Il confine italo-sloveno oltre il nazionalismo. Intervista ad Alessandro Cattunar

Dal 2009 Gorizia può vantare una nuova realtà che lavora sul tema del confine, della storia e della memoria. Parliamo dell’associazione “Quarantasettezeroquattro”, nata dall’intuizione brillante del suo fondatore, Alessandro Cattunar, che spiega in esclusiva ai lettori di East Journal la genesi di questo progetto e i suoi più recenti sviluppi.

Benvenuto su East Journal. Raccontaci un po’ di te e di come è nata l’associazione “Quarantasettezeroquattro”?

L’Associazione è nata nel 2009 a seguito del mio ritorno a Gorizia dopo un lungo periodo di studi fra Bologna, Torino e Napoli. In queste peregrinazioni universitarie ho avuto modo di approfondire la storia del confine italo-sloveno – grazie a un dottorato di ricerca – ma anche di specializzarmi in comunicazione multimediale e in media education. Quarantasettezeroquattro nasce proprio dalla volontà di fondere queste competenze che, in ambito accademico, raramente riescono a dialogare in modo proficuo.

Che cosa si propone di fare l’associazione che presiedi e perché è un unicum nel suo genere?

Quarantasettezeroquattro propone progetti che mettono in comunicazione giovani ricercatori e professionisti che operano a cavallo delle frontiere, sia quelle nazionali che quelle disciplinari. L’idea è quella di proporre iniziative che, a partire da un riflessione rigorosa sulla storia e sulle memorie del Novecento, propongano nuovi modi di comunicare e rendere fruibili i documenti, i racconti di vita, i segni del passato sul territorio. Archivi, mostre multimediali, percorsi didattici e turistici che prevedano un ruolo attivo del cittadino, che viene incentivato a confrontarsi con il territorio che lo circonda e il con il suo passato.

Qual è il significato di lavorare sul tema del confine italo-sloveno anche dopo la dissoluzione ufficiale della frontiera?

Significa innanzitutto superare quelle macro-narrazioni e quei paradigmi interpretativi di carattere nazionale e spesso nazionalistico che per molto tempo hanno caratterizzato quest’area. Vuol dire proporre una nuova prospettiva e nuove metodologie di lavoro che siano al contempo transnazionali e sovranazionali, cercando di riflettere sulle “vite degli altri”, sui modi di vedere e percepire gli eventi – sia quelli tragici sia quelli positivi – da parte delle diverse comunità presenti sul territorio. Ma soprattutto su quelle che sono le prospettive future di un territorio ormai ricomposto.

Ultimamente avete creato un progetto molto interessante, “L’archivio della memoria dell’area di confine”: di cosa si tratta?

Si tratta di un portale multimediale, consultabile all’indirizzo www.stradedellamemoria.it, in cui sono conservati, catalogati e resi fruibili al pubblico i racconti di vita dei testimoni, insieme alle loro fotografie. È possibile ascoltare e vedere le interviste, leggere le trascrizioni, consultare le fotografie e usufruire di percorsi bibliografici mirati. Tutto sia in italiano che in sloveno. L’obiettivo principale è quello di dare visibilità, rendere finalmente accessibili i materiali raccolti all’interno di molte ricerche di storia orale che nel corso degli ultimi decenni si sono promosse a cavallo del confine, materiali che, fino ad ora, sono rimasti chiusi nei cassetti.

In tempi di facile revisionismo storico, la memoria condivisa gode ancora di buona salute?

Dobbiamo stare attenti a cosa intendiamo per memoria. Io non credo che possa esistere una memoria condivisa, perché i ricordi individuali e collettivi sono e saranno sempre diversi, cangianti e a volte contrastanti. Ma proprio in queste caratteristiche – che si radicano nei profondi legami tra storia, ricordi e identità –troviamo la vera ricchezza delle memorie. È interessante ascoltare le memorie degli altri e cercare di capire perché si ricordano cose diverse in modi diversi. Credo che accettare la pluralità delle memorie aiuti anche a raggiungere una prospettiva storica condivisa: questa, sì, è raggiungibile e fondamentale ed è questa che deve reggere contro i pericolosi tentativi di reinterpretazione del passato proposti dai revisionisti.

Grazie per la preziosa testimonianza. Puoi lasciare un messaggio ai lettori e segnalare i contatti dell’associazione.

Mi piacerebbe che Quarantasettezeroquattro potesse diventare un punto di contatto – anche solo virtuale – fra persone, enti e associazioni che lavorano per lo studio e la promozione della storia e delle memorie delle aree di confine. Tutte le iniziative che proponiamo – innanzitutto l’archivio ma anche i percorsi didattici – sono aperti a collaborazioni esterne e continuamente in evoluzione. Potete consultare le nostre attività sul sito www.quarantasettezeroquattro.it o contattarci all’indirizzo [email protected]. Un primo luogo di confronto potrebbe essere facebook: www.facebook.com/quarantasettezeroquattro.

Chi è Silvia Biasutti

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