UNIONE EUROPEA: Verheugen: allargamento e vicinato devono andare avanti

DA BERLINO – “Non ci si può scegliere i propri vicini, bisogna imparare a conviverci”: così introduce la questione della politica UE di allargamento e vicinato l’ex commissario Günter Verheugen, colui che nel 2004 portò a compimento lo storico allargamento ad est dell’Unione europea verso 10 paesi dell’Europa centrale e mediterranea. Verheugen ha discusso del bilancio della politica UE di allargamento  nel suo intervento alla “Hertie School of Governance” a Berlino, lo scorso 2 giugno.

L’allargamento e la saggezza strategica dell’UE. Una questione di giustizia

L’allargamento del 2004 fu “un raro esempio di saggezza strategica dell’Europa”, secondo Verheugen; ma solo un anno dopo, nel 2005, esso veniva già indicato come capro espiatorio per il fallimento dei referendum sulla Costituzione europea in Francia e Paesi Bassi. “Da allora c’è una forte riluttanza dei leader UE ad accettare nuove responsabilità” sul fronte dell’adesione di nuovi paesi membri.

Ma l’adesione all’UE, secondo Verheugen, non è un privilegio che Bruxelles concede. “E’ una questione di giustizia“, piuttosto, nei confronti di “giovani democrazie che sono state vittime delle più sanguinose ideologie del XX secolo, nazismo e stalinismo”. Il progetto europeo, spiega Verheugen, è stato fin dall’inizio un’impresa comune di europei occidentali ed orientali: furono i leader di due democrazie in esilio a Londra durante la guerra, Sikorski e Benes, a stendere i piani per un progetto d’integrazione “che assomiglia in maniera sorprendente a ciò che abbiamo oggi”.

La politica di vicinato: una relazione individualizzata con i nuovi vicini dell’UE

La politica d’allargamento, così come quella di vicinato, sono secondo Verheugen delle demand-side policies (politiche sul lato della domanda): “l’allargamento non è mai stato ‘in offerta’; l’UE non chiama attivamente i paesi candidati dicendo ‘voglio te’. Piuttosto, l’UE risponde positivamente alla volontà di altri paesi europei di far parte dello stesso progetto d’integrazione.” Allo stesso modo, la politica di vicinato è stata disegnata nei primi anni 2000 “per garantire una prospettiva europea ai nostri vicini che volevano averne una e sfruttarla”, contro il rischio che l’allargamento ad est portasse alla creazione di “una nuova linea divisoria“, ora che il confine esterno dell’UE coincide con quello dello spazio post-sovietico, tranne che nel Baltico.

Anziché istituzionalizzare una nuova politica a taglia unica, one-size-fits-all, perciò, la politica di vicinato si offriva piuttosto come politica individualizzata, in grado di consentire ad ogni paese partner UE di scegliere il proprio percorso. Per tutti, gli obiettivi in comune erano due, ricorda Verheugen. Primo, la creazione di un’area economica europea “da Lisbona a Vladivostok” (un’idea dell’ex commissario UE al commercio Chris Patten, molto prima che di Putin); secondo, una prospettiva europea con una eventuale prospettiva d’adesione, anche se i governi nazionali si opposero alla formalizzazione di questa passerella tra politica di vicinato e d’allargamento.

All’avvio della politica europea di vicinato nel 2003-2004 fece seguito il lancio a Praga nel 2008-2009 del Partenariato Orientale (Eastern Partnership, EaP), volto ad accelerare l’associazione politica e l’integrazione economica degli stati post-sovietici con l’UE, attraverso la negoziazione di relazioni contrattuali: gli attuali accordi d’associazione con Ucraina, Georgia e Moldavia, cui “allora la Russia non obiettò”.

Un bilancio in chiaroscuro di dieci anni di vicinato europeo

Qual è il bilancio della politica europea di vicinato, a dieci anni dal suo lancio? I risultati sono quantomeno misti, riconosce Verheugen. La Russia rifiutò da subito di farne parte, non accettando di essere trattata allo stesso modo delle altre repubbliche post-sovietiche; l’UE si impegnò con Mosca nel dialogo su quattro spazi comuni all’interno di un “partenariato strategico” presto arenatosi. Anche la Bielorussia rimane al di fuori della politica di vicinato, per via delle sanzioni internazionali contro la dittatura di Lukashenko.

Per quanto riguarda i tre paesi caucasici, l’Armenia ebbe un buon inizio, con una transizione lenta ma determinata, cui ha recentemente messo fine Sargsyan con la decisione improvvisa di non firmare l’accordo d’associazione con l’UE ma di aderire piuttosto all’unione doganale promossa da Mosca, decisione che l’UE ha comunque accettato. L’Azerbaijan continua nei suoi faticosi negoziati per l’accordo d’associazione, che dovrebbero comunque andare presto a buon fine. Per l’UE si tratta di un partner strategico per la sicurezza energetica, più che di un paese con cui condividere valori e prospettive comuni. La Georgia infine è oggi il paese caucasico più avanzato nelle sue relazioni con l’UE, anche grazie ad un consenso politico bipartisan sul percorso d’integrazione. L’accordo d’associazione e libero scambio sarà firmato prima dell’estate, e i futuri passi della Georgia verso l’UE dipenderanno dalla sua attuazione pratica.

Ai confini orientali dell’UE, Moldavia e Ucraina sono oggi i paesi più a rischio. In Moldavia, il governo firmerà l’accordo d’associazione con l’UE entro l’estate, ma perderà probabilmente le elezioni in novembre a favore del partito comunista, più interessato alle relazioni con Mosca, e sotto il quale l’accordo con l’UE rischia di restare lettera morta. La mancanza di consenso bipartisan sull’integrazione europea è un pesante ostacolo per Chisinau. Il conflitto congelato in Transnistria, inoltre, rappresenta un’altro punto d’influenza di Mosca sulla politica moldava.

In Ucraina, il percorso d’integrazione europea si avviò già sotto Kuchma nel 2003, prima ancora della rivoluzione arancione, e costituisce una costante della politica estera di Kiev cui Mosca non aveva mai obiettato. La firma dell’accordo d’associazione venne poi rimandata nel 2012 da parte dell’UE, non di Yanukovych, per via della “giustizia selettiva” dimostrata dalle autorità ucraine nel caso Tymoshenko. Un errore, secondo Verheugen: “in diversi avvertemmo che il futuro delle relazioni tra UE e Ucraina non poteva essere condizionato al solo caso Tymoshenko, che non era certo un’icona di democrazia, diritti umani e stato di diritto, come la sua attività dopo il suo rilascio ha poi dimostrato”. Un secondo errore, secondo Verheugen, fu nel non includere la Russia, primo partner commerciale di Kiev, nelle discussioni sugli effetti commerciali dell’accordo d’associazione, “come d’altronde avevamo fatto anche circa l’allargamento del 2004”. Oggi, dopo il maidan e dopo l’annessione della Crimea e la destabilizzazione dell’est, l’elezione di Poroshenko rappresenta “un’opportunità per una soluzione pacifica; ma la violenza deve terminare, e deve iniziare un processo inclusivo per una nuova costituzione con ampia decentralizzazione dei poteri”, conclude Verheugen.

L’UE non è in competizione con l’Unione euroasiatica

La costituzione da parte della Russia di una unione doganale e di un progetto di Unione economica euro-asiatica non è un problema per l’UE, secondo Verheugen, anzi: “facilita il lavoro per le imprese europee, che possono fare base in Bielorussia ed esportare fino in Siberia”. UE e Unione euroasiatica non sono in competizione, secondo l’ex commissario. Si tratta anzi di un progetto pianificato già molti anni fa, da quando Viktor Khristenko, oggi presidente della Commissione dell’Unione euroasiatica, era negoziatore dello spazio economico UE/Russia. “Non vogliamo certo un’unione politica col Kazakistan. [L’Unione euroasiatica] rende più facile cercare soluzioni pan-europee, è un progetto complementare [all’UE] e molto ragionevole”. Nessuno spazio per gelosie o recriminazioni, quindi: “l’UE non impone niente e rispetta le scelte di ciascun paese.” Quelli che, come l’Armenia, hanno scelto la strada dell’Unione doganale con Mosca potranno mantenere ugualmente buone relazioni con Bruxelles, secondo Verheugen. “Dobbiamo parlare con l’Armenia e veder quali tipo di relazioni contrattuali sono di comune interesse, a partire dalla liberalizzazione dei visti”.

Allargamento e vicinato, politiche sottotraccia

Allargamento e vicinato orientale non saranno in cima all’agenda europea nel prossimo quinquennio: “l’Unione europea sarà molto concentrata su sè stessa”, pronostica Verheugen. “Ma, malgrado non sia popolare, dobbiamo continuare ad argomentare per l’allargamento e il vicinato, per un’Europa più ampia e più integrata. Come ha riconosciuto anche il commissario Füle, è stato un errore non fare uso dello strumento europeo più efficace per promuovere riforme, la prospettiva d’adesione. E’ la credibilità della prospettiva d’adesione che determina il successo della transizione” economica e politica di un paese, secondo Verheugen, come mostrato dal caso della Turchia.

“Oggi non possiamo accettare una politica che cristallizzi un nuovo confine interno all’Europa. Allargamento e integrazione sono necessari, se l’Europa vuole mantenere pace, prosperità e opportunità nel mondo di domani che cambia”, conclude Verheugen.

Foto: Drabikpany, Flickr

Chi è Davide Denti

Dottore di ricerca in Studi Internazionali presso l’Università di Trento, si occupa di integrazione europea dei Balcani occidentali, specialmente Bosnia-Erzegovina.

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