ALBANIA: Un Paese diviso e in armi

di Marco Guidi da Il Messaggero

Che i conti tra Sali Berisha ed Edi Rama fossero ben lungi dall’essere chiusi lo si era capito fin dalle elezioni del 2009, che avevano assicurato il potere ancora una volta a Berisha. Ma si trattava di un potere con un margine risicatissimo (4 deputati) e dovuto a una coalizione del Partito Democratico di Berisha con i transfughi dal Partito socialista di Ilir Meta e altre formazioni minori. Quindi lo sconfitto leader socialista e amato sindaco di Tirana, Edi Rama, ha avuto buon gioco nel non riconoscere in pratica la vittoria dell’avversario, ottenuta, afferma Rama, grazie ai soliti immancabili brogli.

Che il governo di Berisha non fosse stabile, come non è stabile la società albanese, non era un segreto per nessuno. Il fatto è che l’Albania è un Paese diviso. Diviso linguisticamente tra i Gheghi del Nord e i Toschi del Sud (con decine di sottodialetti), diviso tra cittadini (minoritari) e abitanti dei monti. Tra chi vorrebbe un Paese diverso e nuovo e chi si attacca comunque al potere. Un potere che ha conosciuto il tremendo scossone del 1996-1997, quando lo scandalo e il crollo delle cosiddette società piramidali, cioè finanziarie alla Madoff, che avevano preso soldi a tutti, si rivelò un buco nero che divorò finanze, speranze, vita degli albanesi. E, vedi caso, il presidente della repubblica era allora proprio l’attuale premier, Sali Berisha.

Ci furono oltre duemila morti, gli arsenali dei tempi del comunismo furono saccheggiati e le armi mai recuperate. Se è vero che molte sono poi finite ai guerriglieri kosovari dell’Uck e alle varie mafie, è altrettanto vero che può capitare anche ora di inerpicarsi nelle zone montagnose e veder gente che gira armata. Armata e fedele al Kanun (legge) di Lek Dukaginj, il principe che, era il XV secolo, fissò le regole ancora vive oggi sul dovere-obbligo della vendetta per generazioni.

Il governo Berisha, partito con il piede sbagliato, ha conosciuto il 14 gennaio scorso una botta durissima: le dimissioni di Ilir Meta, uomo politico di lungo corso, vicepremier e ministro dell’Economia. Dimessosi in seguito alle accuse di corruzione fattegli (e documentate) del suo predecessore Dritan Prifti. Accuse credibili perché la corruzione è uno dei mali del Paese, come denuncia anche l’Unione Europea, che in un memorandum in 12 punti spedito a Tirana ha messo proprio la corruzione al primo posto.

Edi Rama e il suo Partito Socialista avevano programmato da giorni la manifestazione che ieri è finita nel sangue. Una manifestazione non violenta, aveva scongiurato Rama. Ma non gli è stato dato retta. Si è sparato e Berisha è stato assediato nel suo ufficio protetto dalla polizia, a sua volta circondata da migliaia di manifestanti esasperati. Potrebbe essere un fuoco destinato a spegnersi oppure il prodromo di una situazione pericolosa. Certo, dopo questo, governare sarà difficile per tutti, Berisha per primo.

 

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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