SLAVIA: I serbi dalla Polonia ai Balcani, storia di una migrazione

Abbiamo raccontato della penetrazione slava in Germania, una presenza testimoniata da molti toponimi di città tedesche che sono, in realtà, di origine slava. Quegli slavi erano nominati “serbi”, da cui deriva oggi il termine “sorabo“, nome della minoranza slava in Germania dell’est. Ci siamo lasciati con una domanda aperta: sono quegli antichi “serbi” gli stessi che oggi ritroviamo nei Balcani?

La risposta è senz’altro affermativa. “Serbo” fu un nome collettivo dato a una popolazione slava molto ampia con cui i franchi ritennero opportuno di entrare in contatto vista la loro sempre più massiccia presenza ai confini del regno, quando non al suo interno. Le prime relazioni tra franchi e serbi sono del V secolo ma l’etnonimo “serbo” è più antico, già usato da Tacito nel 50 a.C e poi da Plinio il Vecchio, nel 77 a.C., esso si riferiva però a una popolazione sarmata nel Caucaso del Nord. Qualche secolo dopo, nel 350 d.C., sarà Ammiano Marcellino a chiamare i Carpazi “montes Serrorum” da cui le popolazioni circostanti avrebbero preso il nome. L’etnonimo “serbo” sarebbe quindi di origine latina anche se alcuni studiosi ritengono che gli slavi occidentali chiamassero se stessi “serbi” anche prima della nominazione latina e che anzi “serbo” sia una corruzione della parola “slavo”. Due sviluppi paralleli? Non sappiamo. Sappiamo però che quello era un nome collettivo con cui tutti gli slavi occidentali chiamavano se stessi pur facendo convivere questa denominazione con altre particolari e “locali”.

Sappiamo quindi che “serbi” erano tutti gli slavi che si trovavano a occidente, lungo le sponde dell’Oder e della Vistola. Alcuni gruppi mutarono di nome (o vennero diversamente designati) con il procedere del tempo. Erano (forse) ‘serbi’ quegli obroditi che vivevano alle due sponde (ob) del fiume Oder (Odra) e lo erano pure i polabi che vivano presso (po) il fiume Elba (Loba). Sappiamo che obroditi e polabi si insediarono poi nel litorale baltico (facendosi così “pomorani“, cioè coloro che vivono lungo la costa del mare) e che vennero sterminati dai cavalieri teutonici in quelle che furono chiamate “crociate del nord”, tese a far piazza pulita dei “pagani” del Baltico.

Altri gruppi, abitanti le grandi pianure del’attuale Polonia centrale, presero il nome di “polani“, dallo slavo “polje”, cioè “campo aperto”, “piana”. E sarebbero i polani i progenitori del polacchi.

Alcuni gruppi slavi invece presero la via del sud, scendendo nei Balcani e verso l’Egeo, portando con sé etnonimi consolidati. E’ il caso di “serbo” che venne poi a designare un gruppo via via più specifico tra gli slavi del sud. Ma a testimoniare la provenienza “polacca” e germanica dei serbi di oggi ci sono i toponimi: Serbow, vicino al fiume Oder; Sarbia, nell’attuale Polonia; Sarby in Slesia; Szarbia, vicino a Cracovia; e molti altri. Nomi che marcano un territorio, quello della “Serbia Bianca” o “Serbia Lusaziana”, territori a cavallo tra Polonia, Germania e Repubblica Ceca che videro la presenza di tribù slave che andavano via via differenziandosi. Giunte tra il nono e il decimo secolo sulle sponde del Danubio esse fonderanno la “nuova” Serbia che oggi conosciamo.

Questo lungo percorso racconta del processo di differenziazione dei popoli slavi la cui origine comune è testimoniata dal vocabolario (sono ancora migliaia i termini in comune tra le moderne lingue slave). Malgrado quella comune origine non sono mancate nella storia occasioni di opposizione in cui l’elemento “etnico” si è fatto strumento per affermare divisioni sovente “inventate” o comunque recenti. I moderni nazionalismi dimenticano, o nascondono, la comune origine degli slavi, specialmente di quelli balcanici. Tra quelle tribù “serbe” che giunsero nei Balcani c’erano anche i “croati”, di cui parleremo la prossima volta.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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2 commenti

  1. Un polacco e un ceco diranno di essere slavi ma non serbi. Perché?

    • Salve Alfio

      come scritto nell’articolo, “serbo” era un nome collettivo degli slavi in Germania e Polonia. Secondo alcuni studiosi può persino essere una forma corrotta di “slavo”. Chissà. Parliamo comunque di un popolo che al suo interno andava già differenziandosi. Alcuni gruppi cambiarono nome in base al luogo ove si stanziarono (come, forse, i polacchi). Polacchi e cechi, per riprendere il suo esempio, sono nomi attestati solo due – tre secoli dopo l’arrivo degli slavi in Germania e Polonia. Consideri che la prima attestazione di lingua ceca è del 1056. La lingua ceca è assai interessante perché è simile al polacco ma anche al serbocroato. Una sorta di lingua ponte tra la Polonia e i Balcani, una testimonianza ulteriore del tragitto fatto dalle popolazioni slave.

      Oggi “serbo” è però il nome di una popolazione specifica. Ha smesso di essere un nome collettivo. Dunque non ha senso che polacchi o cechi si dicano “serbi”. E poi, oltre a non avere molto senso, c’è un aspetto che ha cambiato per sempre la storia d’Europa: il nazionalismo. Fino al tardo Medioevo non c’era tutta questa ansia di appartenere a un gruppo nazionale definito, ma la progressiva affermazione dei sentimenti nazionali, fino al nazionalismo ottocentesco, rendono oggi impossibile qualsiasi adesione a una identità collettiva che scavalchi quella nazionale. Guardi cosa succede con l’Unione Europea, per la quale una identità europea sarebbe necessario si sviluppasse, ma non avviene se non in modo subordinato all’identità nazionale. Scusi se ho divagato…

      Grazie, un saluto

      Matteo

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