A cinque anni dal suo approdo nel concorso a Venezia, l’azero Hilal Baydarov torna al lido con Sermon to the Void, la conclusione della sua trilogia dei “sermoni”.
Se c’è un autore cinematografico in Azerbaijan la cui filmografia merita l’attenzione, è certamente Hilal Baydarov. La fama assoluta l’ha acquisita nel 2020, con il suo settimo lungometraggio In Between Dying, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia. I sei film precedenti li ha diretti nel corso di soli due anni, spaziando da ambiti più narrativi a più sperimentali. a seguito di Crane Lantern ha iniziato nel 2022 una trilogia slegata di film, con Sermon to the Fish, presentato in concorso a Locarno. Il suo è un cinema molto contemplativo, che si dedica a temi metafisici ed allegorici, allontanandosi da qualsiasi convenzione narrativa. La trilogia dei “sermoni”, dedicata liberamente al trauma della guerra allora in corso, è proseguita con Sermon to the Bird, film presentato meno nei festival occidentali.
Sermon to the Void, più che completare la trilogia, la supera. I protagonisti non sono più le figure archetipiche di Davud e Sura che popolavano i film precedenti, ma è nientemeno che un omonimo di Shah Ismail Dehlvi, un filosofo sunnita visuto nel XVIII secolo in India, che sviluppò un proprio pensiero di orientamento salafista. Lo ritroviamo in uno spazio vuoto, un deserto reso astratto da un processo di colorazione dell’immagine che si allontana dai colori reali per immaginare delle ambientazioni bicrome o comunque irreali, alla ricerca prima della verità assoluta, e poi di una sorta di autoannullamento nell’essenza del mondo. Descrivere ciò che accade nel film di Baydarov è difficile, perché essenzialmente non accade nulla: immagini si sussegono, legati da un filo logico che si forma mediante aforismi, domina l’atmosfera più che qualsiasi altro aspetto, la costruzione di un’atmosfera spirituale-metafisica, nella quale si intravvede in qualche forma il viaggio che secondo alcune correnti zoroastriste ed islamiche l’Uomo deve intraprendere per ragiungere l’acqua della Vita in corrispondenza del giorno del Giudizio. Le citazioni del protagonista mescolano insegnamenti di Shah Ismail ma anche testi di Nietzsche, il filosofo del nichilismo che usa la figura di Zarathustra (il fondatore del zoroastrismo) per diffondere il proprio pensiero. Confrontando con gli altri due sermoni, Sermon to the Void è un’operazione molto più sperimentale e molto più densa a livello religioso-filosofico.
Anche senza comprendere molto del significato di Sermon to the Void, è chiaro che ci troviamo di fronte ad una svolta in Baydarov: l’uso di questa tecnica digitale per ricolorare e rianimare il materiale filmico rende ancora più astratto il suo cinema che già attingeva molto all’allegoria, il sonoro costruisce un soundscape intenso e rilassante, immersivo. Della durata di due ore, Sermon to the Void è un film pesante ma anche talmente affascinante da riuscire ad essere godibile.
Sermon to the Void è stato presentato Fuori Concorso alla Mostra del Cinema di Venezia – non è difficile comprenderne la ragione: è un’opera talmente sperimentale che non ha una categoria adatta nella selezione del festival. Attualmente non si hanno conferme di uscite italiane ulteriori del film.