Estate 1993, nell’enclave di Srebrenica sotto assedio. Bekir Hasanović ottiene in prestito una videocamera, con cui filma la quotidianeità vissuta con i suoi compagni di sventura, nell’improvvisata troupe dall’ironico nome di John, Ben & Boys. Due anni dopo, Bekir è tra i pochi uomini adulti a sopravvivere al genocidio di Srebrenica.
I nastri, nascosti e poi recuperati dopo il conflitto, assieme alle pagine di diario di suo padre, diventano materiale per un documentario intimo ad opera di suo figlio Ado Hasanović, regista bosniaco italiano. Intercalati alle scene di vita quotidiana dei suoi ormai anziani genitori rientrati al villaggio di Glogova, oggi in territorio della Republika Srpska, Ado ricostruisce la storia di come Bekir sia riuscito a scampare alla “marcia della morte“.
Un film girato da dentro Srebrenica
“E’ un film che non avrei voluto girare”, racconta il regista. Un film su Srebrenica, da Srebrenica, girato dentro Srebrenica.
Il primo filo narrativo è nei diari di Bekir, recitati da Ado Hasanović, sullo sfondo delle immagini della vita oggi nel villaggio di Glogova. “Mio padre ha scritto un diario durante tutta la guerra, almeno poche righe ogni giorno”, spiega Ado. “Lì racconta delle privazioni durante l’assedio: ‘viviamo in gabbia, in un campo di concentramento‘, scriveva”.
Il secondo filo narrativo è nelle riprese di Dzon, Ben & Boys – tre uomini che girano in camicia hawaiiana nella Srebrenica assediata, si riprendono mentre ridono a battute sarcastiche alla fila degli aiuti umanitari, o mentre recitano scenette in costume – in una scena con un ferito in trincea, con finte bende e dottori. Esempi di creatività primordiale, necessaria per dare senso al presente e mantenere la propria umanità di fronte al massacro.
“Queste scene sono essenziali per vedere la vita, non solo la morte. Volevo mostrare la vita, le persone che hanno vissuto a Srebrenica durante tutta la guerra, cosa vivevano, come si vestivano, cosa mangiavano, non solo cosa è successo alla fine”, spiega Ado Hasanović. “Sono cresciuto con questi materiali, a volte li riguardavo con i miei genitori, ma non ne conoscevo il valore. Oggi mi rendo conto che quelle riprese di mio padre hanno influenzato molto anche il mio sguardo da regista.”
Il terzo filo narrativo è nell’oggi, con Ado che riprende – o meglio, cerca di riprendere Bekir e di farlo parlare di come è sopravvissuto alla guerra e al genocidio. Ado gli gira intorno come una mosca, il vecchio Bekir lo scaccia, finché a smozzichi e bocconi racconta qualcosa. “Pensavo sarebbe stato facile, d’altronde è lui che mi ha insegnato a fare le prime riprese. Ma appena ha compreso le mie intenzioni, si è chiuso in un rifiuto. Portavo sempre con me la telecamera, mi diceva ‘se la accendi te la spacco‘. Allora ho deciso di filmare il suo silenzio. Ci sono voluti anni, dal 2017 al 2020. Ho insistito, alla fine ho portato a casa tanti frammenti. Mi chiedevo come avrei fatto a rimetterli insieme,” spiega Hasanović. “Stavo filmando dei sentimenti, cercando di restare onesto quanto possibile.”
Sei diari di guerra, nove ore di riprese di Bekir durante l’assedio, 50 ore di riprese di Ado tra il 2017 e il 2020. Una montagna di materiali. “Mio caro Ado, io morirò e tu non finirai il film”, afferma Bekir. Hasanović ha lavorato con due autori e tre editori di Palomar, a Roma, per selezionare i materiali. “E’ stato necessario. Mi hanno aiutato a raccontare la mia storia. Mi era difficile decidere cosa includere. Ci sono volute settimane di discussioni. Per me è stato un lavoro terapeutico. Solo dopo il film ho smesso di avere incubi sulla guerra, o di dover dormire con la luce accesa”.
Un film importante, per combattere non solo la negazione del genocidio, ma anche i pregiudizi sull’odio etnico. “Mio padre un giorno mi disse: ‘devi lavorare per il futuro, fare amicizia con i serbi della tua età, voi non avete fatto la guerra, dovete costruire nell’oggi per il domani‘. Sentirlo da mio padre, che aveva perso tutto, è stato il regalo più grande. Questo film è dedicato a lui, e a tutte le persone piene di umanità che non sono più con noi”, conclude Ado Hasanović.
Nel 2024 Hasanović ha fondato il Silver Frame Film Festival di Srebrenica. Silver, srebro, argento, come nel nome latino della città, Argentaria. “Il festival è un’opportunità per i giovani di Srebrenica e Bratunac di avere accesso a cinema di qualità, e comprendere come giudicare un film. Lo organizziamo a metà luglio, dopo le commemorazioni del genocidio, così che chi viene a Srebrenica resti qualche giorno in più, ne scopra e goda la bellissima natura, e ne sostenga la comunità. Srebrenica per me non è un cimitero – anche se stiamo ancora cercando i resti di mio nonno,” conclude Ado Hasanović.
Ado Hasanović ha studiato regia all’Accademia di Cinema di Sarajevo e al Centro Sperimentale di Roma. È direttore artistico del Film Festival ‘Passaggi d’autore’ in Sardegna e fondatore del Silver Frame Film Festival di Srebrenica. Tra i suoi cortometraggi pluripremiati figurano L’angelo di Srebrenica, Mama, Pink Elephant e Let There Be Colour.
My Father’s Diaries (2024) è il suo documentario d’esordio. Oltre al Sarajevo Film Festival 2024, al Bosnian-Herzegovinian Film Festival di New York, al MedFilm festival di Roma e al DokuFest di Prizren, nel 2025 My Father’s Diaries è stato proiettato in varie città italiane, incluso ad Estival a Trento, al Trieste Film Festival, e al Bif&st di Bari.
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