Con Tadic un vento nuovo per la Serbia

di Matteo Zola

Boris tadic tiene in mano la bandiera serba

La risoluzione del Parlamento serbo, che condanna con vigore il massacro di Srebrenica del 1995 e, soprattutto, chiede scusa alle famiglie della vittime bosniache, è senza dubbio un gesto forte e non solo simbolico. Votata da 127 parlamentari su 173, la risoluzione recupera idealmente l’eredità di Zoran Djindjic, primo ministro ucciso nel 2003 da milizie mafiose fedeli a Milosevic, che cercò di riconoscere ufficialmente il genocidio riavvicinandosi così all’Europa comunitaria. Quel tentativo fu stroncato con l’omicidio. Oggi Boris Tadic ci riprova. E ci riesce.

Ma ci sono ancora reticenze da parte di Belgrado. La Corte Internazionale di Giustizia infatti ha qualificato il massacro come “genocidio“, termine che il Parlamento serbo non ha voluto sentir nominare. E nemmeno il richiamo della Corte affinché ci si impegni nell’arresto di Mladic -capo della Banda degli Scorpioni, la milizia paramilitare che compì il genocidio- è stato ripreso dal Parlamento di Belgrado. Certo, di Mladic si è parlato nella risoluzione ma in termini ancora evasivi e manca un impegno preciso volto a consegnarlo alla giustizia. Perché Belgardo “copre” ancora Mladic? Vale forse quello che valse per Karadzic, che si muoveva indisturbato per Belgrado?

Con questa risoluzione la Serbia si avvicina all’Europa, ma non basta. Le omissioni sul termine “genocidio” e le elusioni su Mladic testimoniano come le resistenze politiche nell’accettare le proprie responsabilità storiche -pacificandosi, infine, col proprio passato- siano ancora forti. Va detto però che il partito socialista serbo (SPS) -erede di Slobodan Milosevic- ha votato la risoluzione, mostrando di essere nel pieno di un processo di trasformazione. Certo, prima di votare il leader del SPS, Ivica Dadic, ha voluto testare l’umore dei suoi militanti facendo ricorso alle retoriche nazionaliste più oltranziste. Il partito però era pronto al cambiamento, così come il partito democratico dell’ex premier Kostunica: votando la risoluzione ha permesso a Tadic di compiere un gesto -anche impopolare- che altrimenti avrebbe dovuto compiere egli stesso in caso di vittoria alle prossime elezioni. Già, perché il riconoscimento del massacro  non si poteva più rimandare. Resta l’amaro in bocca per le reticenze e le omissioni che tale risoluzione porta con sé. La ferita di Srebrenica resta aperta.

Si diceva di Djindjic, Primo Ministro democratico ucciso nel 2003. A eliminarlo fu la mafia serba, allora divisa in molti clan ma compatta nell’appoggio a Milosevic ai tempi della guerra. Gli ambienti della mafia e quelli dell’estremismo nazionalista si compenetravano. Oggi la situazione è mutata in peggio. La mafia serba si è compattata sotto la giuda di Darko Saric, boss della malavita serba attivo nel traffico di droga e armi su larga scala. Secondo i servizi segreti serbi Saric avrebbe in programma di uccidere il presidente Tadic e il ministro della Giustizia, Snezana Malovic. Tadic e il suo governo sono divenuti obiettivo della mafia anche a causa della fermezza con cui la combattono. Le due recenti operazioni della polizia serba, “Morava” e “Balkanski ratnik” (Guerrieri balcanici), hanno colpito duramente la criminalità organizzata nei Balcani e testimoniano la volontà di Belgrado di sradicare questa piaga regionale. In particolare la “Balkanski ratnik” è stata portata avanti con la collaborazione della DEA, la Drug Enforcement Administration americana, ed ha registrato il sequestro di ben 2,1 tonnellate di cocaina destinata all’Europa occidentale. Un successo che è valso il plauso di Washington.

La destra neofascista serba, marginalizzata nella vita politica, si è spostata negli stadi. La liason dangereuse tra mafia, hooligans ed estrema destra è uno dei nodi da sciogliere. Va ricordato però che questi ambienti sono ormai distanti dal Partito socialista (erede di Milosevic) preferendo “icone nere” come quella di Mladic o Harkan.

Chi è Matteo Zola

Giornalista professionista e professore di lettere, classe 1981, è direttore responsabile del quotidiano online East Journal. Collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso e ISPI. E' stato redattore a Narcomafie, mensile di mafia e crimine organizzato internazionale, e ha scritto per numerose riviste e giornali (EastWest, Nigrizia, Il Tascabile, Il Reportage). Ha realizzato reportage dai Balcani e dal Caucaso, occupandosi di estremismo islamico e conflitti etnici. E' autore e curatore di "Ucraina, alle radici della guerra" (Paesi edizioni, 2022) e di "Interno Pankisi, dietro la trincea del fondamentalismo islamico" (Infinito edizioni, 2022); "Congo, maschere per una guerra"; e di "Revolyutsiya - La crisi ucraina da Maidan alla guerra civile" (curatela) entrambi per Quintadicopertina editore (2015); "Il pellegrino e altre storie senza lieto fine" (Tangram, 2013).

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