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KOSOVO: 15 anni dopo l’opinione della Corte Internazionale di Giustizia sull’indipendenza

Il 22 luglio 2010, la Corte Internazionale di Giustizia pubblicò un parere consultivo di portata storica, pronunciandosi sulla conformità al diritto internazionale della dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo. Oggi, a quindici anni di distanza, questo pronunciamento resta un caposaldo del diritto internazionale contemporaneo e una pietra miliare per il popolo kosovaro nel cammino verso il pieno sviluppo delle proprie istituzioni democratiche e riconoscimento internazionale.

Il contesto storico

Alla fine degli anni ’90, il Kosovo, allora provincia serba della Jugoslavia, fu teatro di crescenti tensioni etniche tra la maggioranza albanese e le autorità serbe, dovute alla politica di repressione ed alla limitazione di numerose libertà e diritti umani attuata da parte del regime di Slobodan Milošević, il quale tra il 2002 e il 2006, anno della sua morte, sarà processato perché accusato di 66 capi d’imputazione per crimini contro l’umanità, genocidio e crimini di guerra dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia. Le repressioni violente contro la popolazione albanese provocarono infatti una guerra tra le forze militari e paramilitari serbe e l’esercito di liberazione nazionale del Kosovo, portando ad una grave crisi umanitaria e l’esodo di massa di civili. Dopo il fallimento dei negoziati di pace, la NATO intervenne militarmente nel 1999 senza mandato ONU, con una campagna aerea contro la Serbia che causò la caduta del regime. Al termine del conflitto, il Consiglio di Sicurezza adottò la Risoluzione 1244, che poneva temporaneamente il Kosovo sotto amministrazione ONU, pur riconoscendo formalmente l’integrità territoriale serba.

Cosa affermò la Corte Internazionale di Giustizia?

La Corte fu chiamata a rispondere, su richiesta dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, al seguente quesito redatto dalla delegazione serba: “La dichiarazione unilaterale d’indipendenza da parte delle istituzioni provvisorie di autogoverno del Kosovo è conforme al diritto internazionale?”

Con una maggioranza di 10 voti a 4, la Corte rispose che la dichiarazione non violava né il diritto internazionale generale, né la Risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, né il quadro costituzionale adottato dalla missione UNMIK. In parole semplici, la dichiarazione non era illegale dal punto di vista del diritto internazionale. Tra le motivazioni, la Corte affermò che il diritto internazionale fosse muto sulle dichiarazioni d’indipendenza, non esistendo alcuna norma che le vietasse o le autorizzasse; e che la Risoluzione 1244 del 1999 avesse istituito un’amministrazione temporanea per il Kosovo sotto l’egida dell’ONU senza negare in modo esplicito la possibilità di una dichiarazione futura d’indipendenza e senza in alcun modo definire lo status finale del paese. Infine, la Corte sostenne che la dichiarazione non fu emessa dalle istituzioni provvisorie di autogoverno del Kosovo, ma da attori che agivano “al di fuori” di esse come rappresentanti diretti del popolo. Gli autori della dichiarazione quindi avevano agito non come organi ufficiali dell’UNMIK o del quadro costituzionale interno, e di conseguenza non erano soggetti alle restrizioni della risoluzione 1244.

Tuttavia, l’approccio della Corte fu volutamente prudente e circoscritto. Infatti, essa non riconobbe l’indipendenza del Kosovo, essendo questa una questione prettamente politica e prerogativa degli Stati, né affermò un diritto generale alla secessione, ma si limitò a rispondere alla domanda posta dall’Assemblea Generale.

Un caso sui generis e la “scatola di Pandora” che non si è aperta

Nel periodo precedente alla pubblicazione dell’opinione, molti temevano un effetto domino, ovvero che una decisione favorevole alle istanze kosovare potesse aprire la strada a una proliferazione incontrollata di movimenti secessionisti in tutto il mondo. In realtà, a distanza di 15 anni, queste paure non si sono concretizzate. Negli anni successivi, si è sviluppata tra gli studiosi l’opinione che quello del Kosovo fosse un caso sui generis, molto difficilmente ripetibile per le sue specificità giuridica, politica e storica, non creando una nuova norma internazionale.

La comunità internazionale ha continuato a trattare ogni aspirazione secessionista caso per caso, valutando attentamente circostanze e implicazioni geopolitiche. Ad esempio la Russia (pur non riconoscendo Pristina) ha più volte citato il Kosovo come giustificazione per l’annessione della Crimea del 2014 e dell’invasione dell’Ucraina del 2022, ma la comunità internazionale ha rigettato questo parallelo, rilevando differenze sostanziali tra i due casi come l’uso della forza militare, l’assenza di un’amministrazione internazionale e la mancanza di consenso popolare verificabile.

La prospettiva del Kosovo: molto più di un parere legale

Per il Kosovo, il significato dell’opinione va ben oltre la dimensione giuridica. Questa è stata vissuta come una potente forma di legittimazione morale e politica delle proprie aspirazioni, essendo di fatto una conferma da parte del massimo organo giuridico delle Nazioni Unite che la strada intrapresa non costituisse una violazione dell’ordine giuridico internazionale ed offrendo così una legittimazione all’aspirazione kosovara di vivere come stato libero e indipendente.

Il parere ha anche contribuito a sbloccare dinamiche congelate con stati che non avevano alcuna questione bilaterale, ma che dopo l’opinione della Corte trovarono una base giuridica per instaurare relazioni diplomatiche con il Kosovo portando tra il 2010 e il 2013 a numerosi riconoscimenti tra i paesi africani, oltre ad importanti attori a livello globale come Qatar, Pakistan, Egitto e Tailandia.

A quindici anni di distanza, si può affermare che il parere della Corte non abbia risolto la questione del Kosovo. Essa infatti ha risposto solo alla domanda legale, rafforzando la posizione del Kosovo nei fori internazionali e fornendo un’ulteriore base per costruire rapporti politici e diplomatici. Il parere del 2010 non ha quindi segnato la fine del percorso verso la piena sovranità, ma un nuovo inizio da stato indipendente che deve affrontare numerose sfide come l’adesione ad organizzazioni internazionali, tra cui l’ONU e il Consiglio d’Europa, che la Serbia continua a ostacolare.

Fonte immagine: Gerald van Daalen/Capital Photos – Courtesy of the ICJ.

Chi è Francesco Cortese

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