La mafia dell'amianto a Rio de Janeiro parlerà di sviluppo sostenibile

RUBRICA: Occidenti

E’ una mafia quella dell’amianto. In Italia abbiamo da poco assistito a una sentenza storica che ha condannato a sedici anni di reclusione i magnati della holding Eternit Ag, lo svizzero Stephan Schmidheiny e il barone belga Louis de Cartier. Secondo la sentenza i due sono responsabili di aver mantenuto la produzione amiantifera pur essendo a conoscenza della estrema pericolosità della fibra. La fibra d’amianto, infatti, una volta inalata può depositarsi nell’apparato respiratorio generando un tumore che non lascia scampo, il mesotelioma pleurico. Non c’è cura, non ci si può salvare. Loro lo sapevano ma hanno taciuto in nome del guadagno. Per questo crimine sono stati puniti. La condanna è venuta dopo un lungo processo, dopo anni di battaglie da parte delle famiglie delle vittime di una piccola città: Casale Monferrato. Ma è una condanna che – pur importante – non può essere applicata poiché il barone de Cartier, ultranovantenne, non può essere arrestato a causa delle sue ormai precarie condizioni di salute. Stephan Schmidheiny, invece, vive in Costarica e non può essere estradato.

Non solo, Stephan Schmidheiny è un magnate e un filantropo: è stato consigliere di Bill Clinton, rappresentante Onu per lo sviluppo sostenibile, docente di globalizzazione in università pontificie, fondatore del consiglio mondiale commerciale per lo sviluppo sostenibile, ideatore della Swatch, azionista dell’Ubs e della Nestlè, recordman di beneficenza con 1,5 miliardi di dollari versati per questa o quella causa, come scritto da Giampiero Rossi nel libro inchiesta La lana della salamandra. Ed è in virtù di questo suo impegno che andrà a parlare alla prossima Conferenza di Rio sulle sviluppo sostenibile organizzata dall’ONU come «benebefattore dell’umanità»: “quella stessa umanità che sconta con decine di migliaia di morti l’avidità dei signori dell’amianto, che continuano a prenotare la tomba a centinaia di migliaia di esseri innocenti in due terzi del pianeta” scrive oggi Il Monferrato, giornale locale da anni in prima linea nella battaglia contro l’Eternit. Una battaglia morale e legale che, in quanto battaglia, ha visto i suoi caduti. E tra i caduti per l’amianto c’è anche Marco Giorcelli, per diciannove anni direttore proprio de Il Monferrato. Con lui altre ottomila persone nella sola Casale. Contro la presenza di Schmidheiny alla conferenza si è mosso anche l’assessore regionale all’Ambiente Riccardo Ravello ha scritto al Governo, primo fra tutti al ministro dell’Ambiente Corrado Clini esortandolo a intervenire.

Ma quella dell’amianto è una mafia. Perché la produzione continua in Russia, Brasile e Canada. Proprio il Canada è l’epicentro di questo dramma morale, maggior esportatore mondiale alla fine degli anni ’80 è ora il quarto produttore globale. Trattiene però in patria poco o nulla: ben il 97% della produzione si riversa sui mercati dei Paesi in via di sviluppo dove l’amianto non é bandito. Nulla di male secondo i canadesi, ideatori della “teoria dell’uso controllato” che si basa sulla convinzione che nei Paesi in via di sviluppo esistano le tutele lavorative, sindacali e tecnologiche per ridurre la polvere dell’amianto sotto i livelli di guardia. Il governo inoltre sostiene che l’amianto canadese, crisotilo o amianto bianco, non sia particolarmente cancerogeno. La lobby del crisotilo (Istitut du Chrysotile o Chrysotile Institute) é molto attiva nel finanziare le campagne elettorali canadesi ed incoraggia l’uso dell’amianto nel mondo. Per ben due volte ha tentato per via legale (attraverso il WTO, l’organizzazione mondiale del commercio) di fermare la messa al bando dell’amianto in Europa, entrata poi definitivamente in vigore all’inizio del 2005.

In Brasile la pressione dei lobbisti dell’amianto è così forte che non è mai stato possibile – nemmeno per il progressista governo Lula – giungere a un divieto della produzione. Sindacalisti e ispettori del lavoro che rilevarono condizioni di produzione non conformi alla legge, sono stati uccisi e intimiditi. Il giro d’affari di questa “mafia dell’amianto” brasiliana si aggira intorno ai 250 milioni di dollari e vede il proliferare di migliaia di piccoli impianti di lavorazione – di cui molti illegali – dove non è infrequente che minori siano impiegati come manodopera a basso costo.

La lobby dell’amianto corrompe la politica, finanzia campagne elettorali, intimidisce e se necessario uccide. Come una mafia. Il denaro non ha valore, qualche milionata può chiudere la bocca a malati, sindaci, presidenti. E proprio in Brasile, dove la lobby amiantifera è così potente, il nostro boia andrà a parlare di sviluppo sostenibile. Terrà lezione. Una claque di teschi applaudirà infine nostro signore della polvere e una danza macabra chiuderà il corteo dell’ipocrisia perdendo denari dalle tasche. Come in una rappresentazione medievale: il denaro è lo sterco del demonio.

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Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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