BOSNIA: Sulle tracce dei trentini di Stivor

Un vecchio cartello con la scritta bilingue nascosto dagli alberi  è l’unica insegna che indica la strada per raggiungere il piccolo villaggio di Stivor (Štivor), nella Republika Srpska, una delle due entità della Bosnia Erzegovina.  Appena 250 i residenti, solo 100 gli abitanti del piccolo paese a 50 km da Banja Luka, lungo il tragitto che porta al confine con la Croazia: un bar all’entrata del villaggio, decine di villette che si affacciano su una lunga strada, e un piccolo cimitero poco distante dal centro abitato. Nulla di particolare se non fosse per gli abitanti del villaggio: il 95% di loro sono trentini, nati e cresciuti in quel  piccolo angolo remoto dell’Europa orientale, discendenti da famiglie trentine (più precisamente della Valsugana)  arrivate nella Bosnia austro-ungarica dopo il 1878. La disastrosa alluvione del Brenta del 1881 e le politiche di ripopolamento delle zone interne dell’impero asburgico, dopo il passaggio dell’amministrazione della Bosnia da Istanbul a Vienna, sono le cause che hanno spinto decine di contadini valsuganotti a lasciare le loro terre,  per raggiungere la Bosnia nord-orientale.

Un esodo non di massa quello dei trentini, ma ben ordinato, a piccoli gruppi, rintracciabile in termini temporali, dal 1881 al 1884; sono i registri comunali di Roncegno, Ospedaletto, Levico Terme a testimoniarlo. Un viaggio lungo più di due mesi verso una terra ignota, di cui si conosceva appena il nome ma che prometteva benessere e nuove ricchezze. L’alluvione aveva cambiato le vite dei contadini e l’impero asburgico necessitava di una nuova presenza in un territorio che per quasi 300 anni aveva assistito al dominio incontrastato degli Ottomani; anche al Trentino e ai suoi abitanti, sotto la corona asburgica, spettava quel dovere mascherato da diritto. Non solo gli italiani furono inviati a ripopolare le aree interne dell’impero: insieme a loro magiari, cechi, ucraini, tedeschi, in quella piccola striscia di terra che molti usavano chiamare Mala Europa, piccola Europa, vista la forte concentrazione di molte etnie. I nuovi abitanti furono sistemati temporaneamente tra Tuzla e Prnjavor, per poi essere dislocati separatamente in zone prima d’allora mai abitate, nella pianura della Posavina. Di quei pochi che rimasero nei centri più grandi, molte tracce si sono perdute. E’ questo il destino degli “umili”: sembrano sempre camminare ai margini della storia, ma ne sono inconsapevolmente i protagonisti.  Molti dei villaggi odierni, Stivor compreso, nacquero proprio con l’arrivo dei coloni, ed è possibile rendersene conto anche dai nomi. Quello del villaggio trentino è probabilmente uno stravolgimento della parola sljiva che in serbo-croato significa “prugna”, e là dove Stivor sorge è pieno di prugneti.

Sono trascorsi più di 130 anni dall’arrivo dei trentini in Bosnia, ma le tradizioni legate alla propria terra d’origine non sono ancora tramontate.  Ne parliamo con Franjo Rover consigliere e rappresentante delle minoranze al Comune di Prnjavor di cui Stivor è frazione, e vicepresidente dell’Associazione per la tutela delle Minoranze della Repubblica Srpska di Bosnia.

Franjo, ci parli degli abitanti di Štivor.

Gli stivoriani sono prima di tutto trentini.Io sono originario di Roncegno Terme, in Valsugana.  I residenti a Stivor sono 250, ma gli abitanti solo 100, le case sono circa 140.  Prima c’erano più persone, poi con le guerre mondiali, la mancanza di lavoro e tante altre cose, siamo diminuiti.  Tanti tornarono in Italia già dopo il 1945, perché c’era un accordo tra i governi: veniva data la cittadinanza italiana a coloro che rientravano in Italia entro un anno, così molti approfittarono, ma furono di più quelli che stavano nelle città. Qui a Stivor le notizie arrivavano sempre in ritardo, e in molti lo seppero quando ormai non si poteva più approfittareAltri se ne andarono nelle città della Jugoslavia dove si trovava lavoro nelle industrie, come Fiume, Pola eccetera. In quegli anni Štivor era stato dimenticato da tutti, con la guerra molti contatti si erano perduti, anche se il villaggio non ha mai subito un bombardamento. Altri nostri concittadini sono tornati a vivere in Italia, specialmente in seguito alla guerra del ’92-’95. Loro però continuano a mantenere la casa a Stivor, tornano qui quasi ogni 2 mesi, e rimangono con noi quando ci sono le vacanze e le festività. E’ frequente vedere le automobili targate Trento che girano da queste parti. Questo è un piccolo angolo di Trentino: il bar del paese sembra una piccola osteria della Valsugana, si mangiano i piatti tipici delle nostre zone di origine e si indossano i costumi tradizionali. Qui si festeggia un bel Carnevale, e ogni domenica nella nostra chiesa c’è la Messa con la funzione metà in italiano e metà in serbo-croato. Pochi conoscono bene l’italiano, ma tutti lo capiscono; da qualche tempo nella scuola di Prnjavor, è stato inserito anche l’insegnamento della lingua italiana a partire dal 4° anno. Noi guardiamo i programmi italiani in televisione, però con i sottotitoli croati, se no è un po’ difficile capire.

Rispetto agli anni passati cos’è cambiato? E cos’è rimasto uguale?

Noi cerchiamo di tutelare la nostra minoranza, anche perché Stivor è un caso unico. Ci sono altre minoranze nei villaggi della zona, c’è una grande minoranza ucraina qui dalle nostre parti, ma non esiste un villaggio di soli ucraini, ad esempio. Stivor sì invece, è solo degli italiani. Piano piano  sono venuti a vivere qui anche persone di altre nazionalità, ora anche con i bosniaci c’è un bel rapporto, fino a pochi anni fa gli italiani erano molto isolati. Basta andare al cimitero per vedere: ci sono solo cognomi italiani, sempre gli stessi che anche oggi troviamo nei paesi della Valsugana da dove venivano i nostri nonni. Ci si sposava anche tra parenti, per mantenere le radici. Ora le cose sono cambiate, c’è internet c’è la comunicazione, la modernità, anche se Stivor è rimasto un po’ fuori da questo, insomma sempre autentico.  Trent’anni fa sono arrivati i primi studiosi a interessarsi della nostra storia, sono state scritte molte cose. Poi ci sono i Circoli dei Trentini nel mondo che sono molto attivi, ce n’è uno anche a Stivor, ma in Italia pochi ci conoscono, anche se molti stivoriani nel tornare in Italia si spostarono anche in altre parti del paese, invece di tornare in Valsugana a fare i contadini. Alcuni di loro, per trovare lavoro sono stati mandati nella zona di Aprilia e Formia,  perché c’era stata la bonifica delle paludi pontine, e sono rimasti lì. Noi abbiamo la doppia cittadinanza e i nostri anziani prendono pensioni italiane. Non so bene cosa significa l’Italia per gli stivoriani. Alcuni di loro non ci sono mai andati, la sentono nominare, l’hanno sempre fatto i loro genitori. Ma l’Italia, il Trentino, noi ce l’abbiamo qui in casa.

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