Nel vuoto politico seguito alle recenti elezioni, Belgrado è attraversata da una serie di omicidi che riportano alle cronache criminali di dieci anni fa. Nostra intervista a Stevan Dojčinović, giornalista investigativo serbo
Alle 14 del 3 luglio scorso, nella periferia di Belgrado, Radojica Joksović, 32 anni, è stato ucciso dall’esplosione di un chilo di esplosivo C4 posto sotto la sua Audi A6 e azionato a distanza con un cellulare. Il suo accompagnatore, Predrag R. (35), è rimasto lievemente ferito. Radojica Joksović era originario di Pljevlja, Montenegro, la città di origine dell’ormai famoso Darko Šarić, presunto trafficante internazionale e capo dei “Guerrieri Balcanici”, organizzazione che in Italia sarebbe stata fornitrice di cocaina per la ‘ndrangheta sulla piazza di Milano.
Il cugino di Radojica, Nebojša, arrestato nel gennaio del 2010, sarebbe stato uno dei luogotenenti di Šarić in Italia ed è oggi uno dei principali testimoni contro di lui. I media serbi hanno ricordato in questi giorni che già altri attacchi clamorosi erano stati sferrati contro Joksović lo scorso anno: una granata in un bar di sua proprietà e un proiettile di bazooka sparato ad un altro suo edificio, una tipografia.
Undici giorni prima, in pieno centro di Belgrado, nel quartiere di Dorcol, un’altra auto è esplosa a causa di una bomba al plastico telecomandata, uccidendo Boško Raičević, un “controverso uomo d’affari” – come ha scritto Filip Švarm nel settimanale Vreme – sospettato di avere rapporti con la criminalità organizzata. Raičević era parente di Andrija Drasković, condannato a nove anni per un omicidio avvenuto nel 2000.
Purtroppo le due autobombe non sono gli unici attentati a sfondo mafioso avvenuti recentemente a Belgrado. A metà aprile Vujadin Pejanović, conosciuto come membro della banda di Dejan Stojanović “Keka”, di Novi Beograd, è stato assassinato a colpi di pistola. Stojanović è latitante, con un mandato di cattura dell’Interpol per traffico di droga sulla sua testa. A maggio, infine, un sicario ha sparato diversi colpi in direzione di Nebojša Tubica detto “la rana”, altro criminale della “vecchia guardia” associato secondo i media a Joca Amsterdan, in carcere in Serbia con l’accusa di omicidio nei confronti del giornalista Ivo Pukanić. Tubica, nonostante sia stato colpito alla testa, si è salvato per miracolo ed è già uscito dall’ospedale.
Dopo gli arresti e l’individuazione del filone di indagine relativo ai “Guerrieri Balcanici” di Darko Šarić, l’arresto in Spagna dell’”ultimo” appartenente al clan di Zemun, Luka Bojović, lo scorso inverno, e l’attuazione di nuove leggi antimafia come la confisca dei beni e l’utilizzo della figura dei collaboratori di giustizia, sembrava che il crimine organizzato in Serbia avrebbe avuto vita più difficile. Invece omicidi efferati in pieno giorno riportano indietro le lancette dell’orologio di almeno una decina d’anni. Quando, dopo l’omicidio di Željko Ražnatović “Arkan”, il clan di Zemun si impose dopo una lunga guerra di mafia che lasciò molto sangue sulle strade belgradesi.
Ne abbiamo ha parlato con Stevan Dojčinović, del Centro per il giornalismo Investigativo di Belgrado, che ha seguito gli ultimi sviluppi avvenuti nel mondo del crimine organizzato serbo.
Cosa sta avvenendo a Belgrado?
Negli ultimi due mesi la situazione è molto peggiorata, abbiamo avuto tre omicidi e un tentato omicidio fallito per puro caso. Questo significa che stanno avvenendo dei cambiamenti importanti nella realtà criminale belgradese, ma è molto difficile capirli. Anche a metterli tutti insieme non si trova un filo conduttore, si tratta di gruppi differenti, con personaggi che hanno ruoli differenti. È come se i gruppi criminali stessero approfittando del vuoto politico creato dalla mancanza di governo per regolare conti interni.
Oltre tutto ora i media collegano tutto a Šarić, il trafficante collegato al sequestro di due tonnellate e mezzo di cocaina in Uruguay, ma che secondo le nostre inchieste sembra addirittura non essere il vero leader del gruppo. Noi abbiamo scoperto che ci sono alcuni uomini d’affari, legati al gruppo dei “guerrieri balcanici”, il cui ruolo era molto più importante di quello di Šarić. Quest’ultimo sembra essere il personaggio da sacrificare in modo che altri più importanti si salvino.
Qual è il suo ruolo in questa serie di omicidi?
Difficile da dire. Ripeto, in questi giorni i giornalisti collegano qualsiasi cosa a Šarić, in maniera così insistente che sembra quasi sospetta. Perfino per il tentato omicidio di Tubica, un vecchio criminale, figura degli anni novanta, arrivano notizie di un suo coinvolgimento in vendite di partite di cocaina a Šarić. Ma a volte le informazioni su cui queste notizie si basano sono fonti anonime e basta.
C’è troppa superficialità da parte della stampa o ci sono altri motivi?
Un po’ tutte e due le cose. Da una parte Šarić è il nome che tutti conoscono, ed è una storia che i lettori vogliono leggere sui giornali. D’altra parte anche alla polizia fa comodo avere un unico ‘responsabile’, a cui imputare qualsiasi problema di criminalità organizzata. Certo, è molto probabile che quest’ultimo omicidio di Radojica Joksović sia collegato al caso Šarić, visto che era già stato minacciato e aveva già subito attentati alle sue proprietà. Però non ne sarei così sicuro. Sono certo che anche il prossimo, perché secondo me ce ne saranno altri, sarà possibile collegarlo a Šarić.
Fa impressione questo ritorno alla violenza conclamata del crimine organizzato…
Si, sembrano gli anni 2001-2002, quando nel sottobosco criminale si svolse una resa dei conti clamorosa per far crescere alcuni gruppi. In due anni ci furono 20 omicidi. Questo momento sembra l’inizio di un periodo simile, come se qualcuno in Serbia stesse cercando di prendersi la fetta più grossa della torta. Uccidendo i rivali.
Rispetto ai tempi del 2001-2002, però, tante cose sono cambiate: la lotta al crimine organizzato è cresciuta, la politica è diversa…
In questo momento c’è un vuoto politico. Non c’è ancora il governo e non si sa cosa succederà. In Serbia la polizia non ha la capacità di funzionare da sola, come nei Paesi del nord Europa. La polizia è pesantemente controllata dall’alto, dal ministero dell’Interno. In questo momento non si sa chi diventerà ministro, e la polizia non farà grandi cose. Aspetta di vedere cosa succede. Purtroppo anche la struttura giudiziaria e investigativa risente del vuoto politico sensibilmente. Quindi è il momento perfetto per i criminali per uccidersi a vicenda, perché non ci saranno poliziotti che li inseguiranno né giudici che imbastiranno impianti accusatori.
Chi combatte contro chi?
È molto difficile da dire. Molti gruppi sono stati danneggiati, molti sono stati arrestati, difficile dire se si tratti di criminali vecchi o nuovi. Sicuramente qualcuno si vuole impadronire di una grossa parte dei traffici che tradizionalmente sono in mano al crimine organizzato.
Quali sono le reazioni politiche?
Nessuna reazione. Il problema più grosso per tutti, in questo momento, è come verrà creato il governo e come sarà il futuro della Serbia, in termini di standard sociali, lavoro e lotta alla corruzione. Questi sono gli unici argomenti di cui si parla. Ci sono notizie sugli omicidi, ma nessuna reazione.
Eppure Ivica Dačić, ministro dell’Interno uscente e designato come futuro premier, si è speso molto contro il crimine organizzato negli ultimi anni…
Non ho trovato sue dichiarazioni sugli omicidi ed è certo che, se un giornalista riesce a intervistarlo, l’unica domanda che gli farà è come e con chi vuole formare il governo. La tensione politica è alta in Serbia, un omicidio in questo momento non suscita grandi attenzioni. Le persone sono più occupate a pensare a come arrivare a fine mese.
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Articolo tratto da Osservatorio Balcani e Caucaso
Cecilia Ferrara è co-autrice del documentario “La quarta mafia“, realizzato da Aldo Zappalà per “La storia siamo noi”