RUSSIA: Muore a Londra Berezovskij, sodale di Eltsin e oppositore di Putin

L’oligarca russo Boris Berezovskij è stato trovato morto nella sua abitazione di Londra. Aveva 67 anni. Berezovskij era stato legato a Vladimir Putin fino alla sua prima elezione a presidente nel 2000, poi era divenuto uno dei suoi oppositori più critici ed aveva ottenuto l’asilo politico in Gran Bretagna.

Le reazione e le incertezze sulle cause della morte

“Un nemico impotente”, la cui influenza in Russia era ormai vicina a zero. Così il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, ha descritto l’ex oligarca. “La sua critica non era costruttiva”, ha tagliato corto Peskov, aggiungendo che non va “sovrastimato il suo ruolo negli anni 2000, ormai minimo”, poichè il magnate non aveva in patria “assolutamente più influenza” e il suo peso era “sempre più vicino a zero”.

“Gli investigatori della NRBC (unità specializzata in prevenzione nucleare, radiologica, chimica e biologica) non hanno trovato nulla di sospetto nella residenza e ora conduciamo indagini ordinarie”, si legge in un comunicato ufficiale. Alla luce di questo, “è stato rimosso gran parte del cordone attorno alla dimora”, precisa la nota, sottolineando che l’inchiesta resta ora nella mani della “polizia criminale della valle del Tamigi” incaricata di “condurre indagini complete ed approfondite per determinare le circostanze della morte” di Berezovskij.

La scomparsa dell’ex magnate – che in Russia non ha destato in genere grande emozione o rimpianti, anche tra le file dell’opposizione anti-putiniana – è stata presentata come un suicidio da uno dei suoi avvocati, Aleksandr Dobrovinskij, mentre la polizia britannica non si è finora sbilanciata. Un amico ed ex socio, Damian Kudrjavtsev, ha da parte sua attribuito probabilmente il decesso a “un infarto”. Secondo Kudrjavtsev, Berezovskij – che aveva avuto attacchi di cuore in passato, ma si era mostrato pure depresso in questi mesi – era stato di recente in Israele per cure cardiologiche. Un altro amico ed ex collaboratore, Aleksandr Godfarb, ha infine confermato la depressione e lo stress manifestati nell’ultimo periodo da Berezovskij, ma ha manifestato dubbi sulla lettera di richiesta di perdono a Putin che secondo il Cremlino l’oligarca ormai in disarmo avrebbe inviato due mesi fa al suo “nemico giurato”.

Berezovskij: chi era

Quella di Boris Berezovskij è stata un’ascesa rapida da scaltro giocatore d’azzardo, seguita da una caduta ancora più veloce. Una parabola che ha toccato il suo culmine al volgere del millennio, col cambio al Cremlino fra il suo mentore, Boris Eltsin, e il suo “pupillo” divenuto arcinemico, Vladimir Putin.

Origini ebraiche, 67 anni, professore di matematica poi rivenditore di auto, Berezovskij ha accumulato fortune colossali nella breve era del “capitalismo selvaggio” seguito alle privatizzazioni dell’era eltsiniana, prendendo il controllo del colosso petrolifero Sibneft nel 1995 insieme al futuro rivale Roman Abramovich, della compagnia aerea Aeroflot e della fabbrica di auto di Togliatti, estendendosi ai media, con l’emittente nazionale Ort e il quotidiano Kommersant. A lui e ai suoi media si deve molto della rielezione nel 1996 di Eltsin, che lo porta nella stanza dei bottoni come membro del Consiglio nazionale per la sicurezza, e cooptandolo nel suo entourage.

A lungo uno degli uomini più ricchi del pianeta, la ruota della fortuna gira contro di lui dopo l’elezione di Putin nel 2000. La sua caduta comincia con le sue aperte critiche alle riforme costituzionali proposte dal nuovo “uomo forte” del Cremlino. Critiche alle quali Putin risponde con una minacciosa intervista (“Per lui abbiamo in serbo un bel randello”) a cui segue un’inchiesta su Aeroflot per frode. Il 7 novembre 2000, durante un viaggio all’estero, Berezovskij annuncia che non sarebbe tornato in Russia: “Sono obbligato a scegliere se diventare un prigioniero politico o un emigrante politico”. Da quel giorno comincia l’esilio dorato in Inghilterra, durato 13 anni, che l’ha messo al riparo dal destino d’un altro oligarca anti-Putin, Mikhail Khodorkovskij, in carcere da 10 anni, ma non dal perdere tutto in patria e dal doversi guardare le spalle.

Non potendo mettere le mani sull’uomo, la Russia di Putin le mette sul suo patrimonio: nel 2001 Berezovskij perde come il suo vecchio rivale Vladimir Gusinskij l’impero tv. Abramovich acquista intanto a prezzo “stracciato” (1,3 milioni di dollari) la sua quota in Sibneft. Nel 2006 si “libera” delle ultime attività russe, fra cui Kommersant.

Tagliato fuori dalla sua terra, dove viene colpito in contumacia da inchieste e processi, Berezovskij non rinuncia a promuovere l’opposizione antiputiniana russa, oltre a concentrarsi sulla vita londinese, acquistando un appartamento nell’esclusivo quartiere di Belgravia e una casa signorile nel Surrey, alle porte della capitale. Prova anche a vendicarsi in aula dell’ex ’figlioccio’ Abramovich che in poco tempo gli aveva portato via Sibneft. L’Alta Corte di Giustizia britannica nel 2012 dà però ragione al padrone del Chelsea. Le fortune economiche di Berezovski si sono nel frattempo depauperate, il processo gli è costato 35 milioni di sterline e l’ex compagna Elena Gorbunova pretende in tribunale una parte dei 25 milioni di sterline della vendita di una delle sue proprietà inglesi.

Vittima già nel 1994 a Mosca di un fallito attentato dinamitardo, costato la vita al suo autista, Berezovskij ha affermato di essere scampato a due agguati dei servizi segreti russi, ancora nel 2004 e nel 2007. Fra le due date c’è l’ancora misteriosa morte per avvelenamento da polonio radioattivo di un altro transfuga famoso: l’ex agente del Kgb Aleksandr Litvinenko, suo stretto collaboratore.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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