tedesco). Queste cose non le condivido. Così come non condivido la visione irrazionale di “uscire dall’euro e fargliela vedere a tutti”, perché faremmo del male a noi stessi. L’Italia, come gli altri paesi nella sua condizione, non ha bisogno di leader anti-europei, ma di leader a-europei, indifferenti all’Europa. Di persone che abbandonino la prospettiva europea per fare in modo appropriato i nostri legittimi ed esclusivi interessi nazionali. Ho detto “in modo appropriato”, il che non significa di certo fare un referendum sull’euro tra una settimana o uscire sbattendo la porta per fare un dispetto alla Germania.

Utopio – La questione della pace è senz’altro rilevante. Ma è l’unico argomento positivo che mi sento ripetere (insieme al mantra del “possiamo viaggiare senza frontiere”). Propongo una riflessione, che parte forse da troppo lontano ma che credo vada più alla radice del problema, Trovo che manchino gli spazi per l’agire politico, nel senso più ampio del termine. Un cittadino, se vuole partecipare alla vita politica (del paese o dell’Europa) non ha spazi per farlo. Soprattutto se intende esprimere bisogni e idee alternative. Come creare senso dello stato (sia esso europeo o italiano) e amor di patria (sia essa Europa o Italia) e impegno civile tra i giovani, e le persone in generale, se non li rendi partecipi?

A me pare che lo stato oggi disincentivi la partecipazione alla vita politica, nel senso ampio del termine. E se non si può partecipare alla vita politica del proprio paese, come incidere sulle scelte compiute più in alto, a livello europeo? Soprattutto se compiute da persone che non devono rimettere il proprio mandato, perché non elette. Come creare una “responsabilità” (nel senso di dare risposte) reciproca tra cittadino e istituzione europea se il cittadino non ha spazio d’azione politica diversa dal voto, che in sé diventa esercizio sterile senza una vitalità politica alle spalle. Perché la qualità di chi fa politica sia meno scarsa è necessario aprire spazi di azione e partecipazione che consentano, lentamente, il ricambio della classe dirigente. Ma questi spazi sono preclusi anche dal fatto che la classe dirigente è oligarchica e conservativa, e quella europea ancora di più.

Una volta c’era il lavoro, era l’ultimo spazio di partecipazione alla vita politica rimasto. Oggi il lavoro è una semplice prestazione di attività in cambio di salario. Nient’altro. E la precarizzazione porta alla mercificazione del lavoro. E tale mercificazione non è forse promossa da chi insiste che si facciano “riforme” in senso più o meno liberale? Non è forse la Commissione a chiedere, con insistenza, che si proceda verso un cammino che – a me pare – porta solo a creare una manodopera a basso costo o di docili consumatori, il cui senso dello stato e l’impegno civile sono inutili o peggio pericolosi? Badate, non dico che questo sia fatto scientemente, che sia un piano, un complotto. Dico che sta accadendo. E l’UE è una forza reazionaria in tal senso. Le idee economiche che abbraccia e promuove porteranno dritti all’Ottocento. E non parlo dell’austerità, che pure trovo mortale, perché è un discorso tangenziale anche se in certa misura è il risultato di questa “ideologia” economica che l’UE porta avanti. E che – ripeto – ha come ricadute il depauperamento della vita civile e della giustizia sociale. E’ per amor d’Europa che sono un critico dell’UE. Ne vorrei una riforma radicale, non l’eliminazione. Poiché gli elementi positivi elencati da Slavinio sono reali, ma da soli non bastano.

Slavinio – Sono d’accordo, l’Europa non è solo pace e weekend fuori porta. Butto lì la politica agraria comune, che economicamente è la più importante a livello comunitario, e punta (tacitamente, essendo una politica assolutamente protezionista, come d’altronde tante altre condotte dai grandi difensori del liberismo – col culo degli altri) all’autosufficienza alimentare a livello europeo, che, mi pare, sia un importantissimo obiettivo strategico per tutti i paesi coinvolti, per quella larga parte di popolazione che di agricoltura vive e per la sostenibilità economica dei sistemi paese, ed anche per ragioni strategiche di difesa dell’indipendenza continentale.

Dove divergo dal discorso di Utopio è nel puntare il dito contro chi avrebbe la colpa per l’alienazione dall’impegno civile dei giovani e dei cittadini. Ritengo che il potere, da quando mondo è mondo, è per sua natura reazionario, sia esso “democratico” o meno, e se dobbiamo aspettare col broncio che ci dia lo spazio per partecipare e venga a chiederci cosa vorremmo, stiamo freschi. Lo spazio, anche questo da quando mondo è mondo, si ottiene attraverso la lotta, il baccano, la rabbia. E per questo io non incolpo lo Stato, o l’Unione europea, ma i giovani che non lottano, non fanno baccano, non hanno rabbia. Così come per il senso di appartenenza europea, anche l’indignazione e la rabbia non li puoi inculcare. Cosa hanno fatto, esattamente, le generazioni nate negli anni Ottanta e Novanta per dirsi oggi disilluse, sconfitte? Hanno perso, o si sono semplicemente fatte marginalizzare? Io non vedo molta intelligenza, nei miei coetanei. E la loro stupidità è molto più pericolosa, cancerogena e fascista di qualsiasi governo, stato, unione di stati che io al momento conosca. Quando incolperemo noi stessi, cambieremo l’Europa. L’inverso è solo la scusa dei deboli (tra cui mi annovero).

Utopio – Ritenere che ci sia una responsabilità collettiva a fronte di determinati eventi storici, è opinione che condivido. E’ colpa nostra se siamo messi così. E’ vero. Ma non bisogna dimenticare elementi attenuanti alla responsabilità collettiva. Anzitutto l’educazione. La scuola è sempre meno una scuola che insegna e trasmette i valori democratici su cui si fonda la Costituzione. In nome del relativismo e dell’ignavia ha abdicato al suo dovere all’educazione civile. Una generazione così educata ha pochi strumenti per difendersi dall’omologazione, quella che dicevo rende docili consumatori o manodopera a basso costo.

E poi il lavoro. Senza lavoro non c’è libertà. Se non arrivi a fine mese, se fatichi a essere rispettato come essere umano perché sei povero, se non hai tutele sociali, vieni umiliato e non sei libero. Sei prigioniero. La libertà, per me, è la possibilità che ogni uomo deve avere di esprimere se stesso al massimo delle sue capacità. Oggi questa possibilità è negata. Il problema della mancanza di lavoro (o della sua mercificazione) rende prigionieri. E i prigionieri non hanno la forza né il modo di lottare. Sono in catene. Come si lotta con i polsi ammanettati? Con i ceppi ai piedi? Perché – in senso figurato – è quanto oggi accade. La nostra generazione è prigioniera. Chi può liberarla? Spartaco? Possibile. No, io non sono Spartaco. E’ colpa mia? E’ colpa dello schiavo la catena? Una volta Zagrebelsky disse “la democrazia è non avere bisogno di Spartaco”. Se ne abbiamo bisogno, e temo di sì, ne consegue che non viviamo in un regime sostanzialmente democratico. Sono debole? forse sì, ma la democrazia dovrebbe garantire ai deboli il diritto e la tutela. Non siamo in democrazia ma solo in una sua forma imbelle, in un simulacro? Allora c’è bisogno di convogliare le energie in una direzione comune. C’è bisogno di Spartaco. In sua assenza, il malessere si esprime in tanti modi. Divide et impera.

Slavinio – Non avevo toccato l’educazione per non andare ulteriormente fuori tema, ma ce l’ho in testa e condivido la serietà e gravità della situazione, e mi fa paura. A questa si aggiunge ora la mancanza di lavoro, è vero, ma diciamo che è molto più recente del problema educativo – dal quale anzi viene esacerbata. Ora comincerei a parlare di capitalismo, ma sarebbe davvero troppo. Ribatto solo, in merito alla citazione di Zagrebelsky, che la democrazia autosufficiente (i.e. senza Spartaco) è bella, bellissima. Mi suona come il Comunismo che affiorerà come sintesi finale della dialettica storica. Mentre lo sogniamo e aspettiamo, quante cose facciamo passare.

Utopio – E’ facile dire che bisogna lottare. Come? Dove? Mancano gli spazi di azione politica, come dicevo. E mancano i vecchi, mancano ai giovani. I vecchi sono tutti finiti a guardare Uomini e donne. Vittime dell’emarginazione o complici di essa? E’ un discorso che diventa troppo ampio. Non mi sento di dare responsabilità generazionali tanto marcate. Responsabilità ne abbiamo, è innegabile. Ma presa coscienza di questo fatto, che fare? Prendere il fucile? Scrivere petizioni? Declamare poesie? Fondare partiti? E con che soldi? Forse non abbiamo ancora toccato il fondo. Forse solo in fondo al pozzo si riconosce la direzione da cui proviene la luce 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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7 commenti

  1. Buongiorno. Leggo con piacere il vostro sito “fuori dalle mappe” dell’informazione mainstream, e oggi ho deciso di iscrivermi per poter lasciare il mio contributo misero a questa chiacchierata. Già, perché è importante parlare di Ucraina, egemonia di potenze mondiali o regionali, tutto vero, ma nulla crea interessa quanto le banali (ma spesso profonde) chiacchierate da bar.
    E quindi, come l’avventore che origlia e si intrufola nella discussione, vi approccio con un “Scusate l’intrusione…”: la vostra abitudine a trattare di “esteri” vi porta evidentemente a solcare la via del Realismo, e ciò è apprezzabile, dato che di buone intenzioni e di idealismi sono piene le fosse, tuttavia, in questo articolo eurocentrico, che evidentemente ci riguarda più intimamente, con le nostre educazioni, le nostre culture, le nostre passioni ed illusioni, vedo una certa esitazione, nel chiamare le cose con il loro nome.
    Premetto sin da ora, come avete voluto fare implicitamente voi dandovi nomi d’arte, la mia posizione: sono euroscettico, quindi oltre Bastiano, oltre Utopio. Sono il convitato di pietra al vostro simposio. Sono euroscettico, ma non sono antieuropeo, e questa è la prima critica che mi sento di muovere al vostro impianto generale: “L’Europa non va bene, cagata pazzesca (cit.), forse si riforma, forse no, ma alla fine il rischio della sua dissoluzione è il nazionalismo LePeniano con ciò che ne consegue, ovvero guerre, sangle, mort”. Ecco, semplicemente no. A parte il fatto che essere contrario a tale Europa, anzi, €zona, tecnocratica e non-democratica non implica volere la guerra, la dogana chiusa alle frontiere e l’odio sulle sponde del Reno; ma non credo che, Farage forse a parte, LePen o Salvini si proclamino antieuropei. Salvini sicuramente no (non sono leghista, ma non stiamo sostenendo fazioni e bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare), anzi, a più riprese si è proclamato “europeista”. E credo anzi che i più sinceramente europeisti, oggi, siano coloro che combattono questa Europa distorta. Perché non possiamo parlare di pace, se non evidenziamo che per 55 anni, pur non avendo una moneta comune e, bene o male, organi politici coercitivi comunitari, la pace è fiorita nel Vecchio Continente, e per due motivi: il primo, che forse coincide con una vostra potenziale replica, è che la Guerra era ancora vicina, nel tempo e nei cuori. Il secondo, che vorrei sottolineare, è che l’Europa che si prefigurava durante la Guerra Fredda era qualcosa di più logico e di più auspicabile: un’alleanza, come qualcuno di voi ha scritto. Un’unione di Stati su punti programmatici, sul desiderio di pace, sul bisogno di fare fronte comune di fronte alle superpotenze e alla globalizzazione. Il che non significava -come poi è inopinatamente successo- calare le braghe della sovranità e ritrovarsi (perché in realtà la Sovranità permane) in una gabbia dove alcuni Stati sono “più uguali” di altri.
    Togliete l’€, e non avrete la fine del sogno europeo, ma il suo rinascimento: l’€ non è l’arma europea anti dollaro (o anti-Cina), ma l’arma prima francese nei confronti del Marco tedesco, e in seguito, ritortasi contro i novelli dr. Frankenstein, arma di tirannia economica dei Tedeschi, che, va sottolineato, hanno fatto le peggiori scorrettezze e nefandezze per arrivare a possederla e manovrarla, sinteticamente riassumibili in: svalutazione salariale illegale, deficit di bilancio illegale per rendere questa digeribile, disinflazione dei prezzi illegale, il tutto per arrivare a godere di un -illegale- surplus di esportazioni. Esportazioni nei confronti, ovviamente, non di Cina, USA, Australlia o Gabon, ovviamente, ma del suo bacino di utenza e delle sue “vittime predilette”, i propri “fratelli” europei. Nonché suoi principali concorrenti.
    Ora potrebbe emergere un’altra replica: “Beh, ma questa è la dimostrazione che c’è bisogno di Europa, altrimenti chi conterrebbe queste spinte competitive e potenzialmente distruttive?”. La risposta è semplice: la normalità delle cose. L’economia. Il libero mercato e la concorrenza. Tutte cose non solo “liberiste” (o liberali), ma di buon senso, e che nel mondo che cresce, fuori dall’Europa, ci sono. In un’Europa sana, in cui gli Stati fanno il loro lavoro e fossero semplicemente vincolati da trattati politici (su obiettivi di politica estera, di libera circolazione interna, di integrazione dei popoli, di risoluzione democratica delle diatribe, formazione di una forza militare) ed economici (libero commercio, politiche di convergenza e di lealtà, quindi tassazione non necessariamente competitiva, vedi Lussemburgo di Juncker, trasferimenti fiscali verso zone depresse), queste distorsioni ed odiosità non esisterebbero. Uno Stato non sarebbe egemone, non ci sarebbero sentimenti anti-tedeschi (come non ce n’erano né prima né appena dopo l’unificazione della Germania), non esisterebbe un nazionalismo sempre meno latente. E’ l’Europa, così come è stata creata, dominatrice, tecnocratica ed antidemocratica, ad esserne la causa, non gli “euroscettici”. La cosa grave è che tutti coloro che devono sapere sanno, sempre più “sudditi” sanno, ma davvero pochi accettano di mettere da parte le proprie miopi divisioni e illusioni, per prendere coscienza del problema.
    Scusate la lunghezza, in un bar gli avventori se ne sarebbero già andati, ma credo che una staffilata ancor più realista, e non cinica, andasse inferta, a questo disastro di ingegneria sociale.

  2. Scuse doppie: ho notato solo ora che “i commenti dovranno essere lunghi al massimo 10 righe”.
    Il tema era complesso, e mi sono lasciato prendere dal clima cordiale del bar.

  3. Da una parte l’America, dall’altra la Russia.. ci siamo messi assieme per poter sopravvivere e adesso ci vogliamo frantumare ? Ma loro hanno tutte le risorse del pianete nelle loro mani.. e noi ? Andremo a comprare il petrolio con le lire ????????

    • @Lina: diciamo che, come alcuni studiosi hanno proposto, è stata proprio la Guerra Fredda a favorire la pace in Europa (e a spostarla in altri scenari “minori”, Korea, Vietnam, Afghanistan). Io non dico di frantumare, io dico di costruire con un minimo di criterio: non siamo fatti per stare insieme in un solo grande utopico stato, non esisteranno mai gli Stati Uniti d’Europa, perché gli Stati sono, vogliono essere (e noi vogliamo che siano) sovrani.
      Possiamo stare insieme, alleati, amici e leali, ma non con una sola moneta, non con un solo Stato a decidere per altri. E non con organi decisionali che democratici non sono. A chi rispondono? Da che sorta di individui sono rappresentati? Gli Stati nel mondo stanno correndo verso la decentralizzazione (che non è frantumazione) del potere e delle responsabilità, perché più i decisori sono vicini agli elettori, più sono controllabili e sanzionabili (imho, chi sostiene il contrario parlando di clientelarismo e corruzione ha una visione un po’ distorta della democrazia). Quindi non mi pare logico che l’UE corra in maniera autoritaria e autoreferenziale verso uno svuotamento della sovranità di Stati…….sovrani!
      Altra cosa: la Russia non è certo più l’URSS, anche se le piacerebbe, di risorse ne ha ben poche (in quanto a varietà), e quelle poche le sono vitali e la stanno trascinando, con l’attuale dubbio calo del prezzo del petrolio, verso il declino economico. Le risorse sono tante da comprare, per Paesi come il nostro, ma credo che in quanto a “difesa dei nostri interessi dall’egemonia delle potenze straniere” dovremmo essere più preoccupati dell’unica vera superpotenza (USA) e di alcune potenze regionali aggressive (Germania).
      E comunque sì, con le lire, perché con le lire abbiamo sempre prosperato, e non dobbiamo avere paura del costo delle importazioni -che come già detto sta peraltro calando- ma guardare fiduciosi alle maggiori esportazioni che ci aspetterebbero. E noi siamo storicamente grandi esportatori. Ovviamente non una passeggiata, non esiste la magia…

  4. Discussione affascinante, me la sono goduta per bene.

  5. ottimo articolo
    Gradirei molto un altra discussione sulle conseguenze economiche dell UE
    che sono quelle che stanno creando le attuali tensioni

  6. Nicola Brizielli

    vivo e lavoro fuori dall’italia e dentro l’unione europea da quasi 4 anni; approvo e ringrazio in pieno ogni parola di utopio; (a parte il nome!! 😉 a mio parere pero’ per ritrovare la luce non è sempre necessario aspettare il fondo del pozzo; senza delegare alle istituzioni educative , bisognerebbe avere il coraggio di riaffermare quei valori che storicamente hanno creato l’europa (dopo la caduta dell’impero romano) , e che danno il senso ad un’intera esistenza (non la si può ridurre ad una questione di mera rappresentanza politica) Questi valori riporterebbero TUTTE le generazioni a ridare un valore al sacrificio del lavoro , abbattendo quel golem onanistico della ricerca della vita comoda e agiata , che a livello statistico e macro economico sta alla base dell’assenza di crescita nel vecchio (ormai in tutti i sensi) continente e in tutto l’occidente. Senza un senso nella vita come si fa a chiedere ad imprenditori di rischiare investendo e assumendo , e ai lavoratori di impegnarsi , che in termini prettamente economici vuol dire crescere? non si può basare la crescita solo su politiche fiscali , monetarie o su conquiste geopolitiche , se poi in casa nostra la società implode (come l’impero romano prima della sua fine , o come viene ben raffigurato dal film Apokalypto di Mel Gibson). Tutte le spinte centrifughe e disgregatorie si alimentano con le crisi economiche; quando c’è torta per tutti , perchè essere egoisti e quindi nazionalisti? gli anti europeisti prima della crisi economica che percentuali avevano nei sondaggi? risibili a dir tanto. Il malcontento , purtroppo si riduce ad una materialistica assenza di pecunia , insoddisfazione sociale (ben descritta dall’immagine del prigiomiero di utopio) assenza di prospettive e ricerca di un colpevole per questo malessere, nel nostro caso. il più alto , l’europa. Ma una vita colma del proprio senso più vero , dà un peso a questo genere di istanze più che relativo , perchè le questioni più vere che la premono sono già state risolte . Per cui la domanda diventa ….quali sono questi valori che una volta riaffermati , permetterebbero di dare un colpo di reni sociale , ma allo stesso tempo funzionerebbero da collante di un’europa sempre più vogliosa di affermare le proprie peculiarità col rischio di disgregarsi? Sono i valori cristiani, che nessuno vuole accettare (vi prego non ditemi a causa dell’esempio degli ultra cattolici anti europeisti della lega della famiglie polacche perchè sono l’unico caso europeo..per altro partito da cui aveva preso le distanza lo stesso Papa Giovanni Paolo II). Di questi valori nessuno vuole parlare. Ma proprio questi sono i valori che hanno storicamente cementato culturalmente l’europa nel primo momento storico veramente europeo (il medio evo) , ma che anche in epoca contemporanea sono stati l’imprinting dei veri padri fondatori dell’istituzione che tutti noi vorremmo salvare (Adenauer Schuman e De Gasperi), per noi che ci viviamo , e per il mondo intero che ne ha bisogno (guerra e instabilità in europa significano guerra e instabilità mondiali) . Un’ultima domanda/ provocazione ..non so se anche voi avete avuto la fortuna di viaggiare e vivere all’estero come me… ma non nascondiamoci dietro a un dito …quanto sono diverse tra loro le nazioni europee ?!?!? senza valori comuni…sia a livello storico che culturale ….che cosa ne giustificherebbe l’unione ? credo il punto della discussione da chiarirci sia ormai questo. Grazie per l’attenzione e mi scuso per la lunghezza…volevo scrivere inizialmente una riga , ma l’argomento mi ha appassionato di riga in riga.

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