BOSNIA: La prima condanna per i negazionisti del genocidio di Srebrenica

A trent’anni dal genocidio di Srebrenica la negazione, minimizzazione o distorsione del massacro del luglio 1995 è tutt’altro che in decrescita. Nel 2021, l’Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina ha imposto nel paese una legge che criminalizza il negazionismo del genocidio e la glorificazione dei criminali di guerra. A maggio 2025, è arrivata la prima condanna. Cosa significa?

La legge

A poche settimane dal trentennale del genocidio da parte delle forze militari serbo-bosniache di oltre 8.372 bosniaco-musulmani, la indiscutibile qualificazione di quel fatto come genocidio non è purtroppo pacifica. Il genocidio di Srebrenica, accertato come tale da due corti internazionali, non viene riconosciuto specialmente in Serbia e in Republika Srpska (RS), l’entità a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina.

Intenzionato a porre un freno al negazionismo dilagante, nell’estate 2021, Valentin Inzko, allora Alto Rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina, ha imposto un emendamento del codice penale che punisce il negazionismo del genocidio e la glorificazione dei criminali di guerra. La decisione, presa poco prima della fine del suo mandato, si era resa necessaria secondo Inzko dopo che “tutte le opportunità offerte alle autorità nazionali di prendere le distanze dai criminali di guerra sono state disattese”.

La legge non è stata accolta con favore da tutti. In particolare, è stata percepita dalla leadership della RS come una sfida diretta alla legittimità dell’entità, che l’ha dichiarata inapplicabile sul proprio territorio, e ha di converso modificato il proprio codice penale per criminalizzare chiunque definisca la RS come una “creazione genocidiaria”.

In seguito all’introduzione della legge alcuni invece hanno rilevato una diminizione dei discorsi d’odio online, ma uno dei dubbi maggiori ha sempre riguardato la sua applicabilità concreta.

La condanna

Dopo quattro anni dalla sua entrata in vigore, lo scorso maggio per la prima volta il Tribunale statale della Bosnia ed Erzegovina ha condannato in primo grado Vojin Pavlović a due anni e mezzo di detenzione per aver violato il divieto di negazionismo del genocidio e di glorificazione dei criminali di guerra.

Vojin Pavlović è presidente di “Alternativa Orientale”, una ONG filo-russa. Già membro del Partito Radicale Serbo di Vojislav Šešelj e consigliere comunale di Bratunac, non lontano da Srebrenica, dove nel 2011 si presentò con una foto di Ratko Mladić. Pavlović ha anche proposto l’erezione proprio a Srebrenica di un busto alla memoria di Peter Handke, lo scrittore austriaco premio Nobel e altrettanto negazionista del genocidio.

Il Tribunale della Bosnia Erzegovina ha accertato che Pavlović ha organizzato una manifestazione a Bratunac l’11 luglio 2023, nell’anniversario del genocidio di Srebrenica, per la quale ha realizzato manifesti recanti lo slogan: “11 luglio. Giorno della liberazione di Srebrenica, grazie all’esercito serbo-bosniaco”. Inoltre, secondo la Corte la scelta di Pavlović di affiggere uno striscione celebrativo per il compleanno del generale serbo-bosniaco Ratko Mladić, con l’intenzione di glorificare un criminale di guerra, avrebbe potuto causare paura e sentimenti di insicurezza tra i cittadini bosniaci.

Il valore della condanna

Il Presidente del Tribunale, Goran Radević, ha dichiarato che il verdetto rappresenta un’importante pietra miliare nell’affrontare il negazionismo del genocidio e la glorificazione dei criminali di guerra. Infatti, il revisionismo in Bosnia Erzegovina non ha nulla a che vedere con il consentire una pluralità di approcci e interpretazioni storiche, ma è vera riscrittura della storia che in molti indicano come presupposto per la ripetizione delle atrocità commesse.

“La verità su Srebrenica e il verdetto di condanna di Ratko Mladić sono fatti storici e accertati giudizialmente, e la negazione del genocidio non solo è inaccettabile, ma è anche un atto punibile per legge”, ha dichiarato Radević. Ha poi aggiunto che il verdetto non intendeva colpire un gruppo etnico o un’entità specifica, ma “un individuo irresponsabile”.

La sentenza pone in parte fine al dibattito sul senso della legge in esame, criticata perlopiù per non essere applicata in concreto. Tuttavia, rimane aperta la questione della legittimità.

Il Tribunale della Bosnia Erzegovina è la corte più alta dello stato bosniaco, incaricata di giudicare crimini di guerra, corruzione e terrorismo. A febbraio 2025 la Republika Srpska ha cercato per legge di negarne la giurisdizione – cosa che la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale a fine maggio. Ciò rende l’idea della legittimità che le decisioni del Tribunale statale trovano in metà del paese. Imporre una “verità” con lo strumento del diritto a chi in quella verità non crede rischia di essere controproducente. Che valore ha una condanna se non è percepita come tale?

Foto: Andrej Isakovic

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