Non bisogna lasciare ai populisti l’euroscetticismo. Da Londra e Parigi una lezione per l’Europa

Le elezioni europee non hanno visto la vittoria degli anti-europeisti, come più volte paventato, tuttavia l’affermazione di partiti estremisti in Gran Bretagna e Francia deve fare riflettere e non deve essere presa sottogamba né da Bruxelles, né da Londra e Parigi.

Di tutta l’erba… un fascio

Se guardiamo alla ripartizione dei seggi nel parlamento europeo, le forze anti-europeiste hanno raccolto appena un centinaio di poltrone su 751 complessive. Un risultato insufficiente a “far saltare il banco”, anche per la diversità delle forze anti-europeiste. Ma cosa vuol dire “anti-europeista”? Definizione onnicomprensiva, attribuita anche a forze politiche che non si oppongono all’esistenza dell’Unione Europea ma ne chiedono, in diverse forme e misure, una riforma, quella di “anti-europeista” sembra essere diventata – nel linguaggio politico e in quello mediatico- un modo per mettere a tacere le differenze e il dissenso, facendo di tutta l’erba un fascio. E il fascio è ciò cui si associa oggi l’anti-europeismo. Non tutto ciò che è critico, o scettico, è però ascrivibile all’estrema destra così come non tutto ciò che è europeista è per forza moderato.

Il Front National e l’Ukip, due cose diverse

I paesi che hanno registrato la vittoria delle forze anti-europeiste sono sostanzialmente due. In Francia il Front National ha conquistato il 26%. mentre in Gran Bretagna il partito indipendentista britannico, UKIP, ha ottenuto il 27,5%. Si tratta di due partiti diversi tra loro. Il primo è un partito schiettamente fascista, nazionalista e razzista, fondato nel 1972 e lentamente mutato d’aspetto – ma non di pensiero – fino alla nomina di Marine Le Pen, figlia del fondatore Jean-Marie. Marine Le Pen ha saputo togliere le incrostazioni più evidentemente fasciste, espellendo dal partito i revisionisti e i nostalgici, e ha fatto leva sulla crisi economica, parlando tanto ai ceti popolari impoveriti quanto alle classi medie in decadenza. L’Unione Europea e la moneta unica sono, per il Front National, la causa di tutti i mali.  L’Ukip nasce invece da una costola del partito conservatore britannico (uno dei partiti democratici più antichi d’Europa) e ha nell’uscita dall’Unione Europea il suo cavallo di battaglia. Come abbiamo spiegato qui, si tratta di un partito tradizionalista, sessista, monarchico, reazionario e apertamente xenofobo ma non è un partito “fascista”.

Ha vinto la verità nella bocca dei falsi

Pur diversi tra loro questi partiti hanno vinto per la stessa ragione. Hanno detto pubblicamente cose che “non si possono dire”: cioè che finora sono state salvate le banche e i banchieri; che le misure di l’austerità e il taglio della spesa pubblica non portano crescita; che l’Unione Europea non può essere governata da un’oligarchia di mandarini o “tecnocrati” non eletti; che la Germania non può continuare a fare il bello e cattivo tempo; che le politiche monetarie e l’istituzione di una banca centrale indipendente sono state disastrose. Che in Europa, insomma, così non si può andare avanti. Queste cose le pensano ormai tutti ma le dicono solo loro, i “populisti”, i “fascisti”, tuttavia questo non significa che siano argomenti populisti o fascisti. I partiti lo sono, le idee no. Ma i partiti tradizionali, stoltamente, hanno proseguito per inerzia lungo la via battuta, supinamente accettando misure insostenibili e lasciando questi argomenti nelle mani degli estremisti. La colpa del successo dei “fascisti” e dei “populisti” è tutta loro.

C’è di peggio: nel non voler affermare la gravità e l’errore delle misure imposte e delle scelte fatte, i partiti tradizionali non hanno mostrato solo un alto grado di viltà e codardia, essi hanno anche palesato l’esistenza di un pensiero dominante contro cui non ci si può opporre se non si vuole finire delegittimati. E la delegittimazione è la prima arma del despotismo. E’ vero che il Front National, l’Ukip, il Movimento 5 Stelle, l’austriaco FPO, i Veri Finlandesi, la Lega Nord, hanno atteggiamenti populisti e sovente antidemocratici ma è altrettanto vero che sono gli unici a portare avanti una critica allo status quo.. Nelle loro mani questi sacrosanti temi porteranno alla catastrofe, questi partiti non hanno nessuna intenzione di restituire al popolo libertà e democrazia. Quello che gli interessa è, nel migliore dei casi, farsi eleggere e nel peggiore prendere il potere e sovvertire l’ordine democratico. Per disinnescarli è sufficiente che i partiti tradizionali, di destra e di sinistra, avanzino concrete proposte di cambiamento per uscire dalla crisi mutando l’assetto europeo.

Un campanello d’allarme

Dalla Gran Bretagna e dalla Francia sono suonati due campanelli di allarme. Ed è allarme vero. Non per Bruxelles, poiché la compagine anti-europeista è troppo contenuta e sfilacciata per fare qualcosa (nel bene o nel male), ma per Parigi e Londra: cosa accadrebbe se il Front National o l’Ukip dovessero vincere le elezioni politiche? Se i cittadini, stanchi di essere inascoltati, si rivolgessero a questi partiti per farsi governare? Londra e Parigi, ma anche Roma, Atene, Madrid, Lisbona, Varsavia, hanno il dovere di cambiare l’Unione Europea salvando quel che resta di una democrazia europea minacciata da un lato dalle forze estremiste e dall’altro dalle oligarchie dei tecnocrati.

 Si fa presto a dire “populista”

Infine, una riflessione: avere lasciato in mano agli estremisti e ai populisti i sacri temi dello scetticismo di fronte al macello sociale ha fatto sì che chiunque si ponga in modo critico nei confronti delle questioni europee sia anch’esso un populista. Oggi si fa presto a dire “populista”, oggi il pensiero dominante ha fatto diventare “anti-europeismo” un sinonimo di “populismo” ma questa è un’associazione fuorviante e pericolosa che, se portata all’estremo, può portare al soffocamento del dissenso e diventare delegittimazione dell’avversario. E la delegittimazione è la prima arma del despotismo. Non bisogna lasciare l’euroscetticismo ai tribuni del popolo ma nemmeno si deve tacciare di estremismo qualsiasi posizione critica verso l’Unione Europea. E’ necessario che le forze e le persone schiettamente democratiche alzino la testa contro questo mostro bicipite. Diceva Altiero Spinelli: “La malattia che porta al totalitarismo non è mai di quelle malattie che si chiamano incurabili, contro le quali l’organismo colpito non può nulla. È una malattia di cui muore l’organismo che vuole veramente morire, e che rinunzia perciò a difendersi”. Oggi forse Altiero Spinelli sarebbe tacciato d’esser “populista”.

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 NOTA – Cosa vuol dire populista?

Ma cosa vuol dire “populista”? Il populismo è una corrente politica che si afferma tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento e si basa su un’idea romanticheggiante del “popolo” quale detentore del potere. Nella visione populista tradizionale il popolo va però guidato nel suo percorso di emancipazione da una élite intellettuale e illuminata. Il populismo vede quindi nel “popolo” un bambino da educare, un corpo sociale in stato di minorità morale e intellettuale. In questo il populismo tradizionale si discosta dalla democrazia.

Nel Novecento il termine slitta e va a definire il rapporto diretto tra un leader e il suo popolo, considerato omogeneo, senza l’intermediazione delle istituzioni democratiche: Mussolini, Peron, al Nasser, Castro sono esempi di questa definizione di populismo.

Nell’attuale linguaggio politico e mediatico affermatosi a partire dagli anni Novanta il termine “populismo” è – da un lato – sinonimo di “demagogia”, ovvero il promettere al popolo cose che non si intendono in realtà realizzare solo per raccoglierne i favori, e – dall’altro – il riferirsi alla “popolo” come depositario di virtù naturali contrapposte all’altrettanto naturale corruzione e vizio della classe dirigente.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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2 commenti

  1. D’accordo tranne che su una cosa: non è vero che “Queste cose le pensano ormai tutti ma le dicono solo loro, i “populisti”, i “fascisti”.” Una seria alternativa alla politica di socialisti, liberali e popolari in Europa, oltre che quella della Sinistra europea, è data dai Verdi, che erano il quarto gruppo parlamentare per grandezza nello scorso parlamento, e che hanno dimostrato la loro alterità nei dibattiti per la presidenza della commissione con José Bové e Ska Keller. E che, proprio per questo, vengono oggi delegittimati proprio da quei populisti che si vogliono accaparrare l’esclusiva dell’alternativa: “per votare diverso, devi per forza votare Grillo” (o Farage, o Le Pen). Ma semplicemente non è vero. http://www.verdieuropei.it/4-risposte-dovute-dei-verdi-al-blog-di-grillo/

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