‘Le persone mille volte muoiono, mille volte rinascono’. È un proverbio nazionale quello citato da Adil Akhmetov, amatissimo attore del cinema kazako, intervenuto a Roma per presentare il film di cui è protagonista La strada verso la madre (2016). Titolo evocativo già di per sé: poiché la madre è, sì, colei che un bambino sottratto alla famiglia nel caos post rivoluzione di Ottobre cerca disperatamente per tutta la vita di ritrovare; ma è anche, in metafora, la sconfinata terra madre kazaka, martoriata dai grandi eventi novecenteschi: collettivizzazione forzata, deportazioni, carestie, secondo conflitto mondiale, oppressione staliniana. Un territorio vastissimo, dai panorami e dalle prospettive, a seconda dei casi, sublimi o raggelanti, amichevoli od ostili. Grandioso scenario che abbraccia una storia lunga e travagliata: dove, appunto, le persone coinvolte trovano sempre il coraggio di cadere e rialzarsi. Per ritrovarsi nell’abbraccio di una vecchia madre, che è anche un riconquistare la patria perduta.
Non esiste forse modo migliore pe conoscere un paese a noi lontano che seguirne il cinema contemporaneo. E, in modo esplicito, questa prima edizione delle Giornate di Cinema Kazako , tenuto presso la Casa del Cinema di Roma il 24, 25 e 26 novembre scorsi. non è stato e non vuole essere una semplice rassegna per cinefili, ma un’occasione di conoscenza di un paese molto diverso. Non è un caso che il supporto dell’Ambasciata della Repubblica del Kazakhistan a Roma è stato fondamentale per la realizzazione della rassegna, cui ha partecipato, nella serata inaugurale, lo stesso Ambasciatore kazako S.E. Yerbulat Sembayev.
La rassegna è stata organizzata da Varant Film – una giovane casa di produzione cinematografica specializzata in coproduzioni internazionali – e dalla KazakhFilm Studio, la ‘storica’ (90 anni di attività) e più importante piattaforma di creazione e di sviluppo cinematografico dell’Asia Centrale, con sede ad Alma Ata, ex capitale kazaka: ad essa si deve non solo il film già citato, ma anche un secondo lavoro proiettato nel corso del Festival: I mille giovani eroi (2012), pellicola di Akan Satayev, dove la grande storia diventa protagonista fino ad assumere toni epici: si narra della lotta di un gruppo di giovani guerrieri guidati da un eroe poco più che adolescente, Sartai, per frenare le invasioni mosse contro i Kazaki dalle forze dell’impero mongolo Zungarico all’inizio del XVIII secolo. Eventi dei quali qui da noi poco o nulla si sa: a conferma dell’importanza per un pubblico italiano, o europeo in generale, di opere che, al di là del tono a tratti celebrativo, propongono un affresco di una cultura e di un’epoca che sarebbe opportuno conoscessimo meglio. Anche perché il Kazakistan, terra dalle mille risorse agricole e minerarie, considerato ormai dagli analisti una ‘media potenza’ globale, sta diventando un partner commerciale importante per un’Italia dall’economia per molti aspetti ad esso complementare.
Ha aperto il festival un film di taglio e argomento diversi dai due sopra citati: Ancora (Qaitadan). È quello più recente (2025) e si riferisce stavolta ad un episodio di cronaca: il crollo di una diga le cui acque investirono, alcuni anni fa, un minuscolo villaggio. A noi italiani non può che venire in mente il disastro del Vajont. In effetti, a parte le dimensioni notevolmente maggiori di quest’ultimo (tra l’altro, in Kazakhistan la maggior parte degli abitanti si salvò), alcuni elementi ricorrono in entrambi i casi: gli allarmi inascoltati, la colpevole indifferenza di chi sarebbe dovuto intervenire e non lo fece, l’irrompere notturno dell’onda micidiale. Nel film l’incidente rimanesoprattutto lo sfondo e il motore primo di un meccanismo narrativo ben collaudato nel cinema: il protagonista, un adolescente del villaggio introverso e ribelle nei confronti dei familiari e del mondo tutto, si accorge di essere costretto a rivivere sempre lo stesso giorno; che parrebbe destinato ogni volta a concludersi, a meno di un suo intervento via via più affannoso, nella catastrofe collettiva. A rompere la ripetitività della trama è la regia incalzante, vivacissima e a tratti quasi da commedia del regista ventisettenne Duman Yerkinbek, che dona al protagonista una sorta di percorso formativo che ne modifica l’atteggiamento nei confronti dei compaesani, rendendolo, ogni volta, migliore. Così, un evento di per sé tragico si trasforma quasi in fiaba, in poesia, grazie alla mano leggera e veloce di Yerkinbek, e a un cast di attori altrettanto giovani, spontanei, affiatati: quasi un coro che attornia uno sbigottito, ma sempre più risoluto, protagonista.
Il cinema Kazako, negli ultimi anni, ha mantenuto una presenza laterale ma piuttosto costante nel circuito internazionale dei festival cinematografici europei. Nel 2024, due opere prime sono state per esempio presentate a Locarno.
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