A distanza di sette mesi dalle elezioni parlamentari del 9 febbraio 2025, il Kosovo ha fatto il primo passo per uscire da un grave stallo istituzionale che ha richiesto numerosi interventi diretti del presidente della Repubblica, Vjosa Osmani, e della Corte Costituzionale. Infatti, dopo mesi caratterizzati dalla mancata costituzione del nuovo Parlamento e da numerose votazioni fallite per eleggere il presidente dell’Assemblea a causa dell’impossibilità da parte dei partiti politici di trovare un accordo, è stato finalmente eletto Dimal Basha, membro del partito di maggioranza Vetëvendosje. Tuttavia, lo stallo si è subito dopo spostato sull’elezione dei vice-presidenti dell’Assemblea, che dunque non si può ancora dire costituita.
Questa crisi prolungata, che finirà o con la formazione di un nuovo governo o con nuove elezioni, sta mettendo le istituzioni democratiche del paese davanti a qualcosa di nuovo per la giovane repubblica balcanica, con effetti sicuramente non positivi a livello internazionale.
I risultati delle elezioni di febbraio
Le elezioni legislative del 9 febbraio si erano concluse con un risultato frammentato. Vetëvendosje, guidato dal primo ministro Albin Kurti, è rimasto il primo partito con il 42,3% dei voti assicurandosi 48 dei 120 seggi nel parlamento, ma ha perso parte del consenso rispetto alle precedenti consultazioni del 2021 quando aveva ottenuto oltre al 50%.
Come seconda forza si era attestato il Partito Democratico del Kosovo (PDK), storicamente radicato ma in calo da anni, con 24 seggi, seguito dalla Lega Democratica del Kosovo (LDK), con 20 seggi e dall’Alleanza per il Futuro del Kosovo (AAK) di Ramush Haradinaj con 8 seggi. Più distanti gli altri partiti rappresentativi delle minoranze che insieme controllano una quota riservata dalla costituzione pari a 20 seggi, di cui 10 esclusivi per la minoranza serba.
Nessuna formazione è quindi riuscita a ottenere una maggioranza chiara e le trattative post-elettorali si sono rivelate complesse.
Le difficoltà nella formazione del nuovo Parlamento
Secondo la Costituzione del Kosovo, il Parlamento eletto deve essere convocato entro 30 giorni dalla proclamazione dei risultati ufficiali per eleggere il proprio presidente, cinque vicepresidenti e poi procedere all’investitura del governo. Tuttavia, dopo la convocazione dell’Assemblea i lavori si sono arenati proprio al primo passaggio: l’elezione del presidente del Parlamento, figura cruciale per avviare l’attività legislativa, che richiede un voto favorevole di almeno 61 deputati.
Dopo il fallimento di oltre 50 tentativi di eleggere il nuovo presidente dell’Assemblea che secondo la prassi viene indicato dal partito di maggioranza relativa, a fine agosto il parlamento è riuscito ad eleggere Dimal Basha, figura minore di Vetëvendosje che rispetta la condizione posta dall’opposizione di non aver ricoperto alcun incarico ministeriale durante i governi Kurti. Basha ha quindi ricevuto 73 voti grazie all’appoggio del PDK, scelta spiegata dal leader Memli Krasniqi come necessaria esclusivamente per sbloccare lo stallo. Nei mesi precedenti, gli sforzi di Vetëvendosje si erano concentrati sul fare eleggere la precedente ministra della Giustizia, nonché donna più votata alle ultime elezioni, Albulena Haxhiu, senza trovare però alcuna apertura dagli altri partiti, che hanno mostrato la loro intransigenza su questo nome.
Sebbene ora siano stati eletti il presidente e quattro vicepresidenti, la crisi non è ancora superata. Infatti, la Corte Costituzionale ha sospeso fino al 30 settembre la formazione di un nuovo governo, dopo che la Lista Srpska, il principale partito che rappresenta i serbi del Kosovo, ha denunciato una violazione della Costituzione dovuta alla mancata elezione di un rappresentante serbo come vicepresidente dell’Assemblea, previsto dalla Costituzione. Questo ulteriore passaggio apre un nuovo capitolo di una crisi che sembra senza fine e che continua ad allungarsi.
Nel frattempo i partiti politici si addossano a vicenda la colpa di questa situazione: se da un lato Vetëvendosje punta il dito verso le opposizioni, quest’ultime accusano il partito di maggioranza di aver interesse nel prolungare la crisi per continuare a governare, considerato che i sondaggi in vista di una nuova potenziale elezione ne vedono calare i consensi. D’altro canto la Presidente Vjosa Osmani, che ha bisogno di mantenere l’appoggio di Vetëvendosje in vista delle elezioni presidenziali del 2026, ha formalmente presentato dei commenti alla Corte Costituzionale, affermando che “nessuno ha il diritto di bloccare le istituzioni” e riferendosi principalmente alla Lista Srpska.
Prospettive future
Nonostante i numerosi richiami alla responsabilità rivolti dalla comunità internazionale a tutti i partiti politici per trovare una soluzione nell’interesse della stabilità istituzionale e credibilità democratica del Kosovo, sembra difficile che questa paralisi istituzionale si possa risolvere con un accordo tra le forze politiche che porti alla formazione di un nuovo governo, danneggiando ulteriormente l’immagine del Kosovo davanti agli occhi dei propri partner occidentali.
Una volta risolta la crisi legale/istituzionale, la palla tornerà nel campo della politica ‘tradizionale’. Se il primo ministro uscente Kurti non dovesse riuscire a trovare un accordo con i partiti di minoranza per un nuovo esecutivo, saranno poi le opposizioni stesse a ricevere il mandato di formare un nuovo governo. Se nessun accordo tra le parti dovesse essere trovato, a quel punto il Presidente della Repubblica avrà il potere — e il dovere — di sciogliere il Parlamento e convocare nuove elezioni, che aprirebbero un nuovo capitolo di questa crisi politica. Da monitorare anche i risultati delle elezioni locali del 12 ottobre che potrebbero a loro volta cambiare gli equilibri tra i partiti e che, ancora prima di avere luogo, sono già state oggetto di grande dibattito a causa dell’iniziale decisione da parte della commissione elettorale, su iniziativa di Vetëvendosje, di escludere la dalla competizione Lista Srpska, poi riammessa in appello.
Fonte immagine: Balkan Insight